Politica fiscale e crescita

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Provo a fare chiarezza sul rapporto tra politica fiscale e crescita, in risposta ad articolo pubblicato su gustavopiga.it

L’articolo citato in sintesi dice questo: i) non bisogna guardare al debito pubblico per se, ma alla crescita; e ii) bisogna aumentare la spesa pubblica (finanziandola con tasse) per crescere.

Il primo punto è condivisibile ed è stato già sottolineato su nFA svariate volte in passato. Il problema, di per se, non è il numeratore del rapporto debito/pil, ma la scarsa crescita del denominatore che non basta per sostenere il livello di debito raggiunto. Una politica restrittiva che tenta di ridurre il numeratore con l’accetta della pressione fiscale è controproducente perché lo fai soffocando il denominatore. Purtroppo questa è stata la politica messa in atto negli ultimi anni in risposta alla crisi, e su nFA si è già discusso del peggioramento che questo può causare. Quindi, tutti d’accordo che il problema non è il debito per se, ma la crescita, e il rapporto debito/pil si riduce anzitutto facendo crescere l’economia.

I problemi con l’articolo di Gustavo Piga nascono con il secondo punto, ma prima di affrontare divergenze su cui si può discutere vediamo di far chiarezza su alcune definizioni. Piga scrive: “politiche fiscali espansive a parità di bilancio (maggiore spesa finanziata da tasse)”. Ora, quando si parla di politica fiscale l’aggettivo espansivo o restrittivo si riferisce all’effetto sul Pil (http://it.wikipedia.org/wiki/Politica_fiscale):

Politica fiscale espansiva:

  1. Più spesa pubblica, perché questa aumenta la domanda aggregata tramite più consumi e/o investimenti pubblici.
  2. Meno tasse, perché queste aumentano il reddito disponibile delle famiglie, aumentando i consumi privati, il risparmio privato, e quindi gli investimenti privati e quindi la domanda aggregata.

Politica fiscale restrittiva:

  1. Meno spesa pubblica, perché la domanda aggregata diminuisce.
  2. Più tasse, perché prosciuga risorse alle famiglie che consumano e risparmiano di meno, e quindi la domanda aggregata diminuisce.

Come potete notare stiamo parlando di un impatto sul Pil dal punto di vista della domanda aggregata; cioè di un impatto a breve termine che non dice nulla se questo ci porterà a una crescita sostenuta nel lungo termine. Quindi parlare, come fa Piga, di “politiche fiscali espansive a parità di bilancio” nel breve termine in realtà non ha molto senso. Nel breve termine più spesa pubblica finanziata da più tasse è una politica fiscale neutra sulla domanda aggregata, tanto quanto proporre meno tasse e meno spesa pubblica, come si dice da tempo su nFA. Questo da un punto di vista strettamente "keynesiano", che è quello che Piga assume e usa. Se uno prova ad adottare un orizzonte più lungo si rende conto che, siccome le tasse a un certo punto creano incentivi negativi a lavorare e investire, aumentandole si danneggia la crescita nel breve e anche nel medio periodo, mentre riducendole la si favorisce. Detto altrimenti, la ricetta meno dannosa per il PIL, assumendo neutralità fiscale, è quella che taglia spesa e tasse contemporaneamente, non l'opposta suggerita da Piga. Ma andiamo avanti.

Un esempio di politica fiscale espansiva tramite più spesa pubblica l’abbiamo vista negli anni ’80 in Italia. Se aumenti la spesa pubblica, il Pil cresce per via di una domanda aggregata in espansione, ma è un effetto temporaneo che non dice nulla se questo porti poi a una crescita sostenuta o, semplicemente, a debito e recessioni future (ora ormai l'effetto di lungo periodo si è capito). Un esempio di politica fiscale espansiva tramite meno tasse l’abbiamo vista negli anni di Bush figlio. Se diminuisci le tasse, il Pil cresce per via di una domanda aggregata in espansione, ma anche qui è un effetto temporaneo che da solo non dice nulla su un livello di crescita sostenuto nel tempo.

L’effetto collaterale di questi due esempi di politica fiscale espansiva è che l'economia cresce oggi, grazie allo stimolo della domanda aggregata, e questo genera magiore debito. Si sta utilizzando la carta di credito per aumentare i propri consumi correnti, si sta chiedendo un prestito. È un buon affare? Dipende: se il prestito che prendi indebitandoti viene investito in qualcosa che darà dei frutti, allora sì. Se il rendimento di un investimento è maggiore di quanto devi pagare di interessi per quel prestito, allora conviene. Un paese che non ha infrastrutture e decide di indebitarsi per costruire una strada (investimento pubblico) e generare così una via di trasporto commerciale probabilmente avrà un ritorno maggiore di quanto paga di interessi per quel prestito (in contrasto costruire la quinta corsia nel deserto ha un ritorno minore di quanto si paga per farla). Allo stesso modo, un paese che decide di abbassare le tasse (e non la spesa pubblica) avrà un ritorno positivo solo se questo genera investimenti privati che fanno crescere l’economia più di quanto cresce l’indebitamento pubblico.

La situazione odierna non è quella degli anni ’60 dove il paese non era soffocato dal debito e poteva permettersi di fare politiche fiscali espansive indebitandosi. Siamo arrivati al capolinea e un ulteriore indebitamento non è proponibile perché i tassi d’interesse iniziano ad essere proibitivi. Quello che rimane da fare è una politica fiscale neutra, e la domanda importante è: si stimola la crescita con la spesa pubblica (finanziando con più tasse) come propone Gustavo Piga, o con meno tasse (finanziando con meno spesa pubblica) come viene proposto da tempo su nFA? L’impatto sulla domanda aggregata è neutro e a breve termine ha effetti solo redistributivi tra pubblico e privato. La questione importante riguarda le conseguenze per la crescita nel medio e lungo periodo.

A mio avviso una politica fiscale di più spesa e più tasse potrebbe funzionare per un paese africano di 30 anni fa, un paese con tasse al 3%, zero infrastrutture e poco accesso a investimenti privati. In tal caso aumentare le tasse dal 3% al 5% per costruire una diga o asfaltare una strada potrebbe portare dei frutti positivi alle attività economiche di quel paese ben maggiori dell’aumento temporaneo di tasse necessario. Per l'Italia del 2012, con una altissima pressione fiscale, la situazione è ben diversa. È un buon affare oggi ridurre i propri consumi e i propri risparmi per finanziare un investimento pubblico? A mio avviso no, perché se l’economia non cresce non è per mancanza di infrastrutture pubbliche, ma perché le nostre imprese non sono competitive, non crescono e non creano lavoro proprio perché sono soffocate da troppe tasse.

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Commenti

Ci sono 47 commenti

Mi sembra che questo articolo die per scontato che per i keynesiani agire sulla domanda aggregata abbia effetti solo sul breve termine, poiché l’agire razionale degli attori vanificherebbe nel lungo termine questo tipo di interventi. Questa è grossomodo la posizione della ‘sintesi neoclassica’, ma keynesiani critici di questa interpretazione non mancano, e se Piga fosse tra questi la risposta sarebbe per cosí dire fuori bersaglio.

Dubito che Piga si riconosca nelle politiche fatte negli anni ‘80 (che piú che keynesiane sono state semplicemente clientelari), e semplicemente creda che la spesa pubblica generi un aumento del PIL tale da ridurre il rapporto debito/PIL piú di quanto lo faccia la riduzione delle imposte. Non a caso citava in agosto nel messaggio del suo blog «Rendiamo le scogliere fiscali belle come quelle di Dover» un report del Congressional Budget Office statunitense che sosteneva posizioni simili: «1 dollaro in più di spesa pubblica (attenzione, non qualsiasi spesa pubblica: acquisti di beni e servizi con appalti) genera tra 0,5 e 2,5 dollari in più di PIL (durante una recessione come quella attuale, con tante risorse inutilizzate, sostiene il CBO, è più probabile che gli effetti siano vicini ai livelli alti che non a quelli bassi). 1 dollaro di tasse in meno tra 0,16 ed 1 dollaro di Pil in più».

Mi trovo in difficoltà con questi moltiplicatori CBO, 0,5 - 2,5 e 0,16-1 (che quindi penalizzerebbero NEL BREVE PERIODO il ridurre le tasse).

 1 un moltiplicatore non può essere solo keynes ma almeno keynes-Leontiev con gli effetti della spesa intermedia; anche se nella realtà (io sono abituato a studi locali) resta ben poco in loco e segue le strade delle filiere; ma per TUTTI GLI USA qualcosa resta.

 2 Poi farei una obiezione + radicale ed "austriacante" al moltiplicatore di breve (o anche con effetto via investimenti): ogni volta che fai -e.g. - uno STIMOLO parte una storia diversa, che combina in modo originale effetti di S & D, breve medio e lungo, PER MOTIVI MOLTO SPECIFICI e path- institution- actors-dependent. Pur discutibile, partigiano - agiografico verso Obama nelle conclusioni, un approccio giusto sarebbe allora quello narrativo e d'inchiesta di:

 The New New Deal. The Hidden Story of Change in the Obama Era

By Michael Grunwald

ch'era recensito sul Financial T. del 3 settembre, da Cardiff Garcia.

dici: " agire sulla domanda aggregata abbia effetti solo sul breve termine"

 

Non ci siamo, nessuno insinua questo. Si vuole semplicemente separare gli effetti di breve e lungo termine di una politica fiscale. Una politica neutra di pareggio (piu' spesa finanziata da piu' tasse; o meno tasse permesse da meno spesa) nel breve non ha impatto a livello aggregato (ma ha senza dubbio un impatto redistributivo). Nel lungo termine ha comunque un impatto, ma non necessariamente di crescita, e nell'articolo si cerca di spiegare perche'.

Prendo spunto dall'articolo di A. De Nicola sulla Repubblica di oggi per dire che la Fornero ha correttamente individuato nel cuneo fiscale uno dei principali ostacoli alla ripresa della crescita ma si è evidentemente dimenticata di affrontare organicamente il problema quando avrebbe potuto farlo, ovvero al momento della riforma delle pensioni, quando la ministra ha preferito occuparsi solo delle pensioni future e ha 'perso l'attimo'. 

Infatti se l'aliquota contributiva previdenziale ha raggiunto il 33% non è per garantire le pensioni future ma piuttosto per pagare quelle correnti e sono queste ultime che hanno complessivamente  superato il 16% del PIL (raggiungendo il tasso di incidenza massimo dei paesi industrializzati).  Si potrebbe perfino azzardare che, con le nuove età pensionabili stabilite  (giustamente) dalla Fornero,  le aliquote del 33% sono diventate  eccessive, dal punto di vista dei lavoratori attualmente in attività,  tenuto conto che penalizzano la crescita del PIL che viene utilizzata anche per rivalutare i contributi versati nel calcolo del montante contributivo.

 

perché non li ammazziamo direttamente i pensionati? Oltre a ridurre completamente l'incidenza delle loro pensioni sul PIL, si risparmierebbe notevolmente sulle spese sanitarie (i vecchi tendono ad ammalarsi e ad acciaccarsi).Inoltre le famiglie risparmierebbero sulle badanti rumene ( niente paura: le piú gnocche si potranno riciclare come babysitter). Scusa l'ironia, capisco anche i paradossi del nostro sistema pensionistico, capisco che i trasferimenti incidono maggiormente sul debito  ma, in  un paese come il nostro, mi sembra che sprechi ed inefficienze da tagliare non manchino. Senza andare sempre su pensionati e lavoratori a reddito fisso. Fossero i pensionati tedeschi che si godono il sole di Maiorca, i nostri mantengono mezza famiglia ed escono solo per i funerali e la messa:-)

Credo che la chiave di tutte le discussioni sull'efficacia dei differenti tipi di politiche sia quello affrontato alla fine di questo articolo.

Per valutare correttamente gli effetti di politiche fiscali e/o di spesa pubblica è indispensabile partire dalla condizione iniziale del paese. Aumentare le tasse in un paese in cui la pressione fiscale è del 20% rispetto ad un paese in cui la stessa supera il 50% non avrà probabilmente gli stessi effetti, sia a breve che a lungo termine. Lo stesso vale per le variazioni di spesa pubblica rispetto al PIL, sia in termini assoluti che pro-capite.

Inoltre per la spesa pubblica avranno probabilmente influenza anche la sua composizione ed efficienza. Per esempio la parte corrente rispetto a quella per investimenti, o quella direttamente finanziata dalle tasse rispetto a quella a debito per la composizione. E per l'efficienza vale lo stesso discorso.

Posso pensare per esempio che una riduzione di spesa dovuto ad un aumento della "produttività" nell'erogazione dei servizi abbia effetti piuttosto differenti dalla cancellazione di un intervento pubblico "necessario". Per esempio il supporto alla ripresa delle attività produttive in zone colpite da calamità naturali.

Entrambi sono riduzioni di spesa, ma se la prima posso pensare abbia effetti espansivi, la seconda avrà quasi certamente effetti recessivi.

Pizzati mi scusi ma quale articolo ha letto lei? Credo che debba tornare nel blog del professor Piga e rileggerlo, perché io vi ho trovato scritto: "Ora fate l’ultimo salto logico. Immaginate che a fianco delle politiche di riforma subito lanciate all’avvio dell’euro avessimo accompagnato, sin dal primo manifestarsi della crisi dopo l’affaire Lehman Brothers, una politica fiscale espansiva a supporto della domanda interna per smussare le asperità del ciclo economico. Sommando i due effetti avremmo avuto oggi un debito su PIL dell’80%." Si parla di politica fiscale espansiva, e non di " aumentare la spesa pubblica (finanziandola con tasse) per crescere" come dice lei. Chiedo scusa e torno nel limbo.

Avevo letto bene. La parte che hai citato e' condivisibile, e cioe' se fai una politica fiscale che fa crescere l'economia allora il debito/pil cala.

Il problema nasce quando si specifica dicendo questo:

"politiche fiscali espansive a parità di bilancio (maggiore spesa finanziata da tasse) "

E quindi l'articolo che vuole dare maggior dettaglio su: effetto breve termine e lungo termine, effetto su domanda aggregata, che sia piu' spesa che meno tasse sono considerate espansive, ecc...

Carissimi economisti de Chicago, saluti.

E' inutile discutere di modelli parziali e moltiplicati fantasiosi di propensione al consumo. Il punto cari miei è che le politiche che sono alla base del lavoro del vostro guru Monti sono volutamente recessive. L'unica possibilità di finanziare domanda aggregata dallo Stato, favorendo politiche di crescita a lungo termine è finanziare infrastrutture con emissione di nuova moneta. Se vi preoccupa l'inflazione, non so se vi sieti accorti della caduta della massa monetaria in Italia da quando il Guru bocconiano è al governo.  Siamo in piena crisi di liquidità di tutto il sistema Italia. Già ma voi state a Chicago e leggete il corriere della sera. queste cose non le potete sapere. Provate a farvi pagare le lezioni di un corso svolto da una università italiana e vedete che vuol dire che il denaro in italia non ce n'é. sarebbe il caso di metterne un pò in circolo che ve ne pare?

Ma che bella teoria.

Più lo stato spende, più l'economia cresce.

Ma pensa un pò.  Dopo quarant'anni che i ns. governanti si sgolano per dirci che ce la stanno mettendo tutta per diminuire la spesa pubblica . . . senza riuscirci.

Pensa un pò, che neanche quell'invasato anitistatalista di Brunetta (ancorché proveniente dal PSI) è riuscito a cavare un ragno dal buco. Neanche a "rallentare" la crescita costante della spesa pubblica. La quale è un tank inarrestabile.

Non c'è bisogno di teorizzare i benefici della sua crescita. Lo fa da sola, ad un ritmo in tendenza esponenziale, come un Blog che assorbe tutto (specialmente il portatfoglio delle attività remunerative).

Ma non c'è bisogno di essere Keynesiani (neo o post o vetero o rinco).  Il nostro, se ancora qualcuno non se ne è accorto, è uno degli ultimi stati socialisti.

Ma nessuno si rende conto che il ns. singolare Stato, anziché occuparsi dei suoi compiti, fa tutt'altro? Dal Festival di San Remo, alla coltivazione dei pomodori, alle operazioni a cuore aperto, ad insegnare la "Storia" (direi: la propaganda) ai ns. giovani?

Ma qualcuno si rende conto che quest'ultimo stato socialista va finalmente smantellato, e tutte le sue innumerevoli attività privatizzate? Che non vuol dire che non debba esistere un sistema assistenziale, al contrario. Ma chi l'ha detto che tutte queste attività le debba svolgere direttamente lo Stato?

A parte gli scherzi, ovvero le amenità di questo articolo che si proccupa di dissertare su teorie già fatte a pezzi da 50 anni da Friedman, Hayek ed altri venti premi nobel:  e' questo, ciò che contesto in questo progetto dei 10 punti.

Che a parte il decimo (quello del ns. buon Forti, che però non ha neanche l'approvazione dei decani), tutto il resto è poca roba, già sentita e super-trita.

Caro Guido,

tutto quello che tu dici è vero. nel senzo che un paese dove il 55% del pil passa attraverso le mani dello stato ha qualcosa di insano. Il problema grave però è che l'economia italiana sta collassando. Perchè le politiche deflattive, in presenza di crisi di debito, portano al collasso. è matematico. per cui tutti i nostri discorsi sui massimi sistemi, ovvero quale società sia meglio tentare di costruire valgono poco se la società non esiste più. il rischio è questo. in questo momento l'unica soluzione è che qualcuno emetta moneta per fare qualcosa di utile (infrastrutture) senza creare debito. questo qualcuno può essere solo lo stato.

Nel post dell'8 sett. il Prof Piga fa una puntualizzazione sul suo pensiero  (che espone da quando è nato il suo blog): lui parla di spesa pubblica finanziata da tasse per contrastare l'avvitamento congiunturale, non stimolare la crescita di lungo termine.

Inoltre Piga mette in dubbio l'efficacia, in termini di politica anticiclica opposta, cioè quella di una diminuzione delle tasse (e contestuale diminuzione della spesa pubblica per non aumentare il debito) perché in un momento nel quale la propensione al risparmio aumenta per il gioco delle aspettative negative, una certa percentuale di ogni euro di tasse risparmiate non alimenterà la domanda (a meno che non riprendano gli investimenti, ma questi sono ugualmente frenati dal gioco delle aspettative).

Ho interagito più volte con il Prof nel suo blog e, posso testimoniare dalle risposte che ha puntualmente dato, nonché da quanto scrive negli articoli, che anche lui ha ben chiaro il "corto respiro" di interventi di spesa pubblica, al limite anche in investimenti, se non è accompagnata da misure che agiscano positivamente sul potenziale, quindi, come si direbbe, dal lato dell'offerta.

C'è, inoltre, una preoccupazione di fondo sull'avvitamento recessivo, che preoccupa  il professore e, credo,  non solo lui: gli effetti strutturali del deterioramento, impoverimento e  chiusura di parti significative del nostro sistema industriale per mancanza di investimenti (frenati dal calo della domanda interna).

Cito solo l'esempio più recente e più preoccupante: la decisione di Fiat di non investire a breve  in nuovi modelli e, conseguentemente, chiudere impianti.

Non so se esistono studi su questo aspetto (cioè suggli effetti duraturi di disertificazione industriale dovute all'arresto degli investimenti a seguito di recessione prolungata), ma in termini logici la preoccupazione sembra molto sensata.

Ed attenzione, la storia ci insegna che una volta che il deserto a preso il posto dei capannoni (o meglio, dopo che abbiamo aperti supermercati o palestre o scuole di danza in quei capannoni dove fino a poco prima si producevano beni), quasi mai l'industria ritorna!

 

 

...in un momento nel quale la propensione al risparmio aumenta per il gioco delle aspettative negative, una certa percentuale di ogni euro di tasse risparmiate non alimenterà la domanda...

 

Chiedo lumi a chi ne sa piu' di me. Da quando c'è la crisi si racconta delle crescita delle famiglie che non riescono arrivare alla quarta settimana ed ormai alla terza. Dando per scontato che il fenomeno sia vero e non invenzione giornalistica, diminuire le imposte ed il prelievo contributivo per i redditi piu' bassi comporterà un netto in busta piu' alto e quindi, per quei casi, maggiori consumi. Forse arriveranno a fine mese. Ricordo anche il punto 5 del nostro decalogo. Personalmente ritengo che dovremmo abbassare l'imposizione sulle imprese e per quella delle persone fisiche che si debba innalzare la fascia di esenzione. Per i contributi previdenziali ritengo che i risparmi di spesa ottenuti con le riforme debbano per prima cosa essere convertiti in un abbassamento delle aliquote di prelievo per i bassi redditi  (solo la parte a carico del lavoratore) oltre ad un abbassamento generale per tutti. In questo modo, correggetemi se sbaglio, risparmi di spesa e abbassamento della pressione fiscale possono alimentare la domanda.

Questo studio è interessante (trovato grazie a Phastidio) Speriamo non lo leggano i nostri politici :-)

Tanto per giocare un po’ con gli ossimori: chissà se è più “espansivo” il “neutralismo” del Prof. Piga (+ tasse e + spesa) o quello caldeggiato da NFA (- tasse – spesa).

Il primo sembra aggredire meglio e in modo più diretto la cosiddetta “trappola della liquidità”, il secondo, raccomandabile sul lungo, potrebbe innescare meccanismi di fiducia anche sul breve. Per districare la matassa è senz’ altro utile leggere l’ intervento di Giulio Zanella nel frattempo postato sul blog (“meglio aumentare le tasse o ridurre la spesa?”). 

La “soluzione Piga” avrebbe il pregio di non aggravare il deficit disincentivando l’ accumulo di liquidità a fronte delle incertezze della crisi. La soluzione NFA ha il pregio di non aggravare il deficit e affidare la distribuzione della spesa all’ oculatezza del settore privato.

Ma forse esiste una soluzione equivalente che, pur difettosa, cumula i due pregi: creare aspettative inflazioniste. L’ inflazione è pur sempre una tassa (contento Piga che vorrebbe garantire la neutralità alzando le tasse) ma è anche una tassa sulla liquidità detenuta dai privati che sarebbero incentivati a spendere (contento NFA che vorrebbe affidare la spesa al settore privato).

Pare che la Svezia attuerà una politica fiscale "di mezzo" rispetto a (- tasse, -spesa) e (+ tasse, + spesa): in questo articolo de Linkiesta http://www.linkiesta.it/svezia-stimolo-fiscale-economia si dice che la Svezia adotterà la combinazione (-tasse, +spesa) per rilanciare l'economia.

Il primo ministro svedese dice che possono farlo grazie al surplus accumulato negli scorsi anni e al basso rapporto debito pubblico/PIL, quindi sembrerebbe che questa soluzione non si possa applicare all'Italia: è così?

Cosa dice la letteratura economica a proposito di questa combinazione, e già che ci siamo anche di (+tasse, -spesa pubblica)?

il surplus svedese è stato accumulato, apartire dal 1994,  grazie e -spesa e -tasse, come discusso qui. Se oggi possono adottare diverse "combinazioni" è perché non hanno alcuun decino da fermare.

hollande fa Monti essendo eletto- vedasi se funziona

Vedere qui