E se tassassimo solo i ricchi?

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Per l'imposta federale sul reddito, negli USA, ci stanno arrivando paradossalmente riducendo le tasse sui ricchi. 

Nel mio precedente articolo notavo come negli Stati Uniti (il paese con il meccanismo fiscale più progressivo dei paesi industrializzati) i poveri non paghino tasse sul reddito, la middle class paghi poco o quasi nulla ed il 20% più ricco paghi quasi tutto. La divergenza con il sistema fiscale delle social democrazie europee è talmente accentuata che questo divario può sembrare incolmabile. In realtà, fino a 35 anni fa, il sistema fiscale americano non era poi così diverso da quello europeo, ma grazie a quattro principali riforme fiscali negli Stati Uniti sono riusciti a ridurre gradualmente, e alla fin fine drasticamente, il peso fiscale per il cittadino medio, lasciando il grosso del carico fiscale sul 20% più ricco della popolazione.

Fino al 1981 l’aliquota che incideva sul reddito dell’household mediano (il nostro average Joe) era del 28%, mentre l’aliquota massima era del 70% e toccava redditi al di sopra di $544,000 all’anno (in prezzi 2013). Come già discusso nel precedente articolo, oggi la stragrande maggioranza dei nuclei familiari arriva al massimo ad una aliquota marginale del 15%, mentre quella massima è ora al 39.6% per i guadagni oltre i $465,000 (Qui la tabella con lo storico delle aliquote sul reddito statunitense).

Le prime due riforme fiscali sono avvenute con Reagan, nel 1981 e nel 1986, la terza con Clinton nel 1997, e la quarta con Bush nel 2003. Le riforme fiscali americane solitamente fanno notizia perché riducono le tasse sui ricchi (e questo è vero) ma quello che passa inosservato è la riduzione ancora più notevole per la middle class. Ed è questo che ha reso il sistema fiscale così progressivo. La riforma del 1981 è stata tutto sommato modesta, ma ha segnato una inversione di rotta dalla tendenza socialista degli anni ‘70. Quella del 1986 è servita soprattutto a semplificare e, mentre era stata ideata per essere fiscalmente neutrale, le entrate fiscali sono addirittura aumentate di $50 miliardi di allora, all'anno. Il grosso della riduzione fiscale per la middle class è avvenuto sotto Clinton nel 1997 e ancora di più con Bush nel 2003. Nel 1997 e nel 2003 l’aliquota per la middle class non è cambiata, ma oltre all’aumento delle deduzioni sono stati introdotti dei tax credit che hanno azzerato le tasse per milioni di americani.

Per paragonare l’impatto fiscale sul cittadino mediano in anni diversi bisogna per forza utilizzare il reddito mediano in termini reali, il quale, come illustrato nel grafico qui sotto, fluttua con l’andamento dell’economia e non è cresciuto poi molto negli ultimi trent'anni, anzi è diminuito di un 10% dalla fine degli anni '90 (questo è altro tema, su cui varrebbe la pena riflettere separatamente).

reddito mediano reale.jpg

Source: FRED

Il reddito del nucleo familiare mediano oscilla, aumentando nei periodi di boom e calando durante le recessioni. In termini reali, nella seconda metà degli anni ottanta cresce da $49,000 a $53,000, per poi calare nella recessione del 1990-1991 da $53,000 a $50,000. Durante il boom degli anni ‘90 cresce da $50,000 fino a $58,000, per poi calare leggermente con la recessione del 2001. Con la grande recessione del 2008-2009 il reddio mediano scende da $57,000 a pressapoco i $53,000 del giorno d’oggi. Ondeggiamenti a parte, il reddito reale mediano è in crescita di un $125 all’anno. Ma facendo la media di questi ultimi 30 anni (dal 1986 al 2015) il reddito mediano in termini reali è di $54,000, e per semplicità utilizzerò questa cifra per paragonare il carico fiscale dell’average Joe negli ultimi tre decenni.

Come già trattato nell’articolo precedente, da questo reddito lordo si toglie ciò che è deducibile per ricavare l’imponibile tassabile. Le deduzioni principali sono la standard deduction e le personal exemptions. Tutte due in crescita negli ultimi trent’anni in termini nominali, ma anche in termini reali. E già questo indica che l’imponibile tassabile è in costante diminuzione.

standard deduction.jpg

Source: taxpolicycenter.org

La standard deduction intermini nominali cresce pressapoco quanto l’inflazione, perciò l’impatto è relativamente piatto. Eccezione per il 2003 quando, grazie alla riforma fiscale di quell'anno, la standard deduction balza da $7,850 a $9,500. Nel complesso l’imponibile tassabile diminuisce con una standard deduction in aumento.

personal exemptions.jpg

Source: irs.gov

In prezzi odierni le personal exemptions, e cioè l’ulteriore deduzione per ogni membro del nucleo familiare, in termini reali è abbastanza costante sui $4,000 di dollari odierni. L’unico balzo significativo lo troviamo con la riforma fiscale del 1986.

Il Child Tax Credit, invece, è una novità introdotta con la riforma fiscale del 1997 e, come vedremo, ha l’impatto più significativo sulla tipica famiglia americana. Inizialmente introdotto come uno sconto di $400 sulle tasse, per ogni figlio dipendente, con la riforma fiscale del 2003 questo sconto è stato fissato a $1000 per dipendente. Non essendo indicizzato per l’inflazione l’impatto di questo tax credit è in diminuzione.

child tax credit.jpg

Source: Wikipedia

Riguardo le aliquote, l’household mediano è sempre stato dentro lo scaglione del 15% dalla riforma fiscale del 1986. Una ulteriore riduzione c’è stata con la riforma fiscale del 2003, dove i primi $18,000 dell’imponibile (in prezzi 2015) vengono tassati solo al 10%.

Nel complesso, quanto paga una famiglia tipica con $54,000 di reddito lordo ed un paio di figli a carico? Togliendo dal lordo solo le deduzioni più importanti (standard deduction ed exemptions), applicando le aliquote vigenti in ogni anno, e infine applicando il Child Tax Credit si hanno le seguenti tasse:

tasse famigia 54000 con 2 figli.jpg

In dollari del 2015, la famiglia tipica è stata avvantaggiata soprattutto dalle riforme fiscali del 1997 e del 2003. Se trent’anni fa pagava $4,000 di imposte federali sul reddito, nell’ultimo decennio questo peso fiscale è praticamente sparito pesando in questo ultimo decennio in media un $500 all’anno! Stiamo parlando di $40-$50 mensili su un lordo di $4,500 al mese.

Naturalmente le riforme fiscali di questi ultimi anni hanno agevolato tutte le fasce di reddito e volendo si può ripetere l’esercizio per ogni quintile. Per paragone prendiamo un reddito elevato, maggiore all’80% degli altri nuclei familiari (sulla soglia del top 20%, il quintile più ricco). In prezzi 2015 utilizziamo per questa famiglia un reddito lordo di $120,000  per ognuno degli ultimi trent’anni.

tasse famiglia 120000 2 figli.jpg

In termini reali quale famiglia ci ha guadagnato di più da queste riforme fiscali? In termini assoluti la famiglia ricca con $120,000 di reddito lordo ha visto le sue tasse ridursi da $18,000 a $10,000. La famiglia mediana con $54,000 di reddito lordo ha visto le tasse ridursi da $4000 a $500. In termini relativi la famiglia mediana ha visto le imposte federali sul reddito praticamente scomparire, mentre la famiglia ricca le ha viste quasi dimezzarsi.

In sintesi, quasi dimezzate le tasse sul ricco e quasi azzerate le tasse sull’average Joe. Questo rende il meccanismo fiscale molto più progressivo perché ora il ricco paga relativamente molto di più dell’average Joe, anche se in termini assoluti adesso paga molto di meno di quanto pagava prima. Come è possibile?

La risposta istintiva potrebbe essere che gli americani hanno atrofizzato le entrate fiscali e così facendo chissà di quanto hanno ridotto la spesa pubblica e i benefici pubblici per l’average Joe. Ma i dati invece dicono tuttaltro. Se guardiamo alle entrate fiscali dalla federal income tax (la tassa sul reddito imposta dal governo centrale), naturalmente aggiustata in prezzi reali, vediamo che, a parte le naturali oscillazioni dovute alla presenza di recessioni, queste entrate fiscali sono aumentate:

entrate tassa sul reddito.jpg

Source: taxpolicycenter.org

Se la torta delle entrate fiscali non si è rimpicciolita, un altro termine può saltare alla mente: voodoo economics, l’espressione denigratoria utilizzata dall’establishment repubblicano durante le primarie del 1980 per criticare la Reaganomics. Il concetto alla base della rivoluzione reaganiana erano gli incentivi. Se tasso il ricco per redistribuire al povero, creo un incentivo perverso sia per il povero che per il ricco: al margine entrambi preferiscono lavorare di meno, ergo produrre di meno, ed il benessere nazionale nel complesso diminuisce. In base a questo ragionamento Reagan decise di invertire la rotta della politica fiscale.

In questi ultimi trent’anni di graduale diminuzione della pressione fiscale, le entrate fiscali sono paradossalmente aumentate. In parte questo può essere dovuto alla crescita economica generale ma, dato che il carico fiscale pesa sempre di più sul 20% più ricco, questo aumento sembra dovuto soprattutto al fatto che i ricchi stanno diventando sempre più ricchi. Allora che lezione possiamo apprendere da questa esperienza americana? Gli Stati Uniti hanno raggiunto il massimo di progressività fiscale tassando di meno il ricco, quasi proprio non tassando per niente la middle class, e fregandosene dell’impatto sulla disparità di reddito che questo sistema fiscale ha.

Al contrario, per l’ideologia socialista la progressività fiscale è invece vista come il mezzo per raggiungere il vero fine, che è la riduzione della disuguaglianza economica: tasso di più il ricco per redistribuire al povero. Questa è una scelta di politica fiscale che dipende da ciò che sta a cuore al policy maker (e dell’elettorato che lo elegge). Ma qual è il fine ultimo? È il benessere in termini assoluti o il benessere relativo al mio vicino di casa? Se il fine ultimo è ridurre l’ineguaglianza, allora pur di ottenere una varianza minore (meno divario tra il ricco e il ceto medio) finisco per tassare di più il ricco. Ma facendo così rischio di far meno cassa e mi tocca compensare col tassare anche il ceto medio, riducendo così anche il reddito medio e mediano.

Se invece la disuguaglianza non mi interessa, più abbiente è il ricco, e meno devo far cassa sulle spalle della middle class, che in termini assoluti alla fine può ritrovarsi messa meglio di prima.

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Commenti

Ci sono 28 commenti

" voodoo economics, l’espressione denigratoria utilizzata dall’establishment repubblicano durante le primarie del 1980 per criticare la Reaganomics."

Non so se e' un typo, ma l'espressione era usata molto di piu' dall'establishment Democratico.

Anche i democratici criticavano, ma la chiamavano trickle down economics. Il video e' di Bush, ma guardando su wikipedia quello che l'ha coniata come "voodoo" era un conservative commentator. Di piu' non so.

Quelle statali seguono gli stessi principi?

si apprende che le imposte statali sono prevalentemente sul consumo, necessariamente proporzionali.

Ha gia' risposto Lodovico ma aggiungo due altre info.

L'esempio di CA e' importante ma un po' estremo, credo la CA abbia sia la tassazione sul reddito piu' alta del paese sia il sistema piu' "prossimo" al federale. Molti stati, nel centro in particolare, tassano di meno il reddito e sono meno progressivi. Ma, alla fine, cambia poco.

La vera differenza la fanno le sale taxes, che vengono caricate su ogni acquisto, quindi sono pagate (in % del reddito) molto piu' dai "poveri" (che spendono la maggior parte del proprio reddito) che dai "ricchi" (che risparmiamo, quindi non spendono quindi non pagano sale taxes).  

Calcolare la progressivita' o meno del sistema fiscale complessivo e' molto meno semplice e diretto che non calcolarla per il sistema di tassazione federale sul reddito. In quest'ultimo caso si possono fare calcoli, letteralmente, precisi, non piu' stime. Infatti, l'IRS puo' dirci esattamente chi paga cosa. Con il resto ovviamente non si puo', per l'ovvia ragione che gli acquisti sono quasi sempre anonimi.

Con questo caveat, rilevante, e con l'addizionale che il think tank che ha fatto la stima e' notoriamente alquanto bias verso principi che Lodovico definirebbe senza mezzi termini "socialisti", rinvio a questo studio che stima la distribuzione, per gruppi di reddito, del complesso della tassazione. Ve ne sono ovviamente altri con risultati non molto dissimili. La progressivita' rimane ma e' molto meno accentuata che nel caso delle federal income taxes.  

Dragonfly ha detto bene: "imposte sul consumo".

Non "imposte sul valore aggiunto", che richiamano un concetto marxista che equpara il "valore aggiunto" ad un furto dell'impresa nei confronti del lavoratore.

In alcuni stati, come il Texas, addirittura sono esclusi da questa imposta proprio i beni che danno necessariamente "valore aggiunto", ovvero tutti quelli che entrano nel processo produttivo (ad esempio: il combustibile per macchine operatrici o l'energia elettrica ai fini produttivi etc.).

Non concordo però con Dragon quando afferma che tali tipi di imposte siano necessariamente "propozionali".

Per sostenere ciò, deve assumere per forza che il cittadino consumi in proporzione al proprio reddito.

A mio avviso (ma  mi posso sbagliare), i redditi maggiori consumano proporzionalmente meno  Questo perché si possono permettere di "risparmiare", ovvero di investire, quanto non consumano.

Quindi, sarebbero imposte regressive.

Si tratta perciò ancora di una scelta tra approccio liberale "classico" o socialista: credere di più, come effetti benefici per la società, nell'investimento nel mercato libero (se è libero, of course) oppure nelle logiche (arbitrarie) della redistribuzione  pubbliche.

Personalmente, parto da un'idea concettualmente diversa: che qualunque tipo di imposta diversa da quelle sul reddito (imponibile!) sia sbagliato.

Alternative alle imposte sull'imponibile, dovrebbero invece essere le tasse sui servizi pubblici. Ben più auspicabili, quando possibili, di qualunque altro tipo di tributo.

Secondo questa filosofia anche le "accise", giustificate (e perciò "calcolate" anziché fissate ad arbitrio) come il risarcimento di un costo sociale, potrebbero essere concettualmente classificabili come tasse.

dovrebbe andar bene. la mia osservazione è più che altro sul "necessariamente ": non immmaginate quanti, al secondo aperitivo, propongano aliquote iva progressive, "più giuste!". al primo, proponevano la totale deducibilità di tutte le spese, così sparisce l'evasione e naturalmente si pagherebbe anche "molto meno" (non meglio quantificato). la voodonomics, l'abbiamo inventata noi.

al di la delle questioni "di principio" e di "scelta politica", un tale approccio è possibile solo su una scala "continentale" o anche su scala nazionale? In parole semplici, le singole nazioni europee hanno un numero di ricchi sufficiente (e sufficientemente ricco) da farsi carico di un tale sistema fiscale? Inoltre mi pare che, a livello "filosofico", il ricco americano a un certo punto della vita si mette a creare istituti/fondazioni ecc. ecc. ridistribuendo quindi parte del suo benessere mentre mi pare che il suo collega europeo abbia come massima preoccupazione salvaguardare il suo patrimonio fino all'ultimo respiro.

il punto che volevo sottolineare nell'articolo e' che negli USA ci sono arrivati gradualmente in 35 anni fi riforme, per questo credo che questo tipo di sistema fiscale non sia impossibile da replicare. Di sicuro, se lo fai di punto in bianco, non riesci a mantenere lo stesso livello di entrate fiscali.

se ci fermiamo a questo tuo riferimento: il meccanismo fiscale più progressivo dei paesi industrializzati ecco che usa e ita sembrano già molto vicini. Anche l'Italia sta tassando i ricchi come gli americani. Ma sappiamo che, dal punto di vista del risultato complessivo, l'l'Italia non sono gli USA. Quindi?

Vorrei sapere allora da dove nasce, a questo punto, il mito della Buffett  rule, I quote from the Sunday Sunday, January 25th, 2015  "The so-called Buffett rule refers to billionaire investor Warren Buffett. In 2011, he famously pronounced that he paid only 17.4 percent of his taxable income in federal income taxes, a lower percentage than any of his 20 employees. He proposed that federal tax rates be raised for taxpayers making more than $1 million."

Qui si parlava del 20% piu' ricco. Come menzionato nell'articolo precedente il sistema e' progressivo fino ad un certo punto, e per i multi milionari e bilionari ci sono queste scappatoie che permettono di pagare relativamente meno. Questo non va bene, ma non incide sul confronto tra mediano e ultimo quintile.

Trovo straordinariamente utili e stimolanti i due contributi di Pizzati. 

Se non ho capito male, Pizzati sostiene che i ricchi americani (il 20% più ricco) sono più ricchi dei ricchi italiani e contribuiscono molto di più alle entrate tributarie, consentendo così ai meno ricchi di pagare imposte sul reddito di gran lunga inferiori, modestissime per le classi medie e nulle per le classi inferiori.

Ho provato a vedere, a spanne, se i conti tornano, cercando dati su Internet in fretta e da profano. A me sembra risultare che in effetti il 20% italiano più ricco abbia complessivamente un reddito che è meno della metà di quello del 20% USA più ricco e quindi, pur avendo aliquote complessivamente FORSE lievemente più alte, contribuisca al più per il 50% circa del gettito Irpef, contro l'84% dei ricchi USA. Perciò in Italia i meno ricchi devono contribuire molto più pesantemente al gettito delle imposte sul reddito.

Chiedo a Pizzati e agli altri esperti se ritengano plausibili queste due mie stime superspannometriche, che però mi sembrano rilevanti per la tesi dell'articolo (non cito le fonti perché sono proprio stime selvagge):

(a) i ricchi italiani guadagnano meno della metà dei ricchi USA;

(b) e corrispondentemente contribuiscono alle entrate tributarie in questione per la metà circa rispetto ai ricchi USA.

Se le cose stanno così, posso essere d'accordo con l'auspicio di Pizzati che i ricchi diventino sempre più ricchi. Non so quanto questo dipenda dal sistema fiscale, anche se ovviamente il sistema fiscale conta.

Aggiungo che, nel cercare i dati, sono stato colpito dalla ossessione per l'ineguaglianza che sembra ispirare la raccolta dei dati stessi, a scapito dei dati sui valori assoluti di reddito, che sono invece gli indicatori essenziali del benessere specialmente per i meno ricchi. Anche per questo, bravo Pizzati!

Edit: trovo ora un vecchio articolo del Corriere (http://www.corriere.it/economia/13_dicembre_03/i-conti-ceto-medio-tartassato-meta-irpef-10percento-contribuenti-a31ef1b4-5be3-11e3-bc7d-68ebf7f6255f.shtml) in cui si riportano dati secondo i quali il 10% dei contribuenti più ricchi pagava nel 2012 il 50% dell'Irpef. Se così è, le mie stime sono sballate. Ragione di più per chiedere a Pizzati di precisare questo punto, se possibile. (Comunque questo 10% più ricco parte da un livello di reddito lordo bassissimo, rispetto agli USA: 35.600 euro!)

Hai tenuto conto che in USA viene tassata la famiglia mentre in Italia l'individuo?

Questo potrebbe comportare (purtroppo non ho i dati ma tiro a indovinare):

1) che chi guadagna 35k euro* come individuo potrebbe guadagnare 50-60k euro come famiglia, se anche il coniuge ha un reddito (magari più basso, ma pur sempre un reddito);

2) che la distribuzione dei redditi delle famiglie potrebbe avere una deviazione standard (percentuale) minore della distribuzione dei redditi degli individui, quindi per arrivare al 50% delle tasse bisogna prendere magari il 15-20% delle famiglie anche se solo il 10% degli individui (esempio balordo: se in Italia ci fossero esattamente 20 milioni di uomini e 20 milioni di donne, tutti sposati eterosessualmente a due a due, e se tutte le donne avessero reddito zero**, il più ricco 20% delle famiglie sarebbe esattamente il più ricco 10% degli individui, tutti uomini, con le loro mogli).

 

*da confrontare con gli stipendi dei neolaureati in Ingegneria in Germania: Im Öffentlichen Dienst sowie im Groß- und Einzelhandel gibt es für Berufsstarter als Ingenieur nur vergleichsweise geringe 36.000 Euro zu verdienen. ("Nel pubblico impiego e nel commercio all'ingrosso e al dettaglio si guadagna al primo lavoro da Ingegnere soltanto la relativamente modesta somma di 36.000 euro", fonte: www.absolventa.de/jobs/channel/ingenieure/thema/einstiegsgehalt-ingenieur)

**cosa purtroppo non lontana dalla realtà, visto il basso tasso di occupazione femminile

Per progressività si intende normalmente il rapporto tra aliquota massima e minima (delle imposte sulle persone fisiche).

Mi sembra che l'autore dell'articolo voglia invece intenderlo come distribuzione del gettito fiscale rispetto al valore del reddito lordo individuale.

E' una definizione tutta sua, perciò non so se i lettori / commentatori l'abbiano compresa.

Anche perché dipende, oltre che dalle aliquote, dalla differenza tra reddito lordo e reddito imponibile (quest'ultimo mi sembra il VERO argomento).

A confondere ulteriormente le cose mi sembra il tentativo dei commentatori di confrontare tale distribuzione con i pari reddito di altri paesi. E' ovvio che in questo caso il parametro fondamentale diventa la ricchezza relativa (pro/capite) dei paesi, che riflette poi il valore dei redditi. E' tautologico constatare poi che nei paesi con redditi medi maggiori, corrispondano gettiti fiscali distribuiti proprio su fasce di reddito maggiori.

Guarda che solamente basarsi sulla differenza tra aliquota massima e minima e' sbagliato. Devi per forza guardare all'average tax pagata rispetto alla tassa marginale. Esempio: metti la prima aliquota a 0% solo per il primo dollaro guadagnato da tutti e l'ultima al 100% solo per l'ultimo dollaro guadagnato dalla persona piu' ricca. Tutto il resto lo tassi al 50% per tutti. Secondo la definizione limitata che hai dato questo sembra il sistema piu' progressivo dell'universo (differenza da zero a cento), ma in realta' tutti pagano una average tax del 50% a parte uno che paga una epsilon in piu'.

D'altronde ho notato che it.wikipedia parla solo dell' aliquota che aumenta, mentre en.wikipedia specifica anche il ruolo dell'average tax che cambia.


Ottimi contributi, Ludovico.

Mi pare sottolineino molto bene come gran parte del dibattito (e in molti casi le scelte stesse) sul sistema fiscale sia completamente stravolta da un approccio demagogico e a-scientifico.

Mi piacerebbe in futuro fare qualche valutazione sull'impatto di un sistema tendenzialmente "americano" rispetto al tema dell'evasione fiscale. Sono da tempo persuaso che questa non dipenda tanto da aspetti antropologici ("gli italiani sono disonesti") ma dal combinato disposto tra un sistema troppo complesso e farraginoso da un lato e un insieme di fattori che disincentivano la crescita dimensionale delle imprese, oltre che da una enorme dispersione di risorse investigative per verificare se la "piccola evasione"

Considerazioni molto interessanti. Grazie degli spunti. 
Ho però una domanda:  ammesso che il 20% dei più ricchi d'America regga quasi per intero il sistema fiscale, qual è l'entità della perdita derivante da tutti quegli "ubericchi" che spostano enormi somme di denaro all'estero? Parlo in un certo senso di quel famoso 1% del quale tanto si ragiona oggi. Tassare quelle ricchezze riuscirebbe ad alleviare la sofferenza delle classi economicamente più deboli?  
Ci sono riferimenti o testi di valore che indagano questo punto? Non tanto nell'ottica di un ragionamento etico (del tipo "non è giusto che Tizio guadagni tutti questi soldi"), ma soprattutto mi interessa valutare pragmaticamente il grado di efficacia dell'attuale distribuzione della ricchezza. Impostazione simile a quella che ho felicemente trovato tra articoli e commenti. 

Grazie dell'attenzione. Mi scuso se l'impostazione della domanda è eccessivamente arzigogolata e forse non tiene conto di un vocabolario adeguato, per il momento sono ancora un profano della materia:) 

Buona giornata. 

Il problema non e' l'1%. Le famiglie con redditi attorno a quella soglia sono le piu' tassate. Si tratta di coppie di professionisti di abilita' appena sopra la media... Hanno alta incidenza dei contributi a social security, un'aliquota marginale attorno al 45% in molti stati (sommando federal + state) e,  e dopo aver pagato il mortage, una vacanza, magari la scuola per 2-3 figli (ok, questa non e' obbligatorio pagarla, ma molti lo fanno, e sicuramente il college lo devono pagare al 100%) non risparmiano abbastanza per mandare soldi all'estero. 

Per trovare gente che manda soldi all'estero devi probabilmente arrivare allo 0.1%

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