Università Italiana: fuori i (cog)nomi!

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Nelle università anglosassoni, le named chairs sono le cattedre più prestigiose: alla Lucasian Chair of Mathematics a Cambridge (finanziata da Henri Lucas nel 1663) si sono succeduti, tra gli altri, Isaac Newton, Paul Dirac e Stephen Hawking. Nell'università italiana, l'idea è stata presa più letteralmente: spesso le cattedre vanno a persone che portano lo stesso cognome del precedente detentore.

I casi di nepotismo nell'università (e in vasti settori della società) non si contano, ma la retorica accademica e ministeriale è quasi invariabilmente quella delle "poche mele marce". Per verificare se effettivamente i casi sono pochi, ho condotto una piccola indagine statistica, appena pubblicata dalla rivista PLoS ONE.

L'idea è molto semplice. Prendiamo come esempio le scienze mediche (settori disciplinari MED), in cui lavorano 10.783 accademici (ordinari, associati e ricercatori). Tra tutti gli accademici in questo settore, troviamo 7.471 cognomi distinti. Quello che vogliamo vedere è se il numero di cognomi è simile a quello che ci aspetteremmo a caso. Per testare questa ipotesi, estraiamo 10.783 accademici a caso (senza ripetizione) dall'insieme di tutti gli accademici italiani (61.340) e contiamo quanti cognomi abbiamo nel campione. Ripetiamo l'operazione un milione di volte e contiamo in quanti casi osserviamo al massimo 7.471 cognomi. Ho fatto questo esperimento (grazie ai dati pubblicati sul sito CINECA), e, in un milione di campioni, non ho mai osservato meno di 7.471 cognomi (media: 7783.2 cognomi): è altamente improbabile che la scarsezza di cognomi in medicina si sia creata per caso. Ho ripetuto l'esperimento per tutti i settori disciplinari. Riporto nella tabella qui sotto le discipline in cui ho riscontrato i valori più estremi. Il p-value rappresenta la probabilità di trovare nel campione un numero di cognomi uguale o inferiore a quello registrato nella disciplina. La tabella completa si trova nell'articolo (che è open access).

SettoreNumero AccademiciNumero CognomiValore Attesop-value
IND (Ing. Industriale)318026912759.4<0.001
IUS (Legge)514440314207.7<0.001
MED (Medicina)1078374717783.2<0.001
M-GGR (Geografia)377359368.30.004
M-PED (Pedagogia)675634648.80.005
AGR (Agricoltura)234520582095.80.007
ICAR (Ing. Civile/Architettura)383632063259.10.008

Molti settori accademici hanno una notevole scarsità di cognomi e quindi un'alta probabilità di essere severamente influenzati dal nepotismo. Va notato che estraendo i campioni dalla distribuzione di tutti gli accademici, si tiene conto del fatto che alcuni cognomi sono frequenti, mentre la maggior parte sono rari. Inoltre, i valori riportati in tabella sono altamente significativi anche controllando per il problema del multiple-testing.

Analizzando i cognomi, si rilevano alcuni casi di nepotismo (es. padre-figli, fratelli), ma non altri (es. marito-moglie, madre-figli, senza contare amanti, figliocci e lontani parenti): l'analisi non può che sottostimare l'incidenza del nepotismo nell'università. Le discipline con un numero di cognomi significativamente troppo basso includono la maggior parte degli accademici italiani: il problema del nepotismo è endemico.

Ho testato questi risultati in maniera differente: prendendo due accademici a caso, qual è la probabilità che abbiano lo stesso cognome? Come cambia la probabilità se i due lavorano nella stessa università? Innanzitutto bisogna creare un modello geografico, in cui due persone che vivono nella stessa zona hanno una probabilità di avere lo stesso cognome più alta che due persone che vivono lontane. Anche tenendo conto della distribuzione geografica dei cognomi, appartenere alla stessa università aumenta significativamente la probabilità di portare lo stesso cognome in 16 settori (su 28). In 18 settori la probabilità di portare lo stesso cognome aumenta notevolmente andando da nord a sud. Il trend è chiaro anche se si considera semplicemente la frequenza dei cognomi condivisi (Figura 1).

 

Frequenza accademici con lo stesso cognome

Figura 1. Frequenza degli accademici con lo stesso cognome. Per ogni università (84, escludendo quelle esclusivamente on-line) ho calcolato quanti professori hanno lo stesso cognome e diviso per il numero totale di possibilità. Se più istituzioni sono nella stessa città (es. Roma, Milano, Napoli), le università sono disposte in cerchio. Le tonalità più scure indicano frequenze più alte. I dati si trovano nel supplemento all'articolo.

Certamente, ci possono essere forze positive che spingono i figli a seguire le orme dei genitori nelle professioni. Il termine human-capital transfer descrive l'insieme di conoscenze, relazioni personali, attitudini e passioni che si trasferiscono da una generazione all'altra. In molti casi, i figli sceglieranno la carriera dei genitori. Ma devono proprio seguirli nella stessa università o addirittura nello stesso dipartimento? In molte discipline, appartenere allo stesso settore di concorso incrementa la probabilità di portare lo stesso cognome: per quanto sia forte questo trasferimento di conoscenze,  è difficile giustificare questi risultati.

Quali sono i problemi che hanno creato questa situazione? Numerosi e complessi meccanismi entrano in gioco, ma sicuramente si possono individuare alcuni aspetti chiave:

  • la dimensione dei settori di concorso è molto piccola, e quindi è facile per pochi baroni controllare il campo;
  • nel sistema concorsuale adottato in passato i commissari non erano incentivati a scegliere i candidati migliori;
  • tutte le posizioni erano, fino a poco tempo fa, tenured: passare il concorso equivaleva a una posizione a vita. Questo crea incentivi a truccare i concorsi;
  • non esistono meccanismi di spousal hire (comuni negli Stati Uniti) per cui anche legittime aspettative di bilanciare lavoro e famiglia richiedono pratiche per lo più illegali.

La riforma Gelmini, che mi trova molto scettico, include provvedimenti draconiani per fronteggiare il nepotismo. Ripetere questo esercizio fra cinque-dieci anni dovrebbe testare se effettivamente la riforma ha sortito degli effetti positivi sul questo fronte.

Ringraziamenti: Ricerca finanziata dalla National Science Foundation (SMA #1042164). Elena Rizzo ha corretto l'articolo.

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Commenti

Ci sono 111 commenti

Stephen Hawking, senza "S" ;-)

Corretto, grazie.

Vorrei sapere se esistono studi simili anche per altri sistemi universitari, cosi' da capire se succede ad esempio anche in Spagna o Germania.

E' un modello applicabile anche ad altre professioni? (a parte i notai?)

grazie

 

E' un modello applicabile anche ad altre professioni? (a parte i notai?)

 

 

Me la spieghi ?

Non ho ancora letto l'articolo,

Ma e' possibile che un figlio succeda al padre dopo che quest'ultimo e' gia' andato in pensione? In tal caso, l'articolo sottostimerebbe ulteriormente il nepotismo :)

P.S.: E' bello non essere l'unico ecologo che segue noisefromamerika!

Noto che i p-value sono bassissimi anche quando il valore osservato (che è la media del numero di cognomi, giusto? Non la media del minimo numero di cognomi?) si discosta anche del 2% dal valore atteso. Come mai? Nel senso, la standard deviation è bassissima, ok. Ma è normale?

 

Per fare un esempio, prendendo due discipline con un numero simile di accademici: a near eastern studies si ha il 98% delle persone aventi cognome diverso. A geography, il 95%. Conclusione: near eastern studies nepotismo da escludere (probabilisticamente), geography quasi certo. Non ci starebbe bene una correzione per l'ampiezza del campione valutato? Capisco che è "insita" nel database, ma 300 persone sono proprio poche se confrontate con 60'000 e non è facile dedurre qualcosa da una variazione del 3% IMHO. 

In generale i dati mi pare vadano così: data una quantità N di persone accademici, dalla simulazione esce una frazione fissa di cognomi diversi (ad es. per 300 è il 97%, per 1100 93...normale convergenza alla media). Se il numero di cognomi osservati è minore, allora quasi sicuro nepotismo. Se è maggiore, quasi certo rigetto nepotismo. 

 

 

Noto che i p-value sono bassissimi anche quando il valore osservato (che è la media del numero di cognomi, giusto? Non la media del minimo numero di cognomi?) si discosta anche del 2% dal valore atteso.

 

Anche io ho questa sensazione. I p-value mi sembrano molto bassi, per differenze così piccole.

 

 


 

La correzione é insita nel calcolo del p-value. Supponi di misurare una standard deviation campionaria s, una media campionaria m e di avere un valore atteso m0: un p-value di 0.05 si ottiene circa per m=mo+2s/sqrt(n) con n dimensione campionaria.

Questo implica m-m0= 2s/sqrt(n):  per avere lo stesso p-value, una  molto maggiore differenza (m-m0) tra valore atteso e media misurata  é richiesta se il  campione é piccolo e viceversa. 

Questo implica che si possono ottenere p-value molto piccoli su differenze molto piccole, se il campione é molto grande.

PC

 

Questo thread e' molto interessante.

In generale, la probabilita' di trovare K cognomi estraendo N elementi, date le frequenze di tutti i cognomi, si puo' risolvere usando una multivariate hypergeometric distribution. Sfortunatamente, calcolare la probabilita' esatta per N grande e' infattibile, per problemi computazionali.

Comunque, per N grande, la distribuzione e' simile a una distribuzione di Poisson(lambda). Se usiamo questa approssimazione per MED e calcoliamo qual e' la probabilita' di osservare 7471 cognomi usando Poisson(7783.2) (i.e. lambda=media osservata nelle simulazioni) troviamo p=0.000185, che non e' molto diverso da quanto ho trovato usando Monte Carlo.

In una distribuzione di Poisson, la deviazione standard e' la radice quadrata di lambda (media). Per cui, proporzionalmente medie piu' alte (e quindi discipline con tanti accademici) avranno deviazioni standard minori.

 

Mi chiedo quale sia il numero atteso di cognomi diversi in un campione preso dalla popolazione generale.

 

Analizzando i cognomi, si rilevano alcuni casi di nepotismo (es. padre-figli, fratelli), ma non altri (es. marito-moglie, madre-figli, senza contare amanti, figliocci e lontani parenti): l'analisi non può che sottostimare l'incidenza del nepotismo nell'università.

 

Ma l'analisi trascura la possibilità di omonimia - Guido Rossi può NON essere parente di Luigi Rossi. In questo caso, si  sopravvaluterebbe il tasso di nepotismo.

 

L'autore, mi pare, sta confrontando un campione di tutta l'accademia italiana con il campione di ciascuna disciplina specifica. Non credo ci sia motivo di pensare che ci siano piu' omonimi non imparentati nelle discipline piuttosto che nel campione generale. Sarebbe pero' interessante sapere quale sarebbe il risultato dell'esercizio usando la popolazione generale (vedi mio commento precedente)

 

Nel primo esperimento, il valore atteso é calcolato rispetto alla  popolazione degli accademici. Mi sembra che così tu trovi i settori con nepotismo più alto rispetto alla media  della popolazione degli accademici. Se ho capito bene,  un'analisi esaustiva su tutti i settori mostrerebbe alcuni settori con tasso di nepotismo inferiore ed altri superiore alla media. Tuttavia anche i settori con tasso di nepotismo inferiore alla media della popolazione accademica potrebbero essere ugualmente soggetti a nepotismo.

Per verificare questo punto, sarebbe quindi necessario calcolare i valore attesi rispetto a come si ripetono i nomi nell'intera popolazione italiana, piuttosto che all'interno della popolazione accademica. 

 

PC 

 

 

Tuttavia anche i settori con tasso di nepotismo inferiore alla media della popolazione accademica potrebbero essere ugualmente soggetti a nepotismo.

 

Certo. E questo sistema li trova comunque.
Semplificando: se tutti i Rossi stanno a Medicina, e tutti i Bianchi stanno ad Economia, entrambi i settori risultano avere una concetrazione di cognomi anomala rispetto alla media dei cognomi dell'accademia italiana, ed entambi i settori risulterebbero viziati da nepotismo.
(non so se ho capito bene la domanda)

 

 

Una battuta prima di due brevi considerazioni:

"Se la tua teoria abbisogna della statistica, allora avresti dovuto fare una teoria migliore", E. Rutherford, premio Nobel per la Chimica

Facezie a parte. Interessante l'esercizio! Tuttavia mi associo alle perplessità ad esempio di Giovanni Federico e Andre Moro riguardo la ripetizione dei cognomi (qui una lista dei 20 cognomi più diffusi in Italia), per cui ad esempio trovi dei Rossi ordinari a medicina a Torino che non sono manco conoscenti di Rossi ordinari a medicina a Palermo. Nel paese dove sono cresciuto si chiamato tutti Greco e Gaudio e l'Università limitrofa ne è piena, ma non per questo sono parenti e spesso nemmeno conoscenti. C'è poi il nepotismo trasversale per cui un ordinario di scienze politiche mette in cattedra il figlio a statistica economica: un dato che forse sfugge al presente esercizio.

Infine, credo che il problema del nepotismo non si riesca a catturare attraverso la ricorrenza dello stesso cognome in uno stesso settore disciplinare e nemmeno in uno stesso dipartimento. Di per sè, ma è stato fatto osservare, che il figlio faccia la carriera del genitore non è un male. Il problema nasce quando gli unici meriti del figlio, figlia, amante, moglie, genero ecc è di essere imparentato con cotanto padre, marito ecc. Purtroppo credo che la presente analisi non catturi il problema che in Italia ci sono interi dipartimenti "infestati" da famiglie che dettano legge e cooptano per filiazione utilizzando però denaro pubblico. Dove la filiazione va letta anche ad es. come personaggio che diventa ordinario perchè lavora nel e per lo studio dell'avvocato barone.

 

Di per sè, ma è stato fatto osservare, che il figlio faccia la carriera del genitore non è un male.

 

Insomma, e' umano ma non e' che favorisca la mobilita' sociale, e magari nei posti pubblici andrebbe proprio evitato.

nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1903/marie-curie.html

con marito, figlia e genero

a cui poi si aggiungono i Bragg, i Bohr, i Thomson, etc, etc.

Sarebbe interessante un'analisi del genere utilizzando quei cognomi lì.

 

 

Tuttavia mi associo alle perplessità ad esempio di Giovanni Federico e Andre Moro riguardo la ripetizione dei cognomi (qui una lista dei 20 cognomi più diffusi in Italia), per cui ad esempio trovi dei Rossi ordinari a medicina a Torino che non sono manco conoscenti di Rossi ordinari a medicina a Palermo. 

O dei Panunzi ordinari alla Bocconi a altri a Napoli che nemmeno si conoscono. E il mio cognome non è così diffuso.

Stefano ha colto nel segno! dal Corriere di oggi:

Sbotta Luigi Frati, rettore della Sapienza con due figli e una moglie che hanno seguito la carriera accademica: «La meritocrazia non ha cognome. Piuttosto si veda se uno studioso è bravo oppure no». E per questo cita l'indice H, che misura l'impatto del lavoro degli scienziati: «Il mio è 45, quello del ricercatore americano 11».

Il disprezzo di Frati ti azzanna dalla pagina del Corriere. Nemmeno lo degna del nome! Solo americano (cosi'; con tanto di errore di spelling).  


 

PS: Needless to say, l'H index cresce col numero di pubblicazioni (cioe' con l'eta').  E comunque su Academic Search l'H-Index di Frati e' 9. Quello di mogli e figli?  Di Stefano Allesina ce n'e' due ma credo che siano lo stesso. Quindi non mi pare si possa calcolare. 

 

Se non mi sbaglio, Frati si era dichiarato favorevole alla riforma Gelmini, per poi premunirsi di far assumere qualche altro familiare appena prima che scattasse l'incompatibilita' prevista per i parenti stretti.

 

con tanto di errore di spelling

 

Oddio, quale?

Il dato è interessante e non stupisce più di tanto.

Si potrebbe ripetere la stessa identica medotologia su qualche paese straniero, così, per capire quanto sa la differenza fra la situazione italiana ed altri paesi europei? Sarebbe interessante ed aiuterebbe a capire quanto sia significativo il test statistco...

in realtà credo che potresti fare un confronto molto approssimativo: la distribuzione dei cognomi nella popolazione di riferimento (che nei paesi normali non coincide con la comunità nazionale) potrebbe essere molto diversa. O no?

Nota di colore e off-topic.

Stamattina ho sentito al TG di radio24 un servizio che riportava, citandolo ovviamente, i dati forniti da Stefano. Forse per distrazione o forse per assonanza, o fors'anche per errore del giornalista (mi pare fosse Sergio Nava), ero convinto che Stefano si chiamasse "ALesina" e non "ALLesina"

Mi sembrava davvero curioso e finanche paradossale che con un cognome del genere (e magari anche una parentela) un ricercatore si mettese a scrivere un articolo sulla ripetizione dei cognomi nella ricerca!

Nutro però grandi speranze per i colleghi permalosi, pressapochisti e colpevoli: secondo me, una email incazzata di qualcuno che lo accusa di essere parente di Alberto, Stefano la riceve :)

Speriamo. Mandacela Stefano, se la ricevi!

Caro Stefano,

mi sembra che le cose dimostrate nell'articolo siano diverse dalle conclusioni che tiri in frasi come "il nepotismo nell'Università italiana è dilagante" (ANSA). Ammetto di non essere un esperto di statistica (spero di non avere preso cantonate), ma da quel che ho capito tu hai dimostrato che la probabilita` che nessuno in un intero settore sia stato assunto per nepotismo e` bassa. Ora, scusa se parlo per me che sono ING-INF/05. Tu dici che la probabilita` che nel mio settore non ci sia nessuno assunto per nepotismo e` del 29.4%, quindi mi sembra un settore super-pulito, giusto? Quale azienda, pubblica o privata, italiana o straniera, che abbia 696 dipendenti, puo` avere la certezza che neanche uno dei dipendenti sia stato assunto per nepotismo?

Ma guardiamo il settore peggiore, che tu dici essere AGR/18. Tu non dimostri che la maggior parte degli appartenenti al settore e` assunta per nepotismo, dimostri solo che l'ipotesi che neanche uno sia nepotista ha una probabilita` minore di 10^-3. Quindi non e` assolutamente vero che hai dimostrato che le mele marce sono tante: hai solo dimostrato che, statisticamente, esistono.

Io credo che sarebbe scientificamente molto piu` interessante sapere quanti sono gli assunti per nepotismo e confrontarlo con altre realta`.

A queste considerazioni scientifiche, permettimi di aggiungere una nota politica.
Io capisco che dall'America le cose si vedano in maniera diversa dall'Italia. A me non e` capitata la triste esperienza di dover fare il cervello in fuga, ma ne conosco tanti, anche miei coautori, e sono sempre stato solidale con loro. I problemi sono tanti e nessuno vuole negarlo.

Ma in Italia negli ultimi tampi l'Universita` e` costantemente sotto attacco sui giornali. E subito dopo un attacco mediatico, arrivano i tagli. Prima ci hanno detto che eravamo fannulloni. Io pensavo che avrebbero licenziato i fannulloni, o che avrebbero tagliato lo stipendio a loro. Invece hanno tolto gli scatti di anzianita` a tutti, a chi lavorava e a chi non lavorava (ed esattamente nella stessa misura). Poi hanno detto che ogni 5 che vanno in pensione, 1 viene assunto, quindi ci saranno altri giovani costretti a fare i cervelli in fuga come te.

Io non ho nessun parente in alcuna universita`, ne' col mio cognome, ne' con altri cognomi, ne' fidanzate, ne' amanti che vogliano fare carriera accademica. Eppure so che, grazie ad articoli come il tuo, il mio stipendio diminuira`. Ovviamente non ti chiedo di tacere, perche' i problemi vanno denunciati, pero` negli articoli divulgativi bisognerebbe dire le stesse cose dimostrate scientificamente.

Un saluto,
Marco

Due cose:

a) sui giornali le cose vengono *sempre* distorte/semplificate/amplificate. Questo e' in parte perche' il lettore non ha familiarita' con concetti di base, e in parte perche' i giornalisti vogliono vendere i giornali.
b) in realta' ho calcolato *quanti* cognomi mancano (per essere precisi, quanti cognomi dovremmo aspettarci, se le assunzioni fossero a caso). Ora, se in MED mancano 300 cognomi, ci vorranno almeno 300 assunzioni per "riparare", o sbaglio? Nota inoltre che tanti dei cognomi "distinti" sono in realta' di mogli, parenti e amici, per cui 300 e' una sottostima grossolana. 

 

A me non e` capitata la triste esperienza di dover fare il cervello in fuga, ma ne conosco tanti, anche miei coautori, e sono sempre stato solidale con loro.

 

Adesso non esageriamo, emigrare puo' essere complicato e difficile, ma addirittura triste suvvia, mica si parte con le valige di cartone, si va all'estero a guadagnare tra il 150% ed il 200% di quanto si prende in Italia. A me non dispiacerebbe stabilizzarmi in Italia, ma a mio parere, un'esperienza di qualche anno all'estero e' fondamentale ed estremamente formativa, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista personale, e tutti i giovani ricercatori dovrebbero considerare seriamente un periodo all'estero, a prescindere dalla triste situazione italiana.

Il problema semmai e' la difficolta' a rientrare in Italia con posizioni, stipendi e finanziamenti adeguati alla propria esperienza ed alle proprie aspirazioni. Oltre al fatto che, salvo qualche eccezione che comunque esiste, il sistema universitario italiano non e' in grado di attrarre stranieri di buon livello.

 

Magari dico una stupidaggine..ma un sistema come quello dei giudici no? Cioè spostare di qua o di là gli accademici senza che loro possano dare noie. Tanto mi pare che di prof fuori sede ce ne siano tanti.

Facendoli muovere ci metti poco a scoprire quelli buoni e quelli no.

E' una stupidaggine. Esistono molti metodi per accertare la qualità della ricerca e valutare professori e dipartimenti. Ci sono molti post, miei e di altri, su questo

Caro Marco

guarda che dall'Italia i problemi si vedono esattamente come dall'America. Basta volerli vedere. I professori italiani si meritano interamente l'attacco mediatico - i fannulloni per ovvie ragioni e gli altri perchè li coprono. E non parlo di denunce personali, che sono inutili. Parlo di sostegno agli sforzi di riforma - magari imperfetti- e di introduzione di criteri di merito.Su questo blog se ne è discusso molto. Prova a leggere

Cordiali saluti

 

I professori italiani si meritano interamente l'attacco mediatico - i fannulloni per ovvie ragioni e gli altri perchè li coprono.

 

Caro Federico, però questa frase mi fa male. Io, come "giovane" professore associato, credo di lavorare decentemente e di fare la mia parte, come e più di tanti colleghi che lavorano in prestigiose università USA. Vorrei che venisse premiato il merito (non uso la parola meritocrazia perché non mi piace) come molti colleghi, vorrei cambiare le cose che non vanno e sono tante.

Però, nessuno mi aiuta. Non mi aiuta il governo, che mi ha bloccato gli scatti senza sostituirli con un bel niente; che ha appena emanato un regolamento per il rimborso missioni da terzo mondo; che non da fondi per la ricerca (i fondi PRIN e FIRB sono ridicoli, ed assegnati con criteri ridicoli); che in attesa di una mediocre riforma ha bloccato tutto per anni e anni. Durante i quali ho già visto giovani molto meritevoli andar via; altri che dopo anni di precariato come ricercatori a TD hanno "finalmente" vinto un concorso come ricercatori TI (quelli di Mussi!), per poi subito dopo mettersi le mani nei capelli perché lo stipendio di ingresso è di 1300 euro netti.

E non ci aiutano le frasi come quella su riportata. Che forse autorizzano certi esponenti governativi a calcare la mano un altro po' contro i professori brutti e cattivi e nepotisti: tutti indistindamente, of course. Io a stare così fra tre fuochi (governo che ci punisce da una parte, baroni che fanno i loro affarucci nel mezzo, e attacchi mediatici dall'altra) mi sono un bel po' scoraggiato. Non so se ho ancora voglia di lottare per un futuro in questa Università italiana. Per ora ho deciso di guardarmi intorno, chissà.

(Naturalmente, con il termine "attacchi mediatici" non mi riferisco certo all'ottimo paper di Allesina: con tutte le cautele del caso (non sono un esperto di statistica), certe denuncie sono sacrosante)

Caro Giovanni,

Sul fatto che i docenti si dividano nei due gruppi che dici (fannulloni e quelli che li coprono) non accetto di essere messo in nessuna delle due categorie (e trovo piuttosto offensivo questo "fare di tutta un'erba un fascio"). Nel mio piccolo le lotte per la meritocrazia le faccio in dipartimento e sono stra-convinto che la valutazione sia fondamentale.

Sulla riforma si e` discusso moltissimo in tutte le sedi, ma in questo thread secondo me non c'entra molto. Non e` che se uno e` contrario a una riforma copre i fannulloni, questo e` un evidente pressapochismo ...

Cordiali saluti

Post molto interessante. Mi piacerebbe conoscere la ``mobilita' intergenerazionale dei cognomi'' in altri contesti, per confronto. Ad esempio nello sport. In quel caso la correlazione e' presumibilmente dovuta alla trasmissione intergenerazionale (nature and nurture) di talento, motivazione, tecnica etc., ma si puo' ragionevolmente pensare che il meccanismo di selezione sia competitivo e meritocratico.

Vorrei chiederLe , come io ed altri hanno già fatto ieri, se esistono studi simili riguardanti università statali di altre nazioni.

 

Ho cercato di applicare il suo modello nel mio piccolissimo (scuola privata governata da un Board , no profit) e questo è il risultato. Su 40 dipendenti solo cinque casi di apparente “nepotismo” così suddivisi: madre/figlio; madre/figlia; padre/figlia/ sorella/sorella; moglie/marito. Nel calcolo dei cognomi solo due casi rispettano la sua statistica (in Italia le lavoratrici mantengono il cognome di nascita). Una percentuale di poco superiore al 10% ci autorizza a evidenziare che siamo in presenza di accertato nepotismo? Solo due casi sono “gravi”: preside e vicepreside hanno assunto i propri figli, per fortuna uno a tempo determinato e solo una a tempo indeterminato.

 

Ieri nei post si è anche ipotizzato di estendere il suo calcolo ad altri settori lavorativi, statali e no (politica, università private, sport) ironizzando su Bossi e il Trota. Vorrei allora richiamare alla mente il caso di Kennedy che nominò il fratello come ministro della giustizia. Anche vorrei ricordare la percentuale abbastanza elevata di cognomi identici (quindi di parentela più o meno stretta) per la massima carica politca USA.

 

Lei stesso, se non ricordo male, ha nominato ieri il caso dei Curie come una forma di “nepotismo” favorevole alla società.

 

Concludendo, oltre al confronto con le realtà accademiche di altre nazioni, vorrei sapere da Lei, ingenuamente, quando la percentuale di cognomi identici finisce di essere un fenomeno naturale (identico cognome ma non identica posizione) ma diventa indice serio di nepotismo negativo.

 

Mi inserisco nella discussione con qualche punto di riflessione...  Credo che come tutte le cose che non sono completamente astruse hanno un fondamento :-)

Cioè penso che il fenomeno ci sia, nelle Università così come in mille altri campi lavorativi. Il problema è semmai quantitativo (e di superamento di una certa soglia di decenza), correlando il fenomeno del "nepotismo" ad un indice di inefficenza. Cosa che sappiamo esistere.

E' triste constatare che oggi è necessario ricorrere ad articoli come quello di Stefano Allesina per evidenziare delle storture (in tutti i campi lavorativi) che sono origine e causa di un degrado culturale che sta sempre più dilagando. Forse è dovuto al fatto che chi dovrebbe esercitare controllo ha perso da tempo l'autorevolezza (ed il pudore) e non è più in grado di raddrizzare il percorso.

Non è una questione di Università, è una questione di Paese. Il problema Università è per ora, di secondo piano, un sintomo, ma non la causa del malessere. Possiamo imputare all'Università l'incapacità di essere stata in grado di produrre i necessari anticorpi per evitare la degenerazione alla quale stiamo assistendo, e invece di esserne stata contagiata.

Poi si può discutere se il metodo applicato sia più o meno efficace e veritiero, applicarlo per confronto con altre realtà come io stesso ho suggerito, ma rimane il macigno di un cancro che sta macerando sempre più la società, di cui il fenomeno "nepotismo" è un sintomo ed un malessere tutto sommato marginale. E non sto parlando dell'Università. Qualcuno ha anche detto (non ricordo chi) "...altro che Tangentopoli, qui siamo ben oltre...".

E chi dà fiducia (finanziaria, per es.) ad un paese malato incapace di produrre i necessari anticorpi?

Prendiamo una distribuzione Y data dalla somma di X1,X2,..,Xn eterogenei.

Estraiamo casualmente da Y (usando una uniforme) dei sottoinsiemi K1,K2,...,Kn composti da un numero di osservazioni identiche a X1,X2,...Xn.

Confrontiamoli K1,K2,...Kn con X1,X2,...,Xn. Troveremo (ovviamente) che non ci sarà quasi mai coincidenza tra le statistiche di Ki e Xi. 

Cosa ne deduciamo? Una tautologia, ovvero che gli elementi che andavano a compore Y sono eterogenei. Poi assegnamo un giudizio di valore (nepotismo?) al verificarsi di Xi>Ki, e un altro giudizio di valore al verificarsi di Xi<Ki. 

Un'analisi sensata: prendiamo una distribuzione Y e confrontiamola con le caratteristiche della popolazione da cui proviene. Se le statistiche descrittive saranno fortemente divergenti, possiamo dedurre che sono presenti delle anomalie. In questo caso non c'è tautologia perchè non conosci a priori l'eterogeneità degli Y1, Y2,...Yn che compongono la popolazione originaria. 

 

ci provo un'ultima volta. dopidiche' e' meglio che metti mano ai tuoi libri.

supponi che tu abbia un dado con 600 facce, di cui 100 riportano l'1, 100 il 2, etc. fino al 6.

next, considera 100 estrazioni random da quel dado (con o senza reimmissione - che non e' cruciale).

adesso supponi che esca cento volte il numero 1.

se il tuo prior e' che il dado e' fair con probabilita' 1 allora la serie di numeri (1,...,1) che hai osservato ha la stessa probabilita' di ogni altra serie possibile e tu non puoi inferire niente dall'osservazione.

ma adesso mettiti nei panni di un ricercatore che voglia scoprire se il dado e' fair o meno. cosa dovrebbe concludere dall'osservazione di una serie di cento 1? (piccolo esperimento: se io mi presentassi da te con un dado normale tu saresti disposto a scommettere contro di me 1/6 sul numero 2, qualora noi per provarlo lo avessimo tirato 100 volte e fosse uscito sempre 1?)

un modo di procedere, che poi e' simile a quello dell'autore, e' il seguente: qualora il dado fosse veramente fair la probabilita' di osservare almeno tutti e sei i numeri una volta e' molto elevata, prossima ad 1, quindi io rigetto l'ipotesi che il dado sia fair qualora non osservo tutti e 6 i numeri almeno una volta.

il p-value in questo caso rappresenta proprio la probabilita', stimata dal ricercatore che puo' ovviamente sbagliarsi, con cui rischiamo di considerare come unfair un dado fair.

questo ragionamente puo' non piacerti ma e' un modo molto standard di fare test di ipotesi.

 

Avendo lavorato durante gli ultimi tre anni con Roberto Perotti e Giovanna Labartino ad un progetto più ampio sul nepotismo nell'accademia italiana basato sull'idea di comparare la distribuzione dei cognomi nei dipartimenti con quella nella popolazione, ho ovviamente letto con interesse il lavoro di Allesina e la sintesi riportata su questo sito.

Vorrei tuttavia chiedere all'autore, senza alcuno spirito polemico, quale sia il contributo innovativo del suo lavoro rispetto per esempio al paper presentato da noi gia nell'estate 2009 alla conferenza della European Economic Association (che tra l'altro cita), per non parlare delle versioni piu recenti l'ultima delle quali, segnalata da Alberto Bisin in un posting precedente, e' stata presentata il mese scorso alla conferenza estiva dell'NBER.

Giusto per chiarire, a differenza del lavoro di Allesina, la nostra analisi non si limita ad analizzare la semplice incidenza delle omonimie tra i professori universitari, ma 1) costruisce degli indicatori sintetici basati sul confronto tra la distribuzione dei cognomi dei docenti di ogni dipartimento con quella della popolazione di riferimento (provincia, regione, etc), sfruttando il fatto che la grande maggioranza dei docenti italiani insegna nell'ara geografica in cui e' nato e si e' laureato; 2) analizza la relazione tra nepotismo e performance accademica a livello di dipartimento (utilizzando i dati CIVR del triennio 2001-2003); 3) analizza l'evoluzione del fenomeno nel tempo (tra 1988 e 2008); 4) studia l'impatto della riforma del 1998 sull'incidenza delle pratiche nepotistiche.

Ruben Durante

 

Caro Ruben,

Ho letto con grande piacere il vostro articolo, e lo cito diffusamente nel mio, riportando anche i risultati principali da voi ottenuti. Il mio articolo ha degli obbiettivi molto piu' modesti del vostro. Per esempio, il mio metodo funziona per le discipline (che sono distribuite per lo piu' uniformemente sul territorio), ma non sarebbe applicabile a dipartimenti e facolta'. Inoltre, mi limito a notare la scarsezza patologica di cognomi, ma non la correlo con performance accademica etc.

Le differenze fondamentali (discusse nel mio articolo) sono:
1) Io utilizzo una statistica molto piu' semplice (numero atteso di cognomi, logit, p-values) e fondamentalmente standard. Il vantaggio e' che chiunque abbia un minimo di familiarita' con qualsiasi disciplina scientifica non deve neanche leggere il paper, solo guardare la tabella.
2) Il mio studio non puo' individuare quali cognomi siano sovrarappresentati, solo quanti ne mancano. Paradossalmente, questo mi fa guadagnare parecchio in statistical power, perche' e' difficile individuare (con risultati significativi) casi anomali in campioni piccoli (es. tanti professori con lo stesso cognome nei dipartimenti). 
3) Io non faccio differenza tra familismo diffuso o concentrato. Per esempio, non differenzio tra poche famiglie con tanti professori ciascuna e molte famiglie con pochi professori ciascuna. In entrambi i casi, c'e' nepotismo. Usando il vostro metodo, nel primo caso si avrebbe "piu' nepotismo", anche se magari il numero di assunzioni "illegali" fosse lo stesso. 
4) Non ho bisogno di dati difficili da reperire, mentre per applicare il vostro metodo servono le frequenze dei cognomi a livello locale. Questo fa si che il metodo sia velocemente e direttamente applicabile ad altre realta'.

Quindi, io vedo il mio studio come molto meno dettagliato, ambizioso e completo del vostro, ma comunque con alcuni vantaggi. Inoltre, l'audience e' molto diversa: scienziati "naturali" vs. economisti (e questo si nota anche dalla lunghezza del testo :-). La cosa interessante e' che, come diceva Alberto, indipendentemente dal metodo utilizzato, i risultati sono chiari. Richard Levins ha detto che "the truth is the intersection of independent lies". Ogni modello e' necessariamente una semplificazione della realta'. Se modelli indipendenti danno lo stesso risultato, allora abbiamo piu' fiducia di aver trovato qualcosa di vero.

Stefano

Nel preambolo si dice

< Nell'università italiana, l'idea è stata presa più letteralmente: spesso le cattedre vanno a persone che portano lo stesso cognome del precedente detentore.>

ha constatato che cio' avvenga anche in altre realta' universitarie? Conosce studi sui cognomi delle universita' Spagnole, Francesi, Greche, Tedesche o altro?

grazie

 

ha constatato che cio' avvenga anche in altre realta' universitarie? Conosce studi sui cognomi delle universita' Spagnole, Francesi, Greche, Tedesche o altro?

 

Buona osservazione. Sarebbe interessante avere qualche termine di paragone: se, come dice Stefano, il metodo è facilmente utilizzabile in altre situazioni, perché non farlo?

Io ho anche un paio di altre curiosità:

1) qual'è la legge di distribuzione delle frequenze dei cognomi?

2) com'è fatta la funzione n->R(n) che assegna ad un sottocampione aleatorio di n individui il valore atteso dei cognomi ripetuti?

A paper mio, il nepotismo nell’Università italiana è semplicemente un corollario del più ampio teorema del “controllo del territorio” (il reclutamento) gestito da gruppi di potere accademico che ho chiamato “mafia accademica.”  Vedere qui.  Pertanto, la discussione del nepotismo con strumenti probabilistici, senza una dettagliata conoscenza locale delle varie facoltà e dipartimenti, mi sembra affine alla discussione sul sesso degli angeli.

L’aneddoto riferito al potere dei cattedrattici, secondo il quale il vero potere accademico non è quello di promuovere un genio ma, al contrario, quello di mettere in cattedra un asino, ha trovato lampante rispondenza nel famoso concorso di cardiologia indagato dai magistrati di Bari fin dal 2004. Dalle intercettazioni (divenute pubbliche fin dal 2005), un membro della commissione ha detto con grande soddisfazione: “abbiamo fregato il migliore” (con impact factor di 720).  L’indagine dei magistrati di Bari non è mai arrivata al rinvio a giudizio.

Ora, se il delitto di mafia è definito come il controllo del territorio, i baroni universitari, in moltissimi casi, hanno usato le disgraziate procedure di selezione come controllo del territorio accademico per far vincere molte mediocri persone, portaborse, tutta gente che sarebbe stata ossequiosa e silente per tutta la vita. E dato che avevano il potere di predeterminare i vincitori, hanno fatto vincere anche figli, figlie, nipoti, mogli e amanti.

 

Concordo al 100%. Il rapporto di parentela è un dettaglio mediaticamente interessante ma sostanzialmente irrilevante di un più generale comportamento nepotistico

Vi segnalo un articolo di Pietro Greco sull'Unità a commento del lavoro di Allesina:

rassegnastampa.crui.it/minirass/esr_visualizza.asp

o qui

(se non riuscite ad aprire il link andate sul sito www.crui.it e guardate la rassegna stampa a metà pagina a sinistra)

dice cose dette nei vari commenti, l'ultima (e anche la penultima) in particolare divide le opinioni dei più!

A proposito di cognomi, vale la pena segnalare in questo thread il caso Martone, si veda
http://www.roma1.infn.it/exp/webmqc/Michel%20Martone%20cc.pdf

oppure anche questo post 'senza parole' (ma molto espressivo).

In sintesi: il viceministro Martone vince miracolosamente il posto da ordinario ad un concorso grazie alla rinuncia di diversi candidati ben piu' titolati (e nonostante abbia un curriculum quasi imbarazzante).

Ovviamente, come al solito, non c'e' nulla di penalmente rilevante (in questo caso molti dei candidati 'forti' si sono ritirati perche' la commissione ha tirato per le lunghe e, nel frattempo, loro han vinto altrove) . 

Comunque l'intera carriera del giovin Martone e' un mistero glorioso: se e' questo "il nuovo che avanza", siamo messi bene.

Io mi chiedo, ma con tutti i giovani in gamba che ci sono in Italia (e non solo), come ha fatto Monti ad imbarcare un figuro del genere?

 Il caso Martone è un perfetto esempio delle patologie dell'accademia italiana e dimostra in maniera evidente la necessità di un approccio rigidamente bibliometrico. Non perchè sia il migliore possibile, ma perchè l'alternativa è l'arbitrio baronale. Aggiungo che in teoria la commissione avrebbe potuto idoneare un solo candidato.

Io temo che in un paese dove un soggetto come Martone viene cooptato in un governo "di salute pubblica" senza che (quasi) nessuno abbia nulla da ridire, ci sia ben poco da fare.

Trovo un po' buffo discettare sull'indice di nepotismo calcolato in maniera statistica, quando poi casi come questo, anche quando vengono alla conoscenza del 'grande pubblico', scivolano via come se niente fosse.

PS: effettivamente, ripensandoci, il Marton-gate sarebbe stato piu' pertinente con questo post.

 l'arbitrio baronale

Giusto prendere a pomodori l'arbitrio baronale, sotterrandolo di ortaggi e maledicendo i responsabili, ma l'alternativa non è una chimerica "bibliometria oggettiva", figlia di tanti piccoli arbitrii non finalizzati alla valutazione, bensì una valutazione professionale guidata da un metodo, che va rispettato, Tutto il resto è fuffa.

RR

Quando si partecipa ad una commissione, c'è sempre il collega più anziano o più "esperto" che mette sull'avviso gli altri: i giudizi individuali di ciascun commissario devono essere compatibili con il giudizio collegiale e con la valutazione.

In questo caso, invece, abbiamo 4 commissari su 5 che esprimono giudizi taglienti su MM e poi lo fanno idoneo!