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Recensione di "L'invenzione dell'economia", di Serge Latouche

La scorsa è stata un'estate da dimenticare sotto vari profili, ma non voglio tediarvi con (dis)avventure personali. Una pessima idea è stata per esempio quella di leggere Latouche, su sollecitazione di un amico (bell'amico, direte voi!). Brutto libro non solo per i contenuti ma anche perché scritto davvero male, oltre ad essere noioso assai.

La fascetta di copertina è accattivante: promette di spiegarci perché i mali del mondo vengano dagli economisti. Un Voltremont francese, mi son detto, ed ho accettato il libro, curioso di sapere come abbiano fatto quattro dozzine di persone in 300 anni a cambiare il corso dell'umanità. Vi svelo subito che una risposta non l'ho trovata. Se questa è davvero la tesi del libro, l'autore rende il compito di capirla piuttosto arduo. Magari sono io che sto diventando senile.

Avevo letto, ovviamente, di Latouche e delle sue teorie della "decrescita" e mi aspettavo di trovarne almeno una descrizione che ne spiegasse i fondamenti teorici. Nulla di tutto ciò. Il libro è scritto malissimo. Senza leggere qualche commento preventivo (per i curiosi: qui una rassegna stampa) è difficile capire di cosa parli, e sospetto che i commentatori mentano spudoratamente quando pensano di averlo capito. Come minimo, rendono a Latouche un favore enorme. Insomma, se vi aspettate un libro che inizi con la frase: "Questo libro vi spiega perché la crescita fa male, e perché è colpa degli economisti da Adam Smith in poi aver convinto il mondo che sia vero il contrario" e che passi poi, sistematicamente, a spiegare questa posizione, ve lo sognate. Il libro è tutto il contrario: un pastiche delle cose che il signor Latouche sa (poche, alla fin fine e sempre le stesse) o che ha letto e gli sembrano "fighe" (ancora meno, ancor più le stesse ed alquanto scontate).

Dal punto di vista di chi non conosce Latouche e le sue idee, invece, il libro si presenta come un sommario piuttosto atipico della storia del pensiero economico (ovviamente si parte da Aristotele, Platone & Co.), con un eccesso piuttosto sorprendente di autori francesi, alcuni dei quali erano a me sconosciuti (assumiamo pure che l'ignorante sia il sottoscritto, e che il bias non sia dovuto ad un imprudente nazionalismo dell'autore).

Tutto qui. O quasi: sparsi qua e la si trovano alcuni paragrafi o frasi che rimandano vagamente alle posizioni per cui Latouche è famoso, e con le quali il libro è stato sapientemente pubblicizzato. Per chi queste posizioni non le conosce, sorge il dubbio di stare leggendo le opinioni di una persona fra il confuso e il disinformato. Per chi le conosce sorge un dubbio diverso: ma come avrà fatto il signor Latouche con questa pessima retorica a convincere così tanta gente di star dicendo cose meritevoli di attenzione? Boh.

Un esempio fra tutti. Il capitolo sul lavoro (non ricordo il numero e la pagina né posso cercarli: il libro l'ho prontamente restituito) più o meno inizia con la frase "Il lavoro è un'invenzione della borghesia". Ho menzionato questa chicca ad un paio di amici; hanno, bontà loro, sostenuto che tutto sommato questa non è neanche un'idea di Latouche, risale a Marx, etc... etc... Troppo buoni cari amici. Io capisco che in certe bocche una frase del genere possa avere anche un contenuto, se non condivisibile, almeno meritevole di discussione (non credo, ma facciamo finta). Ma Latouche pensa proprio, o almeno cerca di convincerci, che i contadini nel medioevo fossero più felici dei nostri contemporanei, e che la fatica derivi da qualcosa che ha a che fare con la borghesia ed il capitalismo, con l'ossessione per la crescita ed il consumo, e così via. Chissà se, intellettuale fighetto com'è, ha mai avuto due minuti per leggersi Angelo Beolco, tanto per dire uno che veniva dalle parti mie ... Sulla base di cosa e come sostenga tale idiozia, non l'ho capito nè cerca di spiegarlo lui, con la sua retorica da intellettuale in stato confusionario.

In generale, non sono un grande fan del rasoio di Occam, ma preferisco pensare che sia stato il comportamento di milioni di individui ad influenzare il pensiero di Bentham piuttosto che viceversa. Se qualcuno sostiene l'opposta direzione causale (le teorizzazioni di Bentham sull'utilitarismo hanno convinto centinaia di milioni di felici imbecilli morti di fame che erano utilitaristi e volevano consumare di più ed avere più tempo libero ...) vorrei lo facesse sulla base d'un ragionamento chiaro, corredato magari da qualche base empirica. Agli imprenditori (che includono i bottegari) piace massimizzare i profitti perché nei dipartimenti di economia si usano modelli che dicono che lo fanno, o viceversa? Di nuovo, ha mai letto Boccaccio, tanto per menzionare uno che non è delle parti mie? Se davvero abbiamo (noi economisti) questo enorme potere di manovrare i desideri e i comportamenti della gente, siamo davvero pagati poco, e non solo in Italia!

Il tutto provoca un gran fastidio nel lettore informato: la sensazione è che l'autore ti stia prendendo in giro, o sia d'una ignoranza abissale: non si rende conto Latouche che il metodo economico può persino razionalizzare le policy che va raccomandando? Per esempio, se al signor Latouche piace la cucina a fuoco lento, sarà disposto a rinunciare a parte del suo reddito pur di mangiarsi lo stufato cotto sul prato con il legno di rovere tagliato con l'accetta. Niente di scandaloso per la teoria economica da 200 anni a questa parte, dunque perché gli economisti dovrebbero essere responsabili delle magagne di questo mondo, dell'ossessione per la crescita, per il consumo, e quant'altro?

Il sospetto è che sia proprio la confusione ad alimentare il successo di queste posizioni. Non voglio in queste righe trattare sistematicamente il tema della decrescita, ma è mia opinione che ogni tentativo di parlarne chiaramente (usando la logica ed i dati, due strumenti cui siamo affezionati) giunga a smontare il giocattolo in modo piuttosto brutale. Se necessario, torno volentieri sull'argomento in separato post.

Lasciamo perdere la decrescita, comunque, e proviamo a riprendere l'idea di base del libro e a svilupparla.

(1) È possibile che lo studio dell'economia, nel senso di scienza economica (neo)classica, possa portare ad un cambiamento non dico di preferenze ma almeno di comportamenti? Questa domanda mi ricorda un interessante studio di Ariel Rubinstein (NYU), che in un esperimento trova che i comportamenti dei laureandi in economia differisce sostanzialmente da quello dei laureandi in altre discipline. L'osservazione (comunque da ri-verificare empiricamente) non mi stupisce granché ma è comunque interessante. Ovviamente rimane da verificare che questo cambiamento dei comportamenti sulla base del sistema di beliefs che si acquisisce peggiori, secondo una qualche metrica, il benessere della società del suo complesso. Il tema ricorda quello trattato recentemente da Aldo e Michele e rimanda ad una seconda, forse più importante, domanda: (2) è possibile che questi cambiamenti siano socialmente dannosi secondo una qualche definizione (ragionevole, se possibile) di società e di danno?

Ecco, da un pessimo libro sono riuscito almeno a trovare un paio di spunti di riflessione interessanti. Se ci aggiungete che, tornato nella Music City, ho occasionalmente la possiblità di sintonizzarmi sulla mia stazione country preferita ed ascoltare i testi più ridicoli della storia della musica, direi che il mio umore è tornato a livelli normali.

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Commenti

Ci sono 62 commenti

Ma Latouche si renderà conto che tu hai contribuito alla sua personale decrescita, non acquistando il libro, ma facendotelo prestare, e quindi sposando in pieno la sua tesi ?

Poniamo il caso che solo 1 individuo acquisti il libro di latouche, e poi lo presti a tutti quelli interessati a leggere le sue tesi: avremmo meno alberi abbattuti, meno consumo di carta, inchiostro, carburante per la distribuzione, spazio sugli scaffali, imballaggi, etc. Ovvero Latouche dovrebbe essere felicissimo se nessuno compra il suo libro, poichè saremmo tutti d'accordo che una decrescita è necessaria.

Grazie al tuo post ho deciso di diventare un seguace di latouche e non comprerò il suo libro.

E cosi' lo farai contento... meglio di cosi' non si puo' :-)

 

Se necessario, torno volentieri sull'argomento in separato post.

 

Ho cercato su internet articoli contro le tesi Latouche ma non ne ho trovati. L' impressione è che le sue tesi siano talmente bislacche che nessun adetto ai lavori reputi interessante smontarle, ma l' assenza di confutazioni continua ad alimentare la schiera di persone che vedono nella decrescita la soluzione ai mali del mondo. Per cui le sarei molto grato se lo facesse, un po' come phastidio ha fatto col signoraggio. Come si dice: "E' uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo", no?

Ps: Probabilmente non ha trovato riferimenti espliciti alla teoria della decrescita in questo libro perchè l' argomento è stato trattato in altri tipo "breve manuale della decrescita felice", ché anche a SL è chiaro che per campare tranquilli bisogna produrre qualcosa, libri nel suo caso, e accrescere il proprio reddito.

Io tempo fa lessi questi articoli di IHC su Giornalettismo.com, mi sembrano ben fatti.

Pseudo-logica della decrescita felice

Felici di decrescere? Uno sguardo più in dettaglio

Ho qualche appunto ma mi sono sempre trattenuto dal metterlo perche' mi sembravano cose ovvie. Daro' un'occhiata alle cose di giornalettismo citate qui sotto e poi vedo (grazie del suggerimento !)

trova le medesime gratuitamente on line, l'autore Paolo Cacciari.

almeno (il cacciari succitato) non ha copyright alcuno.

se curiosi, lo avete fully free of charge at simplicissimus.it

 

il contenuto e', a modesto avviso del sottoscritto, profezia abborracciata, piu' che analisi (di quel che uno voglia)

Di Latouche, intenzionalmente, non perderei tempo a leggere manco le iniziali, figurarsi un libro intero, che peraltro ho visto sempre molto pubblicizzato e ben esposto nelle librerie.

La cosa che mi sconvolge di più è che è professore di Economia, pure emerito!

 

sì, è molto ben esposto in libreria e dovrebbe far pensare che "chi legge" non è poi così immune da infatuazioni grottesche. ma vediamoci il lato positivo: con una rapida scorsa in piedi, ma aggratis, si impara tutto quello che occorre sapere delle idee dell'autore.

in particolare, se losfogliate come un giallo, non abbiate remore ad andare subito alla soluzione della trama: l'età dell'oro, a cui bisogna tornare secondo latouche, è la francia degli anni '50, quella della sua giovinezza. più prevedibile del maggiordomo colpevole, e per arrivarci fa anche cattiva letteratura.

il tema dei differenti bias dei laureati in economia rispetto agli altri è molto interessante ma la ricerca proposta a me sembra rudimentale nel quesito. non c'è null'altro di più sofisticato, degno di Nfa? :-)

 

A me non sorprende molto che i laureandi in economia facciano scelte diverse dalla media.

I laureandi in informatica faranno sicuramente scelte differneti dalla media per quando riguarda la loro infrastruttura domestica (o già solo nell'acquisto di un cellulare)... o intendevi qualcosa di diverso?

 

(2) è possibile che questi cambiamenti siano socialmente dannosi secondo una qualche definizione (ragionevole, se possibile) di società e di danno?

 


Secondo me si', per via di una questione "divulgativa".

La prendo larga. Secondo me, la teoria economica di oggi è estremamente versatile a causa dell'enorme massa di strumenti analitici di cui oggi dispone. Alcuni sostengono che l'economia neoclassica tenda necessariamente a fornire analisi e prescrizioni normative che poi, politicamente, pendono solo in una direzione. Io non la penso cosi': oggi come oggi, mi sembra proprio che le microfondazioni rigorose (il cui metodo è stato si' sviluppato in ambito neoclassico) le possiamo trovare in diverse scuole di pensiero -- che hanno visioni del mondo distanti ma linguaggio comune.

Se siamo d'accordo sul fatto che modelli microfondati (neoclassici o ortodossi o come volete chiamarli) possano fornire prescrizioni di policy differenti a seconda degli ingredienti del modello stesso -- i.e., assunzioni differenti che enfatizzano un meccanismo economico piuttosto che un altro -- la questione divulgativa è: che diavolo succede nella zucca degli studenti di economia quando questi escono dall'università e diventano policymakers, top managers, banchieri e imprenditori? Quali sono, nella testa della classe dirigente, i messaggi fondamentali della scienza economica di oggi da usare come guida all'azione?

Certo, ognuno di noi fa la sua cernita e si sceglie le teorie che preferisce. Ma il punto è che se c'è un "nocciolo duro" di concetti, che rimane piu' o meno in tutte le teste in maniera trasversale, allora dobbiamo stare molto attenti non solo a cosa contiene, ma anche a come tali concetti arrivano al grande pubblico.

Esempio:
Supponiamo che nel "nocciolo duro" ci sia il concetto "economic growth is good." Per me va benissimo, non recrimino e sono, come molti voi, agli antipodi rispetto alle posizioni dei "decrescitisti" tipo Latouche (anch'io non ho alcuna intenzione di comprare il libro, preferisco contribuire a salvare l'ecosistema).

Sospetto, pero', che il concetto di "economic growth" del nocciolo duro sia meramente quantitativo: GDP = Welfare. Si noti che non sto dando la croce addosso alla teoria economica e al capitalismo. Sto solo dicendo che, siccome non conosco teorie fermamente condivise in cui il concetto di "growth" sia un po' piu' qualitativo -- ad esempio, tenga conto della distribuzione del reddito etc. -- nel nocciolo duro della zucca della classe dirigente rimane "GDP growth is good".

Dov'è il danno? Per ora nulla ma, di nuovo, c'è la questione divulgativa.
In Germania, gli imprenditori stanno chiedendo di cambiare la legge che garantisce 6 settimane di ferie ai lavoratori. Motivo: "stiamo andando alla grande, le esportazioni volano e non riusciamo a far fronte alla domanda." Si noti che la Germania non sta morendo di fame e cresce allegramente già adesso.

Ora, se i lavoratori dicessero "per noi è ok, se ci pagate adeguatamente gli straordinari, lavoriamo una settimana in piu' e rinunciamo alla sesta settimana di ferie" e se questa fosse una vera preferenza non avrei niente da ridire.

Pero' confesso che un pensiero mi turba: supponiamo che, in realtà, i lavoratori tedeschi stiano già bene cosi', si vogliono godere le loro 6 settimane, e nessun aumento di salario puo' compensarli veramente del tempo trascorso al mare con la famiglia. Tuttavia, il governo allettato dal maggior gettito potrebbe iniziare a dire che "GDP growth is very good" a braccetto con gli imprenditori, e i lavoratori -- convinti dai soldi degli straordinari e dalla propaganda (esiste per cambiare i beliefs, no?) accettano: le 6 settimane diventano 5 per legge.

Tutti soddisfatti? Boh. Forse si'. O forse il nocciolo duro -- incompleto all'origine e divulgato in maniera interessata -- ha cambiato i beliefs dei lavoratori circa il reale valore del passare il tempo con la famiglia?

Ottima osservazione. Davvero. Serve per argomentare che il "liberismo" coerente serve anche ai proletari: l'esempio calza a pennello. Basta rendersi conto che la morale dell'esempio è tutta di filosofia politica e non c'è niente di economia o teoria economica.

Argomentiamo questo punto, per cominciare. La teoria economica è uno strumento per fare calcoli: la funzione di utilità te la devi scegliere ed anche quella di benessere sociale. Non tutto è economia, come abbiamo cercato di sottolineare nella discussione con Aldo sulle preferenze.

La teoria economica NON dice da nessuna parte che esiste una ragione normativa per affermare che la crescita è un bene assoluto. Al contrario, non lo è. La teoria dice solo che la gente ha delle preferenze e cerca di massimizzarle. La teoria prende questo fatto come un dato, non lo discute. La teoria dice anche che massimizzare il benessere sociale implica massimizzare una qualche media pesata (pesata come? Non si sa: QUELLO, da Vilfredo in poi, è un problema di filosofia politica) delle preferenze individuali.

L'osservazione "growth of income is good" è conseguenza di un'osservazione empirica, che può essere contraddetta e non intacca l'economia, as such, di un epsilon. Sino ad ora la gente ha manifestato il desiderio di crescere e consumare beni e tempo libero in quantità crescenti. Se la gente decidesse che vuole consumare qualcos'altro, la crescita diventerebbe crescita di qualcos'altro. O decrescita. Alla teoria economica non interessa un piffero se si cresce o si decresce o si oscilla. Nessun teorema dice "growth of consumption is always good": dipende dalle preferenze e dalla tecnologia! Credimi, ho scritto almeno dieci papers per capire quando è una buona idea (o è un equilibrio) oscillare, ossia né crescere né decrescere. Ed ero in compagnia di tanta brava gente ...

Detto questo, veniamo al punto chiave del tuo esempio. Che è il seguente: quante ferie si fanno viene deciso per legge. In altre parole, per ragioni totalmente extra-economiche è stato deciso che la maniera appropriata di pesare le preferenze individuali sulla questione "orario di lavoro" è di dare peso 1 alle preferenze della maggioranza dei votanti e peso 0 a quelle di tutti gli altri (semplifico: di fatto è più complicato e meno "democratico" ancora, ma fa lo stesso).

Quante ferie X fa non lo decide X in libero contratto con l'azienda che lo impiega (come invece faccio io, tanto per dire) ma una legge dello stato, votata a maggioranza. Che X volesse 7 settimane e meno soldi o 4 settimane e più soldi a costoro non frega nulla: si cucca 6 settimane ed i soldi che han deciso loro. Fine della storia: si fotta X con le sue preferenze. Si è deciso che va bene la dittatura della "maggioranza" (non è nemmeno ovvio che tale sia, visto il ruolo dei sindacati organizzati, ma facciamo finta che lo sia) e le preferenze della minoranza vengono ignorate.

Cosa c'entra "economics" con questa scelta, che è tutta politica? NULLA, ASSOLUTAMENTE NULLA. La scelta, al meglio, è di filosofia politica. Al peggio di potere di ricatto, lobbying, quello che vuoi tu.

Ma la scelta ha influenze potenzialmente gravi, che tu sottolinei. Siccome chi di spada ferisce di spada perisce, c'è il rischio che ora qualcuno faccia lobbying per convincere la "maggioranza" (del parlamento, non dei lavoratori coinvolti) a cambiarla quella legge. Perché conviene ad X o ad Y, magari. Cambiata la legge cambiano le regole per tutti e, come nel tuo esempio, anche quelli che non vorrebbero sono costretti a lavorare una settimana di meno ed a guadagnare quel tot in più che la maggioranza, legiferando, ha deciso che devono guadagnare.

Di nuovo, l'economia non c'entra NULLA! L'economia, come scienza, nulla ha da dire su questo tema, proprio nulla! Può descrivere ciò che accade, non lo può normare per certo. C'entra invece un'ideologia politica ben precisa: tale ideologia nega la validità del mercato e del libero accordo fra gli individui come strumenti di coordinazione sociale ed insiste, invece, sulla superiorità dei meccanismi "collettivi" o "democratici" o statali di coordinazione. È questa scelta anti-liberale la chiave del tuo esempio, non l'economia! È una scelta di filosofia politica, l'economia non c'entra nulla.

Se dovesse accadere, i tedeschi, costretti a lavorare una settimana in più per del denaro che non vogliono o che non è sufficiente a compensarli delle ferie perse, non sarebbero vittime né dell'economia, né del "mercato", né del "liberismo". Sarebbero, nel caso specifico, vittime dello statalismo socialista che essi stessi hanno voluto adottare come metodo di coordinazione sociale, quando faceva loro comodo. Ora potrebbe ritorcesi loro contro.

Questa è la morale della storia che racconti. Nè più né meno.

 

Secondo me si', per via di una questione "divulgativa".

Le cose che tu stesso dici, e che ha poi chiarito Michele, dovrebbero farti capire che in questa frase hai torto. Nessuno (spero) nelle lezioni di economia dice che bisogna massimizzare la crescita del PIL, e lo studente che la pensasse diversamente ha capito male la lezione. E' un esempio che si usa perche', empiricamente, alla gente sembra piacere l'audi piuttosto che la panda. E non c'e' niente di male per Latouche & co. cercare di convincere il mondo che si vive meglio con la panda. Del resto, l'opzione e' disponibile a tutti quelli che hanno l'audi. 

Ricordavo di aver incontrato il nome di Latouche in qualche articolo di lemonde diplomatique (ed. italiana) e di aver capito che era più filosofo che economista. La cosa che a un profano di economia come me pare intrigante è che la decrescita viene massacrata anche dai marxisti più massicci (e.g. qui).

Probabilmente c'è da attendersi che la 'dottrina' trovi spazio in gruppi/partiti a secco di strategie e proposte e mi astengo dal pensare al PD di Fassina.

Risposte varie... Michele B. / 1:

Nessun teorema dice "growth of consumption is always good": dipende dalle preferenze e dalla tecnologia!

Assolutamente d'accordo, mai pensato il contrario. Nel mio post precedente, quando scrivo "Supponiamo che nel nocciolo duro ci sia 'growth is good' " sto parlando di quello che rimane nella zucca della classe dirigente quando ascolta gli economisti o dopo che esce dall'università. E infatti lo chiamo "nocciolo duro", non un teorema fondamentale della teoria economica. Il fatto che nel "nocciolo duro" ci siano precetti normativi che in realtà sono interpretazioni libere basate su osservazioni positive è sbagliato e criticabile. But that's the way it is: ne osservo veramente troppi che dicono che growth is always good, da qualche parte devono uscire fuori. Magari qualche economista accademico insegna in maniera fortemente ideologica. Ma in ogni case, tra "nocciolo duro" e "risultati scientifici veri" ci passa il mare: se questa mia distinzione non era chiara, colpa mia che mi sono espresso male.

Risposte varie... Michele B. / 2:

Cosa c'entra "economics" con questa scelta, che è tutta politica? NULLA, ASSOLUTAMENTE NULLA.

Sicuro. Il mio intervento, infatti, mirava a rispondere ad una domanda sugli effetti della teoria economica sul comportamento. Il link che io vedo è che la teoria economica diventa (i) nocciolo duro nella testa della classe dirigente e, poi, (ii) decisione politica. Tutto quello che succede in mezzo a questo processo di trasferimento puo' creare danni e non è colpa della teoria in sè. Ora, visto che la domanda originale di Andrea M. era "puo' la teoria economica alterare i comportamenti e generare danni?" la mia risposta rimane la stessa di prima: a seconda di come viene divulgata dagli economisti, magari si'. In particolare, tengo a sottolineare che quando parlo di divulgazione viziata da ideologia non parlo di una ideologia sola: professori che esagerano con i trucchetti retorici, ne ho visti tanti di destra e altrettanti di sinistra.

Risposte varie... Michele B. / 3

Questa è la morale della storia che racconti. Nè più né meno.

Il vero punto che volevo fare, in realtà, prescinde in una qualche misura dal liberismo o dal socialismo statalista. Il pericolo che vedo io è che la propaganda interessata basata sul "nocciolo duro" delle teorie economiche puo' cambiare i personal beliefs. Nell'esempio tedesco reale, le 6 settimane sono stabilite per legge, ok. Ma io avrei paura della propaganda interessata anche in altri ambiti.

Risposte varie... Andrea M.

 

Le cose che tu stesso dici, e che ha poi chiarito Michele, dovrebbero farti capire che in questa frase hai torto. Nessuno (spero) nelle lezioni di economia dice che bisogna massimizzare la crescita del PIL, e lo studente che la pensasse diversamente ha capito male la lezione.

 

Come sopra... riguardo al PIL, ma scrivo veramente cosi' male? Dove dico che bisogna massimizzare la crescita del PIL? E non mi sono mai sognato di dire una cosa del genere a uno studente... Vabbe', se volete mi prendo la colpa. Ma il mio punto è che la frase "bisogna massimizzare la crescita del PIL" è ricorrente nel policy debate a tutti i livelli, per cui mi sono permesso di inserirla in quello che ho definito "nocciolo duro" della testa della classe dirigente. Se c'è questo concetto nella testa della classe dirigente e non viene fuori dalla teoria economica, dove sta il problema se non nella questione divulgativa? E gli economisti non c'entrano niente con la questione divulgativa?

 

 

Il pericolo che vedo io è che la propaganda interessata basata sul "nocciolo duro" delle teorie economiche può cambiare i personal beliefs. Nell'esempio tedesco reale, le 6 settimane sono stabilite per legge, ok. Ma io avrei paura della propaganda interessata anche in altri ambiti.

 

Commento solo questo, che è il punto chiave, visto che sul resto ci si è capiti.

Ma allora l'unica cosa che ti preoccupa è la "propaganda interessata", in qualsiasi area, economica, fisica, psicologia, medicina, eccetera. Ossia la pubblicità dei propri argomenti. Perché può portare a conseguenze e scelte non desiderabili.

Il problema non è l'economia, quindi, ma la pubblicità, per chiamare l'attività che ti spaventa con una parola sola! Anche quella cosmetica è pericolosa, eccome se lo è! E quella sull'AntroGlobalWarming? Enormemente, no? Ha avuto successo e stanno legiferando di imporci tutti i tipi di comportamenti non desiderati, e di farceli anche pagare salati con le nostre tasse, perché così i lobbisti che hanno avuto successo si possano riempire di soldi! QUELLA sì che è pericolosa, vista l'evidenza su cui si basa, altro che economics. La velocità con cui l'idea del riscaldamento irrefrenabile e la distruzione del pianeta, il "nucleo duro" ed irrazionale che sta al centro di quella macchina di scempiaggini pubblicitarie che è il movimento anti-AGW, ha occupato la testa dei politici e della gente è spaventosa, altro che crescita del PIL! 

In sostanza, il problema è: come si regola il dibattito pubblico ed il collective decision making nelle società moderne. Un problema al quale i colleghi studiosi di public choice e social choice hanno contribuito marginalmente perché la questione dura è, ripeto, una di filosofia politica.

 

Come sopra... riguardo al PIL, ma scrivo veramente cosi' male? Dove dico che bisogna massimizzare la crescita del PIL? E non mi sono mai sognato di dire una cosa del genere a uno studente... Vabbe', se volete mi prendo la colpa. Ma il mio punto è che la frase "bisogna massimizzare la crescita del PIL" è ricorrente nel policy debate a tutti i livelli, per cui mi sono permesso di inserirla in quello che ho definito "nocciolo duro" della testa della classe dirigente. Se c'è questo concetto nella testa della classe dirigente e non viene fuori dalla teoria economica, dove sta il problema se non nella questione divulgativa? E gli economisti non c'entrano niente con la questione divulgativa?

 

 

Mi permetto di aggiungere umilmente qualche piccola considerazione.

Putroppo il sistema è giunto ad attuare una solidità organica tra il concetto di sviluppo economico (intesa come incremento del PIL) ed espressione individuale. L'idea positiva della crescita è ben radicata a tutti i livelli. L'individuo sarebbe in crescita come l'economia (anche se questa crescita oggi dovrebbe essere senza dubbio sostenibile). C'è chi sostiene che infatti oggi l'individuo non si costruisce o si coltiva ma cresce. Anche il sindaco della mia piccola cittadina sta attuando una campagna elettorale - per puntare alla rielezione - sulla crescita della città inondando la cittadinanza di propaganda sulle nuove opere e nuove attività realizzate, ma se la città è cresciuta fisicamente ed oggettivamente  è cresciuta di parecchio anche la caoticità, il traffico e lo smog e tutte le altre esternalità negative. Non sono cresciuti affatto gli spazi verdi e di incontro; vivere e spostarsi è diventato sempre più difficile. Se crescerà fino ai confini municipali cosa accadrà dopo?

Quando la classe dirigente pensa di uscire dalla crisi aumentando i consumi per sostenere la crescita dell'economia sono convinti che tale aumento sia sufficiente per sostenere il sistema e per non rinunciare a quanto raggiunto, ma fino a quando può durare una crescita illimitata?

Non sembra che per le scelte di politica economica, vi sia una netta separazione tra politici e teorici economisti. Tali scelte vengono fatte in direzione di crescita, ma mi chiedo perchè l'economia si dovrebbe fermare all'osservazione neutrale e non dovrebbe interessarsi di ciò che potrebbe accadere muovendosi nella direzione della crescita illimitata? Se i feedback ci sono perchè non considerarli?

 

Claude Allegre, confesso il conflitto di interessi: e' un amico e una persona intelligente, e' pure di sinistra Fece il ministro (nel cabinet Jospin per molti anni.)

Mise in luce, quanto lo fece in termini diversi il dr. Scafetta a nFa-giornate alcuen settimane fa, come non sia chiaro se il riscaldamento vero o presunto sia attribuibile a fatti antropogenici (simao noia  "scaldare" il mondo?) e questo genero' a lui una violenta critica dei settori ecologisti/"verdi".

Solo per sottolieanre, appunto per rettificare i resoconti, che sia falso che le "sinistre" siano composte (o solo composte) da persone che pensao che l'"economia" sia M.me Forrester o la teoria "politica" sia questo Letouche, che, ahime' o ahinoi, fa/faceva l'economista di mestiere, accademico etc.

 

inizia con la frase "Il lavoro è un'invenzione della borghesia"

 

"Volendo dire le cose crudamente e con un elemento di forzatura, il lavoro è un’invenzione della borghesia". Qui il resto.

 

"Volendo dire le cose crudamente e con un elemento di forzatura, il lavoro è un’invenzione della borghesia". Qui il resto.

 

Purtroppo il Nostro glissa allegramente sul fatto che fu proprio un liberal-borghese (e certamente non filo-aristocratico) come John Stuart Mill a polemizzare aspramente con la concezione nobilitante del lavoro portata avanti dal feudalista e pro-latifondista Thomas Carlyle. Dettagli qui.

il parlar per ragione di ventilazioen orale, il lavoro e' un'invenzione del dominio, del dominio della natura su di noi (non e' un caso che i nomadi siano pochi e facciano una vita di difficolta' difficile a concepire prima di provarla) che spesso vogli/amo/ono fanciulel e fanciulli.

La centrarono moto meglio gli operaisti di cui accennavo (qui in BiblioteKa), la borghesia c'entra come i cavoli, se fosse un minimo piu' acculturato tal Latouche potrebbe guardare Sparta in cui nessun cittadino lavorava (solo le armi sono nobili il resto e' per "vili meccanici.")

 

forse (quasi con certezza) nulla a che fare con la de-crescenza (sene-scenza?) in economia, ma avete

seguito l'affascinante dibattito?

http://www.mtvnews.it/2-news/esteri/la-tesi-di-hawking-dio-e-superfluo-il-creato-viene-dalla-fisica/

 

solo per chi ha un'infarinatura di ragionamento e/o di fisica...

 

ma come avrà fatto il signor Latouche con questa pessima retorica a convincere così tanta gente di star dicendo cose meritevoli di attenzione? Boh.

 

Considerando questa come se fosse una domanda vera e propria (premessa tutt'altro che scontata e probabilmente scorretta), e non una semplice provocazione, io mi domando come sia possibile evitare che Latouche abbia dei seguaci - e questo a prescindere da quello che dice.

Perche' l'uomo e' irrazionale, quindi anche se e' vero che agli occhi di un'analisi accademica i temi della decrescita fanno acqua, e' anche vero che l'opinione pubblica mondiale fa MOLTA fatica anche solo a immaginare come un mondo che presegue la crescita continua possa realisticamente continuare ad essere "in salute" senza evitare la catastrofe. Dopotutto, lo sanno anche i sassi che persino l'impero romano e' caduto, no?

Gli economisti sono perda facile perche' agli occhi dell'opinione pubblica (problema di comunicazione , ideologico o intellettuale? Non chiedetelo a me) sono proprio coloro che spingono per la crescita e non propongono ne' alternative alla stessa, ne' spiegazioni convincenti sul perche' la crescita sia comunque il male minore di fronte problemi demografici ed ambientali globali. Io penso che senza una spiegazione convincente su quest'ultimo punto, sara' inevitabile che libri come quello di Latouche riscuotano successo e attenzione.

Era una domanda semi-seria, nel senso che anche condividendo quello che tu dici, occorre riuscire ad esprimersi in modo intellegibile per avere dei seguaci. Non ho trovato nessuna comprensibilita' nel libro, ma non nel senso che non spiega razionalmente le sue tesi, nel senso proprio che non si capisce di cosa stia parlando, almeno non senza saperlo gia o avendolo letto nelle recensioni. 

Nella misura in cui prende coscienza o si convince del proprio carattere distruttivo e autodistruttivo, il capitalismo procede alla mobilitazione delle forme di energia alternativa – rese disponibili dallo sviluppo tecnologico -, che determinino una quantità sempre minore di inquinamento e di distruzione. Per sperare di sopravvivere, il capitalismo si sottomette, cioè, all’apparato tecnico della salvaguardia ambientale. Se non potesse rivolgersi all’innovazione tecnologica e perpetuasse le forme attuali della produzione con l’impiego delle forme di energia attualmente utilizzate, il capitalismo si troverebbe di fronte a questo dilemma: o imporre alla società la perpetuazione delle forme di produzione da esso attualmente praticate, provocando «realmente» la distruzione della Terra – o attivando sempre di più la «convinzione» che le sue procedure economiche distruggono la Terra -; oppure rinunciare alla produzione in vista del profitto e produrre limitatamente in vista della sopravvivenza della Terra. Nel primo caso, la produzione economica o perviene «realmente» alla distruzione della propria base naturale e quindi alla distruzione di se stessa, oppure alimenta a tal punto quella «convinzione» circa il suo carattere distruttivo da provocare il rifiuto della società a proseguire sulla strada del capitalismo. Nel secondo caso, il capitalismo, costretto ad assumere come scopo primario la sopravvivenza della Terra e dunque a rinunciare al proprio scopo, cioè al profitto, è costretto a rinunciare a se stesso. O distrugge la Terra, e quindi distrugge se stesso; oppure si dà un fine diverso da quello per il quale esso è quello che è, e anche in questo caso distrugge se stesso.

Emanuele Severino, Il declino del capitalismo, Rizzoli, Milano, 1993.

Tanta solidarietà, Andrea, da parte mia. Io ho portato al mare il "Breve trattato sulla decrescita felice" del nostro eroe, con identiche conseguenze. Anche io su consiglio di un'amica.

L'unico beneficio (comune) è che la mia compagna (che sarebbe anche un po' no-global!), dopo aver sopportato i miei brontolii tra tenda e spiaggia, potrebbe fare giustizia di Latouche alla prima occasione buona.