Dieci anni di destra e sinistra in Italia.

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Ho provato a raggruppare i voti espressi nelle elezioni italiane nelle categorie di "destra" e "sinistra" dal 1994 al 2006. Risultato: i blocchi sono stabili e più o meno si equivalgono, le elezioni vengono decise praticamente in modo esclusivo dalle alleanze pre-elettorali e dal sistema elettorale

Come ben noto, il sistema politico italiano è radicalmente cambiato (nell'offerta elettorale, se non in quello che poi fanno i politici quando governano) a partire dalla stagione di "mani pulite". Il punto di cesura coincide con l'elezione del 1992, l'ultima che si è tenuta con il sistema proporzionale. A partire dal 1994, per tre elezioni consecutive (1994, 1996 e 2001) gli italiani hanno votato alle elezioni politiche con il mattarellum, un sistema misto a forte componente maggioritaria. Il resto, con l'ignobile introduzione del porcellum a fine 2005, è storia recente.

Il cambiamento del sistema elettorale ha comportato un riallineamento delle forze politiche e ha permesso una rinnovata identificazione dell'elettorato lungo le linee semplificatrici di destra-sinistra. Cosa ha significato questo?

La congettura da cui parto è che in qualche modo l'idea di essere "di destra" o "di sinistra" sembra pervadere in modo assai profondo l'elettorato italiano. La sostituzione del sistema proporzionale con uno a larga componente maggioritaria ha reso più importante questa caratteristica. A dir la verità, "profondo" non è necessariamente la parola giusta. Non sempre risulta chiaro agli elettori quali politiche concrete dovrebbero essere associate a una particolare identità politico-ideologica (si pensi al cruciale tema delle liberalizzazioni, che vede idee radicalmente differenti in entrambi gli schieramenti); la scelta elettorale diventa quindi principalmente scelta identitaria, e piuttosto che profonda la si potrebbe definire superficiale.

Sia come sia, il dato di fatto è che questa scelta identitaria produce comportamenti elettorali che portano principalmente a ridistribuzioni dei voti interne ai blocchi, ma molto raramente a spostamenti di voti da un blocco all'altro. Dato che i due blocchi sono più o meno fissi nel tempo, le principali novità arrivano dalla strutturazione dell'offerta politica in forma di alleanze elettorali decise a tavolino prima delle elezioni. Sono tali decisioni, prese normalmente dai gruppi di controllo dei principali partiti secondo logiche di massimizzazione del loro potere, più che il cambiamento nelle scelte degli elettori, a determinare il risultato elettorale.

Questa la congettura iniziale. A questo punto sono andato sul sito del ministero degli interni e mi sono scaricato i dati delle elezioni dal 1994 in poi. Come ho detto, non guardo alle elezioni precedenti perché sono state tenute con un sistema proporzionale; è diventato ex post chiaro che le forze politiche dell'Italia pre-1992 non erano sempre facilmente catalogabili come "di destra" o "di sinistra". In effetti, se escludiamo il PCI ed il MSI, politici ed elettori di tutti gli altri partiti sono finiti sia in quello che è diventato il blocco di destra sia in quello che è diventato il blocco di sinistra. Cercare di stimare la forza numerica di "destra" e "sinistra" come categorie identitarie prima del 1994 appare quindi un esercizio abbastanza futile.

Dal 1994 in poi le cose cambiano. Non che non ci sia stata la consueta razione di voltagabbana, alla Mastella o Dini per intenderci. Ma le caratteristiche dei due blocchi tendono a farsi più delineate e una stima della forza numerica delle due categorie identitarie diventa possibile. Mi chiedo quindi se i dati elettorali supportano la congettura di un elettorato sostanzialmente fermo. Si noti che parlo volutamente di "categorie identitarie" piuttosto che di forze politiche concrete. Quello che cerco di fare è stimare quanti elettori si sentano "di sinistra" o "di destra", anche se votano per partiti che non si presentano sempre alleati. Movimenti all'interno della destra e della sinistra sono certamente avvenuti; questo è stato un periodo di intensa attività in termini di creazione, fusione e scomparsa di partiti. Non sono invece avvenuti grossi spostamenti di voti tra i due blocchi.

Passiamo ai numeri. I dati per le elezioni alla Camera dal 1994 al 2006 li ho raccolti in un foglio di calcolo e li trovate qui. Il foglio di calcolo contiene i dati di ogni elezione e mostra come ho aggregato tra "centrodestra" e "centrosinistra" i voti delle varie forze politiche. In molti casi la scelta è semplice, ma in altri no. Però direi che l'unica scelta che può essere controversa e al tempo stesso numericamente significativa è quella di classificare i radicali nelle loro varie manifestazioni come forza "di sinistra". L'ho fatto in parte perché l'evoluzione storica li ha portati ad approdare al centrosinistra e in parte perché molte delle questioni su cui si sono tradizionalmente battuti (divorzio, aborto, antiproibizionismo, anticlericalesimo) appartengono in modo abbastanza chiaro più alla cultura della sinistra che della destra. Ricordo che con il mattarellum si votava con due schede, una per eleggere con voto proporzionale il 25% del parlamento e una per eleggere in modo maggioritario il restante 75%. Queste due tabelle riassumono i dati.

Propoporzionale Camera
 
    
anno1994 1996 2001 2006
Centrodestra 42,84
 
53,06
 
49,95
 
49,69
 
Centrosinistra 36,26
 
45,17
 
46,66
 
49,91
 
Centro 17,95
 
  2,39
 
 

 

Maggioritario Camera
 
    
anno1994 1996 2001 2006
Centrodestra  52,79
 
45,75
 
49,69
 
Centrosinistra  45,19
 
49,44
 
49,91
 
Centro    3,52
 
 

Il sito del Ministero non fornisce il dati per il maggioritario 1994. Comunque, credo che quella sia stata un'elezione che possiamo definire di "transizione", e poco significativa per il resto dell'analisi. Fu la prima elezione con il mattarellum e le forze politiche arrivarono chiaramente impreparate. Ci furono cose bizzarre come l'alleanza tra FI e Lega al nord (contro AN) e al contempo l'alleanza FI-AN al sud. Il Partito Popolare e la lista Segni raccolsero circa il 18% dei voti; fu il canto del cigno dei democristiani che non volevano schierarsi a destra o sinistra.

Quella del 1996 è la prima elezione in cui i due blocchi iniziano a pigliare consistenza e ad assumere contorni definiti. Due osservazioni qui. Primo, come tutti ricordiamo, l'elezione fu vinta da Prodi nonostante le forze di centrodestra avessero ottenuto più voti. La ragione stava nelle alleanze pre-elettorali: la Lega andò da sola, e la divisione del centrodestra fece vincere i candidati del centrosinistra in molti collegi uninominali del Nord. Secondo, io credo che il dato sovrastimi la forza reale dell'elettorato di destra. Il 53% raccolto dalla destra è frutto di un risultato straordinario della Lega, che nel 1996 raccolse più del 10% del voto nazionale. Ci sono due ragioni per cui fatico a definire come "identitariamente di destra" tutto quel voto. Primo, il periodo 1994-1996 fu un periodo in cui la Lega appoggiò, con l'astensione o con il voto esplicito, un governo di centrosinistra. Secondo, la Lega non è mai più stata capace di replicare quel risultato dopo la scelta di collocarsi stabilmente nel centrodestra; dal 2001 ha sempre vivacchiato intorno al 4% dei voti. Parte dei voti leghisti del 1996 sono indubbiamente andati ad altre forze di destra, ma una quota non piccola è migrata stabilmente a sinistra dove probabilmente è sempre appartenuta.

Nel 2001 apparse "Democrazia Europea", che si autocollocava al centro (ma che, se guardiamo i dati, ha preso il proprio elettorato dal centrodestra) ed ha avuto un qualche successo. A parte questo elemento di disturbo, si manifesta la tendenza al consolidamento in due blocchi di simile dimensione. Anche questa elezione, come quella del 1996, venne vinta dallo schieramento che ottenne meno voti grazie alle alleanze stabilite a tavolino prima del voto. Alla Camera, nella parte uninominale, mancarono ai candidati del centrosinistra i voti di radicali e Di Pietro (non di Rifondazione, che alla Camera praticò la desistenza). Questo, e solo questo, produsse la vittoria di Berlusconi. I commentatori politici poco attenti ai numeri ed ai dettagli del sistema elettorale tendono a parlare entusiasticamente di risultati elettorali determinati da un "nuovo spirito", "cambiamento di paradigma" o altre sciocchezze. La verità nuda e cruda è che, grazie alle alleanze elettorali, i risultati delle elezioni del 1996 e del 2001 andarono esattamente nella direzione opposta del (comunque piccolo) movimento degli elettori. Tali alleanze, a loro volta, sembrano essere determinate da ripicche e giochini di potere abbastanza personalistici più che da grandi progetti ideali.

Il 2006 è storia recente, e non mi dilungo. Conferma e porta a maturazione la divisione dell'elettorato in due blocchi di simili proporzioni, una tendenza che a mio avviso è abbastanza chiara a partire dal 1996. Vedremo se l'elezione del 2008 porterà a mutamenti di questa tendenza. La mia congettura è che non avverrà. Non vi saranno forti spostamenti tra i due blocchi ed il risultato finale sarà determinato dalle alleanze precedenti al voto e dal sistema elettorale, che nel frattempo è divenuto sempre più bizzarro.

Per completezza includo anche i dati del Senato. Qui trovate il foglio di calcolo con i risultati dal 1994 in poi. La storia è più o meno quella della Camera.

Senato    
anno1994 1996 2001 2006
Centrodestra 40,34
 
50,05
 
43,83
 
49,87
 
Centrosinistra 35,88
 
46,19
 
50,00
 
49,13
 
Centro 16,69
 
  3,15
 
 

Direi che qui la cosa più degna di nota è il drammatico calo di consensi del centrodestra nel 2001, ossia ... l'anno in cui vinse le elezioni. Questo fu causato da una fuga degli elettori leghisti in parte verso il centrosinistra e in parte verso movimenti minori locali, oltre che dal successo di Democrazia Europea. Se classifichiamo DE come appartenente al centrodestra, il comportamento dei sue blocchi appare più stabile e il calo del centrodestra smette di essere drammatico. La vittoria di Berlusconi al Senato del 2001 fu determinata esclusivamente dalla scelta di Rifondazione di presentare liste proprie e di non allearsi con Rutelli, dividendo così il voto di centrosinistra.

Come ultimo contributo alla discussione inserisco la serie storica della partecipazione al voto, i dati sono relativi alla Camera. 

anno 1983
 
1987 1992
 
1994
 
1996
 
2001
 
2006
 
Percentuale votanti 88,01
 
88,83
 
87,29
 
86,14
 
82,88
 
81,38
 
83,62
 
Percentuale voti validi
 
82,89
 
84,42
 
82,73
 
80,43
 
76,90
 
75,37
 
81,18
 

Anche qui la storia è relativamente semplice. Guardiamo alla percentuale dei voti validi, che è la più significativa. Il passaggio da un sistema proporzionale a un sistema maggioritario tende sempre a semplificare l'offerta politica, riducendo la partecipazione al voto. Questo c'era da attendersi dopo la modifica del sistema elettorale, e questo è successo. Nel 1994 la tendenza fu poco marcata perché, come già discusso sopra, fu un anno di transizione con un'offerta partitica non conforme al sistema elettorale. Nel 1996 e 2001, invece, l'effetto appare in tutta la sua forza. Viene immediatamente cambiato nel 2006 con l'introduzione del porcellum, che ha una forte componente proporzionalista e ha quindi indotto una partecipazione al voto simile a quella delle elezioni pre-1992. Direi quindi nessuna tendenza storica di disaffezione dell'elettorato. A dispetto di quello che si legge sui blog e delle diffuse lamentele, gli italiani continuano entusiasticamente a votare e a votare sempre per lo stesso schieramento, lasciando ai politici e ai loro negoziati sulle alleanze il lavoro di decidere chi deve vincere le elezioni. Vedremo se l'elezione del 2008 introdurrà cambiamenti in questo scenario di fondo. Io ho scommesso una birra che no.

 

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Commenti

Ci sono 21 commenti

Anche io sono convinto che non ci sarà tutta quella astensione. Se ricordo bene nel 2006 si paventava forte astensione (tanto che dicevano che BS sarebbe stato bollito proprio per i delusi del centrodestra che non sarebbero andati a votare), e poi invece si è visto.

Molto interessante questa analisi comunque, mal contato sembra che in Italia vinca le elezioni chi perde. In omaggio ad un modo di pensare che quando vede un vincente cerca subito di demolirlo calunniandolo o di affossarlo per invidia.

Bah... 

 

Sandro, grazie ancora una volta per l'ottima analisi. Una delle cose che ha

attirato la mia attenzione e' la differenza fra la percentuale dei votanti e la

percentuale dei voti validi. Nella loro analisi Michele Bottone e Antonio Mele

(qui)

sostengono giustamente che confrontare i dati del 2006 con quelli del 2001

"dal punto di vista statistico é come

confrontare mele con pere. Le elezioni del 2001 si sono

svolte con un sistema elettorale prevalentemente maggioritario, dove gli

incentivi degli elettori sono completamente diversi dagli incentivi in un

sistema proporzionale come quello del 2006". I dati di Sandro,

pero', mi inducono a pensare che la loro affermazione "il dato del 2006 non é poi tanto diverso da quelli delle elezioni

svoltesi prima del 1992 (con sistema proporzionale)" non

sia troppo accurata.

I dati con le differenze sono sono:

 

anno

 
 

1983

 
 

1987

 
 

1992

 
 

1994

 
 

1996

 
 

2001

 
 

2006

 
 

%votanti

 
 

88,01

 
 

88,83

 
 

87,29

 
 

86,14

 
 

82,88

 
 

81,38

 
 

83,62

 
 

%validi

 
 

82,89

 
 

84,42

 
 

82,73

 
 

80,43

 
 

76,9

 
 

75,37

 
 

81,18

 
 

diff.

 
 

5,12

 
 

4,41

 
 

4,56

 
 

5,71

 
 

5,98

 
 

6,01

 
 

2,44

 

Si passa da una media del 4,7 per gli anni 1983, 1987 e 1992 ad un misero

2,44. Si potrebbe obiettare che nel proporzionale pre 1994 c'erano le preferenze e le persone

potevano sbagliare piu' facilmente a scrivere nomi o numeri. Anche in un paese a bassa scolarizzazione

come l'Italia pero' la cosa mi sembra poco probabile. A cosa puo’ essere dovuta

questa differenza?

 

i voti non validi come erano ripartiti tra schede nulle e schede bianche? credo che questo dato possa avere più di una conseguenza, anche perché (fortunatamente non solo per questo), in fase di spoglio, non è impossibile trasformare in voto utile una scheda bianca se è sufficiente un segno su un simbolo...

p.s. primo commento sul mio blog preferito. potevo fare di meglio.

 

 

Una affermazione come "non e' poi cosi' diversa" e la conseguente attribuzione del calo dei voti validi al cambio di sistema elettorale senza preferenze e' dovuta all'analisi della serie storica delle schede bianche col proporzionale, che nel 1987 fu dell'1,8 circa e nel 1992 del 2,1 circa, molto meno lontano dal dato del 2006 che e'  stato dello 1,1. Considerando che la scheda 2006 era incredibilmente semplice e chiara, e senza spazio per scarabocchi legati alle preferenze, mi sembra ragionevole attribuire il cambio di voti validi in proporzione maggiore alle nulle. Roberto Alimonte a dicembre 2006 pubblico' un articolo nel quale diceva sostanzialmente la stessa cosa, indicando inoltre che le nulle erano schizzate verso l'alto in Trentino dove c'era il maggioritario e erano drasticamente diminuite nel 2005 e 2006 in Toscana, che per prima adotto' questo tipo di scheda elettorale per le regionali.

Comunque se vogliamo la parte concettualmente piu' criticabile (almeno per i puristi) piu' che quella di descrittiva, e' quella legata al teorema del ballottaggio e al principio di invarianza per spiegare lo spoglio. Ma Le elezioni del 2006 (astraendo dal Trentino) sono state un eccezionale caso di scuola, con unico collegio nazionale alla camera per il premio di maggioranza e le due coalizioni che insieme hanno superato il 99,5%.

 

 

Complimenti per l'ottima analisi. E' da tempo che sostengo le stesse cose (divisione destra/sinistra essenzialmente stabile dalla scomparsa della DC, vittorie elettorali dei "blocchi" minoritari nel 96 e 2001, determinate solo dalle alleanze), ma non mi e' mai capitatodi vedere una spiegazione cosi' chiara e a argomentata anche nei dettagli.

Alcuni commenti:

I (lievi) spostamenti del 96 e 2001, in controtendenza con chi poi vinse effettivamente le elezioni, potrebbero spiegarsi con la maggiore diversificazione di offerta politica da parte del blocco che di volta in volta non era aggregato all'interno di un'alleanza. Cio' concorderebbe con la tua analisi sulla minore partecipazione al voto collegata con la minore offerta.

In un sistema cosi' "bloccato" e' probabilmente significativa la differenza fra maggioritario (favorevole al Centrosinistra) e proporzionale (favorevole al Centrodestra), presente sia nel 96 che nel 2001. Diverse spiegazioni sono possibili. In ogni caso, va ricordato che tale differenza e' all'origine della trasformazione in senso proporzionale del sistema elettorale effettuata dal centro-destra col Porcellum.

Riguardo alla tua scommessa (e non solo), ho fatto un esercizio. Ho preso la media dei sondaggi 2008 del mese di Marzo, e ho aggregato i dati in due modi diversi, tenendo l'UDC separata dal Centrodestra (1) o includendola (2). Riporto i risultati qui sotto, aggiunti alla tua tabella sulla Camera. Ognuno e' libero di trarre le sue conclusioni...

Camera Proporzionale
 
      
anno1994 1996 2001 2006 2008 sond (1)
 
2008 sond (2)
 
Centrodestra 42,84
 
53,06
 
49,95
 
49,69
 
46,8 53,3
Centrosinistra 36,26
 
45,17
 
46,66
 
49,91
 
44,9 44,9
Centro 17,95
 
  2,39
 
  6,5 

 

 

 

Intato Sartori cavalca la presunta onda di sfiducia per riproporci in sordina la carta DC.

Questo pezzo e' molto interessante pero' non sono d'accordo con la conclusione. Cioe' quando dici:

 

Direi quindi nessuna tendenza storica di disaffezione dell'elettorato.

A dispetto di quello che si legge sui blog e delle diffuse lamentele,

gli italiani continuano entusiasticamente a votare e a votare sempre

per lo stesso schieramento

 

 

Soprattutto dal 92 (ma secondo me lo e' sempre stato) il voto italiano sembra essere diventato un voto contro piu' che un voto a favore quindi quell'entusiasmo che sembra trasparire dai numeri e' secondo me soltanto un'altra faccia della rassegnazione al peggio. Io manco un po' dall'Italia pero' mi ricordo di quando si diceva di votare turandosi il naso o quando si parlava di referendum pro-berlusconi. Se nella prima repubblica la politica era animata principalmente dall'odio tra i doncamilli e i pepponi adesso e' uno scontro tra chi odia berlusconi o odia i comunisti; nella mia esperienza aneddotica conto tanta gente che vota a sinistra soltanto per la paura di vedere tornare berlusca e viceversa (anche se il primo campione e' molto piu' grosso per via del mio bias).

Mi scappa anche da dire che l'Italia e' un paese dove (a parole) la forbice politica e' estremamente ampia, molto piu' ampia di molti altri paesi europei: sara' il fatto che ci han liberato i comunisti a nord e gli americani a sud pero' io non conosco nessun altro paese in cui le fazioni estremetiste di destra (dai fascisti alla lega) o di sinistra (tra i partiti in lizza a sto giro ce ne e' uno che ha in programma gli espropri proletari al clero...) hanno cosi' tanto risalto. E ovvio che piu' lontano da te e piu' forte il tuo avversario, maggiore il tuo motivo per cercare di partecipare alla sfida.

Da questo punto di vista ha ragione la sora lella quando dice che "di giorno se ammazzano in tv, ma la sera e' tutto un magna magna allo stesso tavolo".

Il problema di tutte le mie analisi politiche di fatto e' questo: per quanto possa provare ad andare nel dettaglio e nello specifico alla fine mi accorgo che la sora lella c'era arrivata prima di me.

Sui numeri quindi sono d'accordo con te: piu' la campagna elettorale si fa spaccante e offensiva (attacchi personali, chiamata alle armi, attacchi al presindente etc) e' maggiore e' la probabilita' che diminuiscano le schede bianche.

 

Non è un commento, è un invito alla birra, nel senso che quando sandro la vincerà sarà il caso di dividersela. O no ?

 

 

La congettura da cui parto è che in qualche modo l'idea di essere "di destra" o "di sinistra" sembra pervadere in modo assai profondo l'elettorato italiano. La sostituzione del sistema proporzionale con uno a larga componente maggioritaria ha reso più importante questa caratteristica. A dir la verità, "profondo" non è necessariamente la parola giusta. Non sempre risulta chiaro agli elettori quali politiche concrete dovrebbero essere associate a una particolare identità politico-ideologica (si pensi al cruciale tema delle liberalizzazioni, che vede idee radicalmente differenti in entrambi gli schieramenti); la scelta elettorale diventa quindi principalmente scelta identitaria, e piuttosto che profonda la si potrebbe definire superficiale.

 

 Provo a ragionare un po' in libertà e quindi avvertitemi se il mio ragionamento ha delle falle logiche (cosa non improbabile).

Credo che nel quadro politico italiano le vera distinzione non sia tra destra e sinistra, ma tra "costituzionalisti" e "acostituzionalisti".

Provo a spiegarmi. La novità dirompente rappresentata dal primo governo Berlusconi, poi in varie forme riprodottasi negli anni successivi,  non è stata tanto l'andata della destra al potere, quanto il fatto che ad andare al governo furono soggetti politici che non avevano concorso alla scrittura della Costituzione, vale a dire:

- AN,  ossia un discendente culturale diretto (e in parte anche politico) del partito fascista

- FI, ossia una assoluta novità politica, un partito-azienda con venature liberal-populiste, totalmente identificato col suo fondatore e con il suo patrimonio

- Lega, ossia un partito localistico, con venature etnico-naziste: ein reich (la Padania) ein volk (i padani) ein fuhrer (Bossi)

il tutto condito con scampoli della vecchia DC (il CCD prima e l'UDC poi), sentiti sempre più come un corpo estraneo allo schieramento di cui erano parte e non a caso esclusi dall'ultima tornata elettorale.

In sostanza, non abiamo assistito a ciò che accade in tutte le democrazie mature, ossia l'andata al potere di una una destra che ha contribuito alla scrittura delle regole del gioco, ma di quella destra tipicamente italiota che quelle regole non le sentiva (e credo ancora non le senta del tutto) come proprie.

Dall'altra parte della barricata avevamo nel 94 (e abbiamo oggi) tutto l'arco costituzionale, vale a dire i discendenti diretti dei partiti che scrissero la costituzione, dal PPI (dicendente dalla DC) ai DS-RC (discendenti dal PCI) oltre a scampoli minori.

E' chiaro che in questa distinzione la polarizzazione creata dal maggioritario non è stata tanto tra progressisti e conservatori, che è la tipica distinzione destra/sinistra delle democrazie occidentali, quanto pittosto tra coloro che si riconoscono in questa costituzione e coloro che questa costituzione non la vogliono più, preferendo soluzioni federali (al limite del secessionismo) o (peggio) soluzioni improntate ad una visione populistica e cesaristica del potere (Michele direbbe peronista), che trova la sua fonte in precise ideologie e referenti culturali (P2 compresa).

 

 

Concordo. L'ho sempre vista così, e credo l'analisi sia fondamentalmente corretta.

Ora, nel dire questo potrebbe sembrare io creda che valga

costituzionalisti = buono

a(nti)costituzionalisti = cattivo

Ma questa sarebbe un'inferenza erronea. Per due ragioni:

1) Contrariamente a tanta diffusa retorica ed alle boiate che m'hanno insegnato dalle elementari in poi, io credo che la costituzione italiana sia una pessima costituzione. Non disastrosa, ma pessima sì.

2) La questione fascisti/antifascisti, e la guerra civile del 1943-46 con prolungamento al 1948, non è mai stata risolta. L'Italia non ha mai fatto il conto con il fatto che Benito parlava davanti a vere adunate oceaniche e NON è vero che la gente ci andava per forza. Esiste una fetta di paese, una fetta molto grossa, che non ha mai accettato la Repubblica del 1946 e la forma costituzionale che essa ha assunto. Le ragioni di questo rifiuto sono molteplici ed a volte ortogonali fra di loro: alcune hanno a che fare con la guerra civile e l'essere ancora fascisti, altre con l'impossibilità per un veneto o un lombardo d'identificarsi con lo stato roman-napoletano, altre ancora con la fondamentale estraneità della borghesia provinciale italiana dal sistema politico e l'incapacità di riconoscersi in uno "stato" e nei "beni pubblici", altre ancora dall'aver definito la propria identità in termini di sette sociali (chiesa cattolica, squadra di calcio) e non in termini di appartenenza ad una "nazione politica ed istituzionale" ...

Insomma, gli a(nti)costituzionalisti hanno delle "ragioni" profonde e storicamente serie; essendo intellettualmente primitivi e borbonici non sono mai riusciti ad articolare le loro "ragioni" in un programma di riforma costituzionale credibile. Il fallimento del federalimso leghista è l'esempio più macroscopico di questa insufficienza culturale. Ma l'ignoranza e la volgarità politica ed umana di Berlusconi&Bossi&Co NON eliminano il fatto che Roma SIA ladrona, che la forma e le strutture dello  stato italiano NON siano avvertite come proprie da una larga frazione dei cittadini, e che "l'arco costituzionale" difenda la propria esistenza a mezzo d'una santificata costituzione che, di nuovo, circa metà degli italiani non sente come propria. I due insiemi di fatti sono entrambi veri e vanno tenuti rigorosamente separati.

 

 

Analisi veramente interessante Sandro. Che mi sembra confermi che, a prescindere di come uno la pensi, l'Italia e' lontana dalla maturita' democratica di altri paesi (penso allo UK) dove l'elettorato si sposta in maniera piu' fluida valutando pragmaticamente i risultati dei governi. Mi sono sempre chiesto perche'. La tradizionale spiegazione "psicologica" (gli Italiani sono sempre stati guelfi e ghibellini, romanisti e laziali, livornesi e pisani, insomma troppo partigiani-testecalde e poco pragmatici di natura) mi convince fino ad un certo punto.

 

In queste elezioni, ovviamente e come nelle precedenti, ogni persona "schierata a priori" riterrà segno di maturità democratica votare per il proprio partito. Come ogni volta sono in gioco i destini del paese e l'altra parte porterà le sette piaghe d'Egitto. Che poi, in realtà, non faccia alcuna differenza lo sappiamo tutti ma, con soave ipocrisia italiana, raccontiamo storie complicate e piene di grandi valori per giustificare la nostra appartenenza tutta ideologica.

Esattamente come il tifo calcistico. Alberto, almeno, lo ammette onestamente. Ma trattasi di un'eccezione. Se vuoi capire la scarsa mobilità del voto, basta che guardi a come ha votato nFA

 

Mi sembra una osservazione interessante, in effetti ci sono molte enunciazioni di principi astratti. Se non sbaglio una cosa che pero' spesso si dice anche della Costituzione Italiana (mediocri reminescenze di diritto pubblico :-) e' che e' una Costituzione "socio-centrica" cioe' che ha i privilegiato la forza dei gruppi politico-sociali (partiti, sindacati, associazioni e via dicendo) a scapito della forza delle istituzioni. All'universita' si insegna spesso che e' stato fatto per "coltivare la ricchezza della societa' Italiana", il risultato dopo 60 anni e' che le "corporazioni" governano l'Italia molto piu' del Presidente del Consiglio (vedi sindacati e Alitalia).

 

Vado un po OT. Sto pensando di provare a studiare quale e' il costo delle elezioni in Italia. Non solo in termini di spesa pubblica (ovviamente molto semplice), ma anche dell'andamento economico del paese, per vedere se ce' una "comportamento anomalo" del motore economico nel periodo pre/post elettorale. Ovviamente prima c'e' da fare un lavoro empirico per studiare cosa dicono i dati e provare a buttare giu uno schema d'identificazione che abbia senso. 

Chi fosse interessato per un ipotetico paper interessante e non banale, nel medio-lungo termine, mi contatti. Ovviamente non sono a conoscenza di studi simili, se qualcuno conosce qualche reference, ben venga!

 

 

 

 

Beh, Alesina e Roubini ci hanno scritto un libro, ormai un po' datato. La prima edizione MIT press è del 97, si intitola Political Cycles and the Macroeconomy, stampato in italiano da Egea come Economia Elettorale. E' una review della letteratura teorica ed empirica, a quanto ne so non sono stati fatti moltissimi passi avanti da allora.