Dissezione della deflazione in Italia: uno sguardo ai dettagli

/ Articolo / Dissezione della deflazione in Italia: uno sguardo ai dettagli
  • Condividi

L'Istat ha comunicato il 29 agosto 2014 che durante gli ultimi 12 mesi i prezzi al consumo in Italia si sono ridotti dello 0,1%. Il paese è quindi in deflazione, prima volta negli ultimi 45 anni. È utile guardare i dettagli del comunicato Istat per interpretare correttamente questo dato, cosa che purtroppo molti commentatori non sembrano aver fatto avendo preferito stracciarsi le vesti di fronte allo spettro tanto evocato che finalmente si materializzava. I dati suggeriscono invece che la riduzione dei prezzi è dovuta a espansione dell'offerta mondiale, mentre la domanda nazionale continua ad esercitare una (seppur modesta) pressione sui prezzi.

In un precedente post abbiamo fatto notare che diversi episodi di deflazione possono avere natura diversa. In particolare, poiché ogni mercato è costituito da due parti (la domanda da un lato e l'offerta dall'altro), abbiamo argomentato che è importante capire quali sono le forze sottostanti la riduzione dei prezzi durante episodi di deflazione prima di trarre la conclusione affrettata che "è come durante la grande depressione degli anni 30 del 1900". Presumibilmente, osservavamo in quel post, ci sono anche pressioni "buone" dal lato dell'offerta (non solo pressioni "cattive" dal lato della domanda) sotto il rallentamento dell'inflazione osservato in Italia e in altri paesi europei. I dettagli del comunicato Istat offrono alcuni utili indizi per riflettere sul punto. Questo post non offre un'analisi tecnica dettagliata (purtroppo in questo periodo non ho il tempo neppure di imbastirla) ma si limita a un breve commento per evidenziare questi indizi.

La tabella rilevante è la seconda, che scompone la variazione dell'indice dei prezzi al consumo per tipologia di prodotto e che riproduco qui sotto. Concentriamoci sulla colonna che riporta la variazione annuale, agosto 2014 su agosto 2013. Gli indizi importanti da notare sono due.

  1. Sono i prezzi dei beni a essersi ridotti, dello 0,6%. I prezzi dei servizi, invece, sono aumentati in uguale proporzione, dello 0,6% (nota: la media è negativa, -0,1% perché i beni hanno nel paniere Istat un peso maggiore dei servizi, 54,7% contro 45,3% -- colonna "Pesi").
  2. Tra i beni, quelli il cui prezzo si è ridotto sono gli alimentari non lavorati, i beni energetici, i tabacchi, e i beni durevoli. I primi tre hanno una cosa in comune: sono beni scambiati sui mercati mondiali delle commodities. Tra i servizi, invece, si è ridotto sostanzialmente il prezzo delle comunicazioni, che hanno però un peso piccolo nel paniere Istat.

Cosa suggeriscono questi indizi? Il primo, anche senza considerare il secondo, suggerisce che la riduzione dei prezzi è in buona misura importata. La suddivisione beni/servizi è infatti per un paese come l'Italia una buona approssimazione della suddivisione beni commerciabili (tradables)/beni non commerciabili (nontradables). Se consideriamo per un momento il solo lato della domanda, le variazioni dei prezzi dei primi riflettono la domanda su mercati più ampi di quello nazionale (e rispetto ai quali quello italiano è un mercato relativamente piccolo), mentre le variazioni dei prezzi dei secondi riflettono la domanda nazionale, essendo servizi domandati quasi interamente da residenti in Italia. Se la deflazione italiana fosse dovuta prevalentemente alla debolezza della domanda interna, allora dovremmo osservare deflazione anche (e soprattutto) nei prezzi dei servizi. Invece non la osserviamo: al contrario, osserviamo un aumento dello 0,6%. A meno che l'offerta di servizi non si stia contraendo, questo aumento suggerisce una modesta pressione della domanda interna.

Il secondo indizio conferma e rafforza il primo. Negli ultimi dodici mesi i prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari non lavorati si sono ridotti sui mercati mondiali. Da un rapido sguardo ai listini di questi mercati si impara che il prezzo del petrolio greggio è diminuito di quasi il 15% dal picco dell'estate 2013, il prezzo dei cereali e del riso si è ridotto di circa il 20% negli ultimi 12 mesi, quello dello zucchero di circa il 10%, quello del mais addirittura del 40%, eccetera. Queste riduzioni sostanziali non riflettono certo la debolezza della domanda italiana e neppure di quella europea. E' vero che sia l'Unione Europea sia gli Stati Uniti influenzano pesantemente il prezzo dei prodotti agricoli, ma non mi pare ci sia stato durante l'ultimo anno alcun drastico taglio dei sussidi all'agricoltura. Piuttosto, queste riduzioni riflettono il lato dell'offerta, l'offerta mondiale di commodities in questo caso. L'eccezione importante nella tabella dell'Istat sono i beni durevoli, il cui indice di prezzo al consumo si è ridotto dello 0,4% negli ultimi dodici mesi. Qui è dove si può forse vedere la debolezza della domanda interna (ma anche l'espansione dell'offerta mondiale di automobili ed elettromestici), ma non è una novità che durante una recessione si rimandi l'acquisto dell'auto o di una nuova lavatrice.

Nel gruppo dei servizi, è interessante notare la forte (6,7%) riduzione nel prezzo dei servizi di comunicazione, riduzione che è il più limpido esempio di deflazione indotta da innovazione tecnologica e, probabilmente, concorrenza (tra i gestori di servizi di telefonia, per esempio) in un mercato in rapida espansione e altamente contendibile. Moltiplicando questa riduzione per il suo peso nel paniere Istat (6,7%*1,82%) si scopre che il contributo alla deflazione italiana di questa voce è dello 0,12%, ossia un pelino di più dell'intera deflazione.

In conclusione, grattando la superficie del dato sbattuto a caratteri cubitali sulle prime pagine di sabato 30 agosto si scoprono indizi che suggeriscono la presenza anche di quella che abbiamo chiamato nel precente post "deflazione buona". Purtroppo l'Italia naviga da 15 anni in cattive acque, quindi mi rendo conto che questa è ben poca consolazione a fronte di, per esempio, il conseguente aggravio delle conseguenze di un elevato debito pubblico. Quantomeno, però, è utile riconoscere che le forze in azione non sono solo gli spettri degli anni 30 del 1900.

Indietro

Commenti

Ci sono 20 commenti

...che ne pensate di quest'articolo? marketmonetarist.com/2011/12/17/a-method-to-decompose-supply-and-demand-inflation/

Interessante, ma bisogna notare due cose:

1. Nell'articolo che citi si usa il termine "demand inflation" in un senso leggermente diverso da quello usato nel mio post e nel precedente. E' vero che se "inflation is always and everywhere a monetary phenomenon" cosi' deve essere per la deflazione (e infatti lo e'), ma per deflazione "cattiva" da domanda io intendo quella indotta da una forte contrazione della spesa, non quella indotta da una riduzione dell'offerta di moneta (anche se alla fine le due cose diventano equivalenti risolvendosi in un aumento del valore della moneta).

2. La decomposizione suggerita nell'articolo che citi e' semplice ma anche tricky perche' richiede la stima dell'output potenziale, che di questi tempi non e' costante ed e' quindi molto difficile da stimare. John Cochrane illustra molto bene queste difficolta' negli Stati Uniti.

Anche in Svizzera (da due anni in deflazione ma con PIL in crescita) si osserva lo stesso fenomeno. Fatto 100 il dicembre 2010, i prezzi al consumo sono scesi dell'1% e quelli all'importazione del 2.5%

Fonte dei dati qui
Tabelle excel qui per i prezzi al consumo e qui per i prezzi all'importazione.

 

da due anni in deflazione ma con PIL in crescita

 

QED

 E' in deflazione ormai da un paio di anni (e secondo me anche in maniera più marcata da quanto rilevato dall'Istat http://www.istat.it/it/archivio/127723 ), quanto pesa sul paniere?

Se capisco bene sono aggregati nel gruppo "Abitazione, acqua, elettricità e combustibili", peso 10,9% (Tabella 1), variazione -1,1% nell'ultimo anno.

Se ho compreso bene la teoria, quello dipende anche dall'andamento demografico. Più passa il tempo più ci troviamo in una situazione di sovrabbondanza di case rispetto a famiglie acquirenti.

Piccola nota tecnica: l'Italia (così come Belgio, Francia, Grecia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo e Spagna) include solo gli affitti nell'ICP. Altri paesi Europei + Stati Uniti, Canada e Giappone hanno deciso di includere anche una misura del flow di beni abitativi "consumati" da chi una casa l'ha acquistata.  In molti paesi questa misura viene dai cosiddetti imputed rents, ovvero quegli affitti che verrebbero pagati per affittare quell'abitazione (che non è in affitto!). Questo approccio detto user cost approach si basa sull'idea che si debba tener conto dei beni consumati, indipendentemente dal fatto che ci sia stata transazione monetaria nel periodo di riferimento.

Due conseguenze: 1) L'inflazione non è strettamente paragonabile tra paesi 2) In Italia si stanno misurando nell'ICP gli affitti di una fetta selezionata di case (quelle in affitto!). Che sia giusto o no si può dibattere.

 

edit: scusate se non ho messo il commento sotto/in risposta a quello precedente sul settore immobiliare. al momento non riesco a modificare questa cosa. la prossima volta farò meglio :)

Giusto, anche se in equilibrio affitti e prezzo delle case si muovono insieme.

in deflazione a zlb diventa complicato avere i tassi reali negativi che servirebbero, o sbaglio?

Per capire se siamo in deflazione "buona" o "cattiva" il post suggerisce di paragonare l'andamento dei prezzi dei beni all'andamento dei prezzi dei servizi. Adottiamo quindi questa metrica.

Siccome i prezzi dei servizi stanno crescendo dello 0,6%, e siccome quindi la deflazione (tecnicamente: inflazione negativa) è guidata dall'andamento dei beni (a loro volta influenzati dai prezzi mondiali delle materie prime), allora il post conclude che...non ho capito bene quale sia la conclusione, ma essa sembra essere che l'analisi dei dati per settore beni/servizi non dà particolare conforto all'ipotesi che la deflazione sia "cattiva".

Tale conclusione sarebbe alquanto inappropriata, a mio avviso. Il trucco sta nel fatto di aver guardato ai dati d'inflazione in un solo mese, piuttosto che alla serie storica. Nel link qui sotto riporto il grafico dell'indice dei prezzi al consumo assieme ai sottoindici dei prezzi dei beni e dei servizi in Italia (abbiate pietà: non ho tempo di capire come mai l'editor non mi carichi l'immagine dal link)

docs.google.com/file/d/0Bzme8wgTzHZ_STAtV3ZCQjdkVkE/edit

Si notano due cose.

Primo, l'inflazione nei prezzi dei beni è molto più volatile di quella nei prezzi dei servizi. Questo è abbastanza ovvio, ed è in gran parte legato, come diceva Giulio, all'andamento dei prezzi delle materie prime.

Secondo, l' "anomalia" che salta immediatamente all'occhio è l'andamento  negli ultimi 12 e rotti mesi dei prezzi dei servizi. Mai, da quando c'è l'euro, la crescita dei prezzi dei servizi è stata così bassa, nemmeno durante la grande recessione del 2009, periodo nel quale i prezzi dei beni si sono contratti allo stesso tasso di quanto sta accadendo ora, mentre il prezzo dei servizi continuava espandersi a poco meno del 2%. In realtà, se escludiamo gli ultimi 12 mesi, da quando c'è l'euro il prezzo dei servizi è cresciuto in media d'anno del 2,4% e di fatto non è mai stato al di sotto del 2% (circa). Contrariamente a questa regolarità più che decennale, al momento il prezzo dei servizi sta crescendo di solo lo 0,6%. Inoltre tale tasso di crescita è in discesa, e si trova ben al di sotto di qualsiasi livello minimo toccato precedentemente.

Prendendo quindi la metrica proposta dal post per distinguere la deflazione "buona" da quella "cattiva", la conclusione sarebbe che...beh direi che sarebbe un po' diversa da quella proposta...

NB1: Questo post, come il precedente, fa bene a ricordare che spesso, anzi molto spesso, la deflazione è associata a fenomeni "buoni". In effetti leggendo i giornali e ascoltando alcune discussioni sembra quasi che la deflazione sia sinonimo di disastro economico, cosa che non è. Ovviamente, ciò non toglie che questa giusta osservazione generale non sia di per sé di grande aiuto per capire da dove provenga questa deflazione, mentre può essere utile per affermare da dove provenga la deflazione nell'episodio medio.

NB2: Per qualche strano motivo che mi sfugge, il mondo mediatico sembra percepire solo il segno messo davanti ai numeri. Per cui l'inflazione a 0,1% sembra essere qualcosa di ontologicamente diverso da inflazione a -0,1% (in quest'ultimo caso parte la parolona "deflazione"!). Boh. Tornando al caso in questione, l'aspetto interessante non mi sembra essere che l'inflazione nel prezzo dei servizi sia a +0,6% (e quindi, pfiu, non è negativa!), ma mi sembra piuttosto essere il come mai essa sia stata sopra al 2%, anche in periodi di profonda recessione, ed ora sia invece stabilmente (nel senso che 18 punti fanno un trend :-) ), allo 0,6%. No, non c'è un boom di produttività nel settore dei servizi, in Italia. Magari.

 

Il ruolo delle esportazioni delle aziende italiane inserite nella filiera è significativo.

Per essere competitive le aziende devono competere su affidabilità e prezzo.

Vivo a Brescia e conosco l'impegno delle PMI per vincere la "selezione del mercato".

Mi chiedo se non sia possibile disaggregare dai conti nazionali l'effetto deflattivo della competizione sul prezzo delle esportazioni in valore aggiunto (ma forse è chiedere troppo alla statistica).

 

www.lavoce.info/uscita-dall-euro-svalutazione-esportazioni-importazioni-global-value-chain/

Nfa è stato nominato per l'ennesima volta come miglior blog d'economia ai mia14. Per votare dovevte andare qui http://www.macchianera.net/2014/08/28/mia14-macchianera-italian-awards-2014-2-scheda-di-votazione-le-nomination/

p.s.

Se i redattori facessero un post a riguardo sarebbe meglio

Ho incrociato diverse discussioni su FB, dove diversi troll della famiglia B&B parlano di paese alla fame per la distruzione della domanda interna, orrendo crimine contro l'umanità frutto del "rigore" etc.
Mi mancano diversi strumenti cognitivi in economia ma a grandi linee mi pare di aver capito che dato il PIL e tolte le esportazioni (produzione che esce) ed aggiunte le importazioni, abbiamo il consumo interno (penso anche considerando il saldo tra il risparmio ed il consumo del capitale accumulato).
Ora da quanto capisco i "domandisti" (keynesian?) si strappano le vesti ed i capelli ogni qualvolta detta domanda diminuisce. Io penso invece che si dovrebbe vedere anche come fosse prima la domanda. Era drogata, gonfiata da sussidi, da un'euforia consumistica? Bene, in questi casi se la domanda cala (crisi o non crisi) mi pare un fatto positivo.
Un po' come uno sovrappeso che in tempi di crisi decide di dimagrire un po'. Come possiamo dire che il calo di peso è un "male" assoluto.
Ricordo il caso greco, quando vivevano al di sopra delle disponibilità ed importavano piu' di quanto sapessero esportare. Il calo della domanda qui è l'inizio della soluzione, non il problema.
Inoltre se al calo della domanda interna segue anche un calo generalizzato dei prezzi, non è detto che il popolo sia alla fame. Probabilmente consuma le stesse cose, approfittando di sconti, 3per2, saldi, liquidazioni, prezzi piu' bassi.

Qualche anima pia mi puo' chiarire dove sbaglio (se sbaglio) o se ho ragione?

 

 

Spero che qualche autorevole animatore di questo blog ti risponderà.

Nel frattempo io, che ho come unico merito di avere cinquant'anni, mi sono ricordato di tutte le crisi alle quali ho assistito, a partire da quella degli anni '70,  e delle politiche economiche messe in atto per combatterle: sempre in deficit (Reagan compreso).

Se gli USA sono giustificati dalle spese militari sostenute (e il debito pubblico ha storicamente ragione d'essere nelle guerre), gli altri paesi occidentali hanno sostenuto l'economia e l'occupazione.

Risultato? il debito pubblico ha ... "presentato il conto": chi lo paga?

Il caso del Giappone è emblematico: una stagnazione ventennale con lunghi periodi di deflazione; un elevatissimo debito interno, non soggetto a speculazioni internazionali, ma .. insostenibile. E la "comunità finanziaria internazionale" ha obbligato il governo Abe a aumentare le imposte per ridurlo.

La tua considerazione sulla domanda drogata e gonfiata dai sussidi mi sembra corretta.

Ma .... forse c'è un caso di corretto uso di politiche economiche keynesiane .. è il Regno Unito: si spende quando serve ... si rientra dal debito quando l'economia si riprende. La grafica che segue è chiara ... e dimostra che la crisi del 2008 è stata gravissima e che segna un punto di non ritorno anche per i "virtuosi" inglesi.

Deficit uk per governo 

E noi italiani .. invece?

Deficit e debito Italia

 

E gli USA?

Debito USA per Presidente

Insomma ... non vedo facili soluzioni. La stagnazione/deflazione "alla giapponese" mi sembra inevitabile.