Il federalismo regionale. On the road to nowhere.

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Insieme al federalismo municipale, il decreto attuativo sul finanziamento delle regioni è l'altro piatto forte della supposta riforma federalista. Il decreto è  ancora in discussione, ma quanto è stato elaborato finora mostra che il nuovo modello di finanziamento delle regioni seguirà la stessa strada del nuovo modello di finanziamento dei comuni. Ossia, poche novità, poche reali responsabilità per gli enti locali e nessuna riduzione della pressione fiscale. Ancora una volta, non stiamo andando da nessuna parte.

Introduzione

Anche in questo caso voglio iniziare in modo pedante, ricordando alcuni principi di economia pubblica su cui vi è largo consenso tra gli studiosi ma che hanno trovato scarsissima eco nel dibattito politico. Nel pezzo sul federalismo municipale ho enunciato alcuni di questi principi e ho fatto la seguente affermazione, senza svilupparla ulteriormente:

... si può aggiungere un principio di carattere generale, che riguarda sia il governo centrale sia quelli locali: servizi pubblici che offrono benefici individuali (come ad esempio sanità e istruzione) dovrebbero essere il più possibile finanziati mediante tasse pagate dagli utilizzatori di tali servizi. Ovviamente interventi di carattere distributivo per favorire l'accesso a tali servizi di persone a basso reddito sono sempre possibili, ma come principio generale è bene che la redistribuzione avvenga a livello centrale.

Questo è ciò che viene normalmente chiamato, in scienza delle finanze, il "principio del beneficio". La logica è semplice. Nei casi in cui è possibile mettere in relazione un bene prodotto dal settore pubblico al consumo di un particolare individuo, allora a tale individuo dovrebbe essere richiesto di coprire il costo di produzione. Ciò evita sprechi di risorse, ossia situazioni in cui il bene prodotto costa di più del valore ottenuto dal beneficiario. Non sempre è possibile applicare questo principio, e anche quando è possibile può non essere semplice. Ciò non toglie che dovrebbe essere applicato quando possibile. Se si teme che certi beni fondamentali (sanità e istruzione sono i due esempi più ovvi) potrebbero essere preclusi a chi non ha reddito sufficiente, allora il modo giusto di intervenire è mediante redistribuzione del reddito, che può prendere la forma di accesso a prezzi più bassi ai servizi.

Va anche chiarito perché vale il criterio generale per cui è bene che le politiche redistributive, tra cui il livello di progressività della tassazione, è meglio che vengano decise a livello centrale. Vi sono due ragioni. Primo, le differenze di progressività delle aliquote tra vari enti locali (che è cosa diversa dal livello generale delle tasse) rischiano di generare fenomeni distorsivi nell'allocazione del capitale umano. In soldoni, questo significa che se un territorio sceglie un'¡imposta più progressiva per fini redistributivi rischia di vedersi scappare i contribuenti a più alto reddito. Un simile rischio lo corre anche lo stato nazionale, i cittadini ad alto reddito possono emigrare, ma in forma più attenuata: dopotutto, cambiare paese è ancora più difficile che cambiare regione. Questo rischio è probabilmente limitato nel contesto italiano, soprattutto per le regioni più grosse e per i livelli di cambiamento delle aliquote contemplati nel progetto di decreto, ma è tuttavia presente. La seconda ragione per cui le politiche redistributive è meglio vengano decise centralmente è che questo garantisce maggiori potenzialità redistributive. Dopotutto, se tutti i poveri sono nella regione A mentre tutti i ricchi sono nella regione B allora le uniche politiche redistributive possibili sono di tipo inter-regionale. Si noti che qua non si sta discutendo dell'opportunità o meno di attuare politiche redistributive. Si sta semplicemente dicendo che se si decide di farle, allora è meglio farle a livello centrale, piuttosto che a livello locale.

Vi è un ulteriore punto che vorrei aggiungere, dato che penso sia cruciale nel contesto italiano, e che riguarda l'adozione di regole rigide rispetto a regole flessibili. Anche in questo caso vi è ampio accordo tra gli studiosi sui costi e benefici dell'una e dell'altra soluzione. Le regole flessibili hanno il vantaggio di offrire maggiore spazio di manovra in caso di eventi imprevisti, mentre hanno lo svantaggio di incentivare comportamenti che causano proprio questi eventi "imprevisti". Per le regole rigide vale ovviamente l'esatto contrario.

L'applicazione al finanziamento degli enti locali è come segue. Se il finanziamento viene determinato ex post mediante negoziazione, indubbiamente ci sarà maggiore elasticità nel venire incontro a esigenze improvvise, ma si daranno incentivi agli enti locali a creare buchi di bilancio per poi reclamare il loro ripianamento. In assenza di un potere centrale forte in grado di punire con efficacia gli enti locali che si comportano in questo modo, la conseguenza inevitabile è quella di incentivare l'indebitamento degli enti locali. Regole rigide, che prevedono finanziamenti determinati ex ante e procedure automatiche e sottratte alla discrezionalità politica (questo è un punto fondamentale) per punire gli enti locali che non rispettano i vincoli di bilancio, possono evitare il problema.

Credo che vi sia abbastanza consenso sul fatto che in Italia l'incapacità di punire con sufficiente durezza gli enti pubblici che non rispettano il pareggio di bilancio sia sempre stato un problema, che a dir la verità si è sempre accompagnato al problema gemello di avere uno stato centrale incapace di determinare con sufficiente anticipo le risorse a disposizione degli enti locali. Un movimento verso regole rigide e chiare appare dunque desiderabile almeno nel contesto italiano.

Il decreto attuativo sul federalismo regionale

Cerchiamo quindi ora di valutare lo schema di decreto per il finanziamento di regioni e province (oltre che per la "determinazione di costi e fabbisogni standard nel settore sanitario"; le spese sanitarie fanno la parte del leone nei bilanci regionali, essendo pari a circa l'80% della spesa), alla luce dei principi esposti in precedenza.

A differenza del decreto sul federalismo municipale, quello sul federalismo regionale è ancora in divenire. L'ottobre scorso venne licenziata una bozza. La conferenza Stato-Regioni ha prodotto una serie di osservazioni e il consiglio dei ministri ha approvato la settimana scorsa una bozza aggiornata. Non posso fornire un link alla bozza aggiornata, anche se ne ho preso visione. Potete trovare una sua esposizione in questo articolo del Sole 24 Ore. Un commento più approfondito, sempre sul Sole, viene fatto da Massimo Bordignon. Al di là delle modifiche dell'ultima ora e delle schermaglie politiche che determineranno chi voterà o meno la versione finale del decreto, le linee principali sembrano però abbastanza chiare e scarsamente suscettibili di modifica.

Una buona base di partenza per comprendere l'impianto del decreto è data dall'audizione di Luca Antonini, presidente della Copaff, del 2 marzo scorso, che offre il seguente riassunto del provvedimento.

La fiscalizzazione dei trasferimenti statali, l'abrogazione dell'addizionale sull'energia elettrica, la nuova dimensione dell'addizione regionale all'Irpef e la conseguente eliminazione dell'aspettativa dei ripiani statali, la possibilità di ridurre fino ad azzerarla l'Irap, l'applicazione del principio della territorialità, sono soluzioni che, senza sconvolgere il quadro esistente, lo correggono e lo razionalizzano in profondità, garantendo una maggiore tracciabilità della spesa e della imposizione regionale, favorendo quindi un maggiore controllo da parte degli elettori sulle dinamiche di spesa.

La frase chiave è "senza sconvolgere il quadro esistente". Questo è un problema, perchè il quadro esistente è pessimo e andava sconvolto. Questo provvedimento offre invece correzioni al margine, che in buona misura mettono semplicemente una pezza ai provvedimenti contro le autonomie (in particolare, il blocco delle addizionali IRPEF) che hanno caratterizzato l'azione dell'attuale governo. Che poi venga favorito "un maggiore controllo da parte degli elettori sulle dinamiche di spesa" mi pare più una pia speranza che una conclusione cui si possa giungere con un'analisi spassionata del decreto, come argomenterò più in dettaglio in seguito.

Ma andiamo per ordine, e vediamo con maggiore esattezza i contenuti del decreto. In sostanza, ci sono 4 fonti principali di finanziamento delle regioni: la compartecipazione all'IVA, le addizionali IRPEF, l'IRAP e infine una serie di tasse minori regionali.

La compartecipazione IVA

Sul meccanismo di compartecipazione IVA, che viene anche usato per finanziare i comuni, vale quanto detto nel post sul al federalismo municipale: si tratta di un pessimo meccanismo, che unisce gli aspetti negativi del finanziamento decentralizzato (variabilità del gettito ed esposizione a fattori di rischio locali) agli aspetti negativi del finanziamento centralizzato (mancanza di autonomia decisionale e deresponsabilizzazione degli enti locali). Per non farsi mancare nulla, comunque, permane il regime di decisione ex post mediante negoziazione delle aliquote di compartecipazione. L'aliquota di compartecipazione infatti è regolata dall'art. 11, comma 3, che è rimasto invariato rispetto alle ultime modifiche e che afferma quanto segue:

 

La percentuale di compartecipazione all'IVA è stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'Economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione. Per il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente, concorrono le quote del fondo perequativo di cui al comma 5 del presente articolo.

 

Come si vede facilmente, una bella supercazzola per dire che ci si mette d'accordo dopo, anno per anno. Ossia, si continuerà a fare come si è fatto fino ad adesso. La principale differenza, dal punto di vista retorico, sarà che si inquadrerà il discorso in termini di "soddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni", un termine su cui i nostri politici mettono un gran peso ma che non può voler dire nulla di serio.

Vale la pena di guardare anche al comma 5 dell'articolo 11, che è quello che regola il fondo perequativo. Anche questo è rimasto invariato nell'ultima versione (a parte l'anticipo di un anno, al 2013, dell'inizio del fondo), e afferma quanto segue:

 

E' istituito, dall'anno 2013, un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese di cui al comma 1 dell'art. 10 del presente decreto. Nel primo anno di funzionamento del fondo perequativo le suddette spese sono computate anche in base ai valori di spesa storica; nei successivi quattro anni devono gradualmente convergere verso i costi standard. Le modalità della convergenza sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per Ì rapporti con le Regioni, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Ai fini del presente comma, per il settore sanitario, la spesa coincide con il fabbisogno sanitario standard come definito ai sensi dell'articolo 21.

 

Il fondo perequativo in sostanza servirà ad evitare eccessive disparità nelle entrate; ciò rende la compartecipazione IVA in tutto e per tutto simile a un trasferimento operato dallo stato centrale, e così in effetti è stata usata finora. Il presunto superamento del criterio della spesa storica e la convergenza verso i costi standard appare come come una sonora presa in giro. Come si vede infatti i criteri di convergenza verranno determinati in futuro con decreto di questo, sentito quell'altro etc. etc. In sostanza, ci sarà ricontrattazione continua, anno per anno, che andrà peraltro nel calderone generale della ricontrattazoine sull'aliquota di compartecipazione. Che poi, visto come stanno le cose, è semplicemente ricontrattazione continua sui livelli dei trasferimenti centrali.

Ciò che rende tutto questo particolarmente triste e patetico è che si tratta di un film già visto. Il Dlgs. 56/2000, la legge sul finanziamento degli enti locali fatta dal centro-sinistra, conteneva già norme per il superamento del criterio della spesa storica. Andate a guardare l'art. 7 della legge, ma fatelo solo se avete un'alta tolleranza per il burocratese. Per tutti gli altri, consiglio questo rapporto della Regione Veneto del 2005, in particolare la tabella di pagina 4 che mostra la gradualità del superamento della spesa storica prevista dalla legge. In sostanza, se la legge fosse stata attuata ci dovremmo quasi essere, dato che entro il 2013 la spesa storica doveva sparire come criterio di assegnazione dei fondi. E invece siamo qua, a riproporre un'altra legge molto simile alla precedente, con un altro piano graduale che andrà incontro agli stessi fallimenti. È una previsione facile, date le norme dell'attuale decreto attuativo che, ancora una volta, rimandano le decisioni e prevedono a ogni punto rilevante ricontrattazione e decisioni politiche discrezionali. A quanto pare il fallimento della 56/2000 non ha insegnato assolutamente nulla.

Le addizionali IRPEF e l'IRAP

Anche le addizionali regionali IRPEF non sono cosa nuova, vennero introdotte nel 1997 insieme all'IRAP (art. 50 della legge 446/97). Tra i primi atti del nuovo governo (legge 93 del 27 maggio 2008) vi è stato il blocco delle addizionali, sia regionali sia comunali. Tale provvedimento, insieme all'eliminazione dell'ICI sulla prima casa, ha posto notevole pressione sulle finanze locali.

Il decreto attuativo elimina il blocco delle addizionali, permettendo in certo qual modo di tornare alla situazione precedente. L'ultima versione accoglie la richiesta delle regioni di permettere l'uso delle addizionale già dal 2011, così garantendo un immediato aumento della pressione fiscale (inevitabile, dato il modo in cui Tremonti ha gestito le finanze locali da quando si è reinsediato al ministero). Nulla di particolarmente nuovo quindi, anche se il decreto prevede, per il futuro, maggior margine di manovra per le regioni. Il decreto attuativo però contiene alcune caratteristiche che rendono questo strumento particolarmente mal disegnato. Ma andiamo per ordine.

Il livello delle addizionali IRPEF è dato dal comma 1 dell'art. 5:

 

A decorrere dall'anno 2011 ciascuna Regione a Statuto ordinario può, con propria legge, aumentare o diminuire l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di base. La predetta aliquota di base è pari allo 0,9% sino alla rideterminazione effettuata ai sensi dell'articolo 2, comma 1, primo periodo. La maggiorazione non può essere superiore:
a)   allo 0,5 per cento, sino all'anno 2013;
b)   all' 1,1 per cento, per l'anno 2014;
c)   al 2,1 per cento, a decorrere dall'anno 2015.

 

L'aliquota di base (che sarà dello 0,9% fino al 2013 e poi sarà ricontrattata di anno in anno; si veda l'art. 2 del decreto) può in principio essere ridotta, ma di fatto questo sarà molto difficile. Svolge di fatto un ruolo sostitutivo ai trasferimenti statali e concorre anche al fondo perequativo. La vera autonomia regionale si eserciterà pertanto sulle maggiorazioni, il cui importo massimo crescerà nel tempo (non è chiaro perché). Ma anche qui si tratta di un'autonomia falsa, e per capire perché bisogna guardare al secondo comma dell'art. 5.

 

Resta fermo il limite della maggiorazione dello 0,5 per cento, se la Regione abbia disposto la riduzione dell'IRAP. La maggiorazione oltre lo 0,5 per cento non trova applicazione con riferimento ai titolari di redditi complessivi rientranti nei primi due scaglioni

 

Cominciamo dalla prima frase. L'art. 4 del decreto prevede la possibilità, ma solo a partire dal 2013, di ridurre (ma non aumentare) le aliquote IRAP ''fino ad azzerarle''. La riduzione, peraltro, non solleva le regioni dall'obbligo di contribuire al fondo perequativo di cui l'Irap è una fonte, e quindi risulterà assai improbabile. Ma ad ogni buon conto,  con una pesante ingerenza centralista, la legge impedisce alle regioni di scegliere il mix preferito tra imposizione delle persone e imposizione delle imprese: se si aumenta l'Irpef oltre lo 0,5% non si può ridurre l'Irap. Una simile misura mostra chiaramente che il governo o non capisce cosa è un federalismo serio, o lo capisce ma non ha alcuna intenzione di attuarlo.  È anche una misura inutile e stupida. La sua ratio è quella di evitare che le regioni possano abbassare le tasse sulle imprese mediante aumento delle tasse sulle persone fisiche. Ma a parte il fatto che questa decisione andrebbe lasciata alle regioni, se veramente i governatori regionali vogliono tassare i propri cittadini per favorire le imprese possono sempre farlo erogando sussidi. La differenza ovviamente è che un taglio delle tasse è chiaro, trasparente e va a beneficio di tutte le imprese, mentre i sussidi sono tipicamente opachi e decisi discrezionalmente dai politici.  È interessante leggere a questo proposito il seguente pezzo tratto dal documento che contiene le proposte di modifica del decreto dei deputati PD:

 

La facoltà attribuita alle Regioni di ridurre l’IRAP fino ad azzerarla è semplice propaganda, poichè non ne esistono né le condizioni né i presupposti. Altra cosa è prospettare interventi mirati per determinati settori produttivi.

 

È probabilmente vero che le regioni potranno far ben poco in termini di riduzione dell'Irap. Ma è veramente inquietante la successiva precisazione sugli ''interventi mirati per determinati settori produttivi''.

E veniamo alla seconda parte del comma, quella che esclude i primi due scaglioni di reddito dalla maggiorazione Irpef oltre lo 0,5%. Nell'introduzione a questo pezzo ho ricordato che esiste largo consenso tra gli studiosi sul fatto che le politiche redistributive è meglio farle a livello centrale. Questo decreto viola in modo palese tale principio, dato che permette alle regioni di isitituire maggiorazioni sopra lo 0,5% unicamente per gli scaglioni di reddito superiori ai primi due, ossia solo su chi guadagna più di 28.000 euro. L'idea è più o meno la stessa di quella che ha indotto, nel decreto sul federalismo municipale, a esentare la prima casa dall'imposizione sugli immobili: mettere al riparo gli amministratori inefficienti dall'ira che un aumento delle tasse può generare tra gli elettori, facendo in modo che la tassazione aggiuntiva ricada solo su una piccola parte dei votanti.

Per capire meglio in quale quadro quantitativo si inserisce questa normativa è utile dare un'occhiata ai dati elaborati dal ministero dell'economia sul gettito IRPEF nel 2009. Riassumo nella seguente tabella dei dati che potete trovare in modo più completo a pagina 15 della relazione linkata.

Classi di reddito Percentuale dichiaranti Percentuale del gettito
Oltre 70.0002,98%26,52%
35.000-70.00010,08%25,26%
26.000-35.00014,24%14,54%
meno di 26.00072,69%33,69%

In sostanza, esentando dalla maggiorazione i primi due scaglioni di reddito si finisce per escludere circa tre quarti dell'elettorato. Tale frazione però paga solo circa un terzo dell'imposta netta. Quindi le regioni hanno la possibilità di raccogliere comunque un gettito cospicuo imponendo le addizionali e limitando al tempo stesso l'effetto negativo sull'elettorato. Il problema sarà particolarmente accentuato nelle regioni meridionali, dove i redditi medi sono più bassi. Notare inoltre che i commi 4 e 5 permettono anche l'istituzione di detrazioni a livello regionale, accentuando quindi ulteriormente il carattere redistributivo del fisco regionale.

Su questo bisogna dare atto al PD di aver preso una posizione chiara e corretta, affermando che ''vanno cancellate le possibilità di introdurre detrazioni o differenziazioni di aliquota per scaglioni'' (pag. 5 del documento). La sciocchezza è tutta farina del sacco della Lega e del PdL. Va segnalato peraltro che la versione iniziale del decreto prevedeva che l'esclusione dei primi due scaglioni valesse solo per lavoratori dipendenti e pensionati. La mannaia dell'addizionale si abbatteva dunque inesorabile sugli artigiani e lavoratori autonomi con reddito inferiore ai 28.000 euro. Questa parte è ora sparita, ma deve aver generato qualche divertente serata di discussione nelle sezioni della Lega.

Conclusione

Ci sono tante altre cose nel decreto: finanziamento delle province, ulteriori tributi regionali e loro gestione, fabbisogni standard nel settore sanitario e varie cose ancora. Credo però che una analisi dettagliata a questo punto non sia necessaria. Da un lato questo pezzo è già fin troppo lungo e dall'altro il quadro generale non cambia gran ché. Mi limiterò quindi ad alcune considerazioni conclusive.

È ormai chiaro che il federalismo fiscale non porterà a nessun cambiamento rilevante. Il problema centrale che andava risolto era duplice: da un lato occorreva garantire agli enti locali risorse certe e stabilite con anticipo, in termini di trasferimenti e di basi imponibili; dall'altro era necessario porre fine al sistema di ricontrattazione endemica che ormai da tempo caratterizza la finanza locale, prevedendo misure drastiche ed efficaci contro gli enti locali incapaci di pareggiare i propri bilanci.

Nulla del genere appare nei decreti attuativi. Viene mantenuto il sistema della determinazione discrezionale ed ex post delle variabili chiave per la determinazione delle risorse: questo vale per la compartecipazione all'IVA, per l'aliquota base dell'addizionale IRPEF e varrà ancor di più per la determinazione di costi e fabbisogni standard. A questo punto infatti credo si sia capito che le procedure di determinazione dei costi e fabbisogni standard, indipendentemente dalla professionalità con cui verranno eseguite, saranno poi soggette alle opportune ''interpretazioni politiche''. E se questo non bastasse sono previsti interventi discrezionali sul (lunghissimo) percorso di convergenza tra spese storiche e spese standard.

Il dibattito avvenuto nei due anni che ormai ci separano dall'approvazione della legge 42/2009 è stato abbastanza scoraggiante. Gli enti locali hanno prevalentemente giocato sulla difensiva, guardando soprattutto al breve periodo e cercando di garantirsi le risorse per operare. Atteggiamento miope ma tutto sommato comprensibile, dato che il governo è più di una volta intervenuto in modo irrazionale e con tagli indiscriminati. Da parte delle forze governative è mancata qualunque leadership e qualunque visione d'insieme sulla riforma. In tal modo l'unica cosa che si è stati in grado di produrre è uno scadente compromesso al ribasso che fa poco più che riproporre le pratiche passate.

Due anni buttati via. Forse un giorno qualcuno rimetterà mano in modo sensato a questa materia cercando soluzioni che vadano al di là del populismo spicciolo e della difesa della casta. Ma al momento tale giorno appare molto, molto lontano.

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Commenti

Ci sono 78 commenti

Molto interessante. Non mi aspettavo nulla di diverso dalla nostra classe politica. Un possible typo

 

 

La mannaia dell'addizionale si abbatteva dunque inesorabile sugli artigiani e lavoratori autonomi con reddito inferiore ai 28.000 euro

 

Inferiore o superiore?

 

La mannaia dell'addizionale si abbatteva dunque inesorabile sugli artigiani e lavoratori autonomi con reddito inferiore ai 28.000 euro

 

Inferiore o superiore?

 

E' giusto "inferiore" come scritto, la frase va letta nel contesto.  Una prima versione delle norme sul federalismo fiscale regionale avrebbe escluso dagli aumenti del contributo IRPEF regionale i redditi imponibili dei primi due scaglioni, ma solo se dipendenti e pensionati.  Quindi avrebbero pagato tutti i redditi imponibili superiori ai due scaglioni _e_ tutti gli autonomi con redditi imponibili entro i due primi scaglioni.

I regimi delle aliquote comunali e regionali sono comulabili a piacimento? Ovvero anche se una regione ha il massimo delle aliquote/accise/addizionali i singoli comuni potranno comunque applicare la massima % anche loro?

Per es. l'IRPEF potrebbe arrivare a quasi +4% nel 2014?

 

I regimi delle aliquote comunali e regionali sono comulabili a piacimento? Ovvero anche se una regione ha il massimo delle aliquote/accise/addizionali i singoli comuni potranno comunque applicare la massima % anche loro?

Per es. l'IRPEF potrebbe arrivare a quasi +4% nel 2014?

 

Non conosco nessun limite di cumulabilita' tra IRPEF regionale e comunale.  Alla tassazione la Costituzione italiana non pone limiti. Sta agli elettori votare correttamente, altrimenti hanno quanto meritano...

 

Arrampicandosi sui vetri, si può sperare che l'incremento dell'IRPEF locale comporti una riduzione equivalente, o più, dell'IRPEF centrale?

Cambiare quasi nulla per peggiorare tutto.

Sandro, intanto grazie come al solito per la limpidezza della tua analisi.

Ti chiedo però  l'opinione su una questione che mi pare centrale per comprendere le ragioni di una scelta di federalismo "fasullo". Sia nel caso del federalismo municipale che di quello regionale, tu e altri commentatori (su La Voce, ad esempio), spiegate come 'sto federalismo in salsa verde-azzurra non raggiunga l'obiettivo dichiarato di responsabilizzare e dare i giusti incentivi agli enti di governo territoriale.

Vi è, tuttavia, un secondo obiettivo dichiarato della lega (magari non in parlamento o nei documenti ufficiali, ma nei loro comizi padani, altrochè!): "le tasse del nord devono restare al nord". Mi pare che questo secondo obiettivo, invece, possa benissimo essere perseguito con gli strumenti che si stanno affinando. Sbaglio? Che poi ciò avvenga attraverso meccanismi stabiliti a livello centrale, a questi in fondo può anche importare poco.

Certo, in che misura il "federalismo" porterà a modifiche sostanziali dei flussi di risorse nord-sud non è lecito prevederlo, dato che pochino si sa sull'entità e sulle modalità di gestione di fondi perequativi e roba del genere. Come puntualizzi benissimo, la cosa sarà affidata a successive negoziazioni. Btw, questa mi pare una soluzione strategicamente "intelligente" per tranquillizzare gli amici berlusconiani che governano al sud o, comunque, in regioni più povere: mentre al nord rimarranno più soldi ("le tasse del nord", appunto), al sud redistribuiranno di più a chi vorranno loro, facendo pagare di più la redistribuzione, again, a chi vorranno loro.

 

 

Certo, in che misura il "federalismo" porterà a modifiche sostanziali dei flussi di risorse nord-sud non è lecito prevederlo, dato che pochino si sa sull'entità e sulle modalità di gestione di fondi perequativi e roba del genere. Come puntualizzi benissimo, la cosa sarà affidata a successive negoziazioni. Btw, questa mi pare una soluzione strategicamente "intelligente" per tranquillizzare gli amici berlusconiani che governano al sud o, comunque, in regioni più povere: mentre al nord rimarranno più soldi ("le tasse del nord", appunto), al sud redistribuiranno di più a chi vorranno loro, facendo pagare di più la redistribuzione, again, a chi vorranno loro.

 

Però questo mi sembra un "desiderata", non c'è nulla che lasci pensare che le cose andranno effettivamente così. Inoltre, e qui chiedo lumi a superSandro, al momento non direi che le "tasse del nord" rimangono al nord; ma che le "nuove" tasse introdotte rimarrano al Nord. Non è proprio la stessa cosa e, soprattutto, non credo susciterà lo stesso entusiasmo in chi, quelle tasse, le dovrà pagare.

 

 

Cosa succederà nel più lungo periodo, o più concretamente a partire dal 2013, dipende dall'evoluzione della spesa. Io non vedo alcun elemento in questa riforma che possa favorire una riduzione della spesa pubblica. L'enfasi posta su costi standard, superamento dei costi storici etc. è la stessa che si ritrovava nel Dlgs 56/2000, che è fallito miseramente. Dato che i meccanismi son rimasti gli stessi, prevedo che le conseguenze saranno le stesse. Ossia, un altro fallimento.

 

Concordo che tutto l'impianto normativo della riforma segue la ridicola tradizione statal-centralista italiana, codificata anche nella pessima costituzione sedicente federale dell'Ulivo/2001, e proprio non vedo come le norme - di per se' stesse - possano incentivare l'efficienza della spesa pubblica, salvo dettagli che mi sembrano marginali. Del resto non c'era da star tranquilli nemmeno se, per assurdo, le norme fossero state ben congegnate, perche' e' nella cultura e nella tradizione italiana fregarsene delle leggi e quantomeno del loro spirito, al fine di applicarle in maniera distorta ai nemici ed interpretarle al meglio per gli amici, come e' accaduto ad esempio per il principio costuzionale che per ogni legge di spesa deve esserci indicata appropriata copertura finanziaria, che ha portato ad uno dei maggiori debiti pubblici del mondo, nel sostanziale disinteresse della magistratura sia costituzionale che ordinaria, per non parlare degli elettori.

 

L'enfasi posta su costi standard, superamento dei costi storici etc. è la stessa che si ritrovava nel Dlgs 56/2000, che è fallito miseramente.

 

Sul fatto che l'enfasi sia la stessa, sono in netto disaccordo.  L'enfasi e' molto maggiore oggi, sia per merito della LN sia per merito di L.Antonini, che con una buona determinazione ha anche cercato di esaminare e quantificare i bilanci degli enti locali. Parlo soprattutto di enfasi nei mezzi di comunicazione: dei costi standard si sono occupati i giornali di opposizione e di maggioranza, si sono occupati i politici meridionali preoccupati di preservare i trasferimenti statali, si sono occupati esperti di opposizione come quelli de lavoce.info. Non ricordo alcuna enfasi comparabile nel 2000.

Inoltre le norme approvate prevedono sanzioni serie contro gli amministratori locali responsabili di dissesti finanziari che ugualmente non ricordo nel 2000.  Si tratta di una norma statal-centralista, ma in assenza di elettori alfabetizzati che siano capaci di votare decentemente, e' meglio di nulla.

Infine e' stato fatto del lavoro, di cui mi riservo di vedere i risultati in futuro, per obbligare gli enti locali a redigere bilanci secondo schemi uniformi e quindi confrontabili.  Anche su questo tema non ricordo nulla nel 2000.

Quindi ci sono degli elementi positivi, pur complessivamente di mediocre qualita' e tutti dipendenti da un'improbabile saggezza di chi governa dal centro.  Quale sara' il risultato?  Fare peggio di come e' stata amministrata l'Italia finora e' difficile, ma sono sicuro che la Casta ci provera'.  In ogni caso gli elementi un minimo seri e onesti del personale politico italiano almeno ora possono parlare e agire perche':

  • i costi della spesa pubblica locale siano quantificati in maniera trasparente e i trasferimenti statali tendano a coprire qualcosa di simile ai costi standard piuttosto che gli sprechi e le ruberie storiche
  • gli amministratori locali che mandano in rovina le finanze locali per garantirsi consenso vengano espulsi dalla politica, se possibile con uno scarpone chiodato

Non ho dubbi invece sul fatto che gli elementi piu' stupidi e disonesti del personale politico italiano agiranno per rimuovere dalle norme approvate e in approvazione i pochi elementi positivi, per non applicarli, e per abusare quanto piu' possibile delle norme e soprattutto della incompetenza e disonesta' del governo centrale per continuare ad usare la spesa pubblica per comperare consenso e per arricchimento personale. Tutto ovviamente senza nemmeno pensare, anzi senza nemmeno essere capaci di pensare a norme che realizzino un assetto di federalismo competitivo e virtuoso che sarebbe utile (pur essendo anticostituzionale, perche' la Costituzione dell'Ulivo secondo me non lo permette).

noltre le norme approvate prevedono sanzioni serie contro gli amministratori locali responsabili di dissesti finanziari che ugualmente non ricordo nel 2000.  Si tratta di una norma statal-centralista, ma in assenza di elettori alfabetizzati che siano capaci di votare decentemente, e' meglio di nulla.

 

e' nella cultura e nella tradizione italiana fregarsene delle leggi e quantomeno del loro spirito, al fine di applicarle in maniera distorta ai nemici ed interpretarle al meglio per gli amici

Sandro, un punto che mi viene in mente leggendo il post. Tutto questo peso sulla contrattazione ex-post ha ovviamente gli effetti aggregati negativi di cui parli - ma ha un altro effetto ovvio: espande enormemente il ruolo della politca - lega gli amministratori locali a quelli centrali - favorisce insomma l'ulteriore sviluppo di quel sottobosco di amministratori locali che sono votati in virtu' dei loro rapporti con quelli centrali. Bassolino, Moratti docent.

Hai ragione.

Ironicamente, porta l'Italia indietro agli anni '80 (diciamo, pre elezione diretta dei Sindaci), quando la carriera di questi era legata al saper contratatre (i trasferimenti) col centro. Esattamente il periodo che per reazione ha visto nascere la Lega lombarda. La chiusura di un cerchio?

Giusta osservazione: rafforza il potere centrale, anziché ridurlo.

Ora, siccome le riforme in Italia non si fanno mai per il lungo periodo ma sempre con un orizzonte di qualche anno al massimo, vale la pena di riflettere sulla persona che occupa ed occuperà nel prossimo futuro il posto di Ministro dell'Economia (o di Primo Ministro, che in questo caso fa lo stesso). Ed è Giulio Tremonti. Lo stesso uomo che ha scritto e fatto scrivere questi testi di legge.

In altre parole, tutto il federalismo leghista si riduce ad un trasferimento di potere nelle mani di Giulio Tremonti che oggi controlla sia la finanza centrale che quella periferica dello stato e delle sue molteplici articolazioni. Altro che federalismo del Nord ed altre cazzate di cui si riempiono la bocca i leghisti (e che il nostro amico Alberto Lusiani incredibilmente ripete), qui siamo ad un peronismo compiuto e realizzato ed il peron non è BS ma GT.

Non avevamo poi sbagliato tanto, poco meno di due anni fa, nell'argomentare che la LN era diventata il suo partito che egli utilizzava a proprio piacere. Ora ne abbiamo conferma e non diventa più così strano che su di noi la censura sia totale quando lo critichiamo. L'uomo è diventato, anche grazie alla LN e forse soprattutto grazie alla LN, il padrone del paese.

Mi spiego rapidamente: esistono materie in cui è preferibile che la competenza sia locale ed esclusiva del territorio, a dimensione regionale e non comunale o provinciale, invece che centrale? Voglio dire, sulla base di confronti empirici tra vari modelli, confronti di efficienza ed efficacia, ecc. E sono quelli che sono stati trasferiti alle regioni a legislazione vigente?

Soprattutto, esistono meccanismi di selezione e/o sanzione della classe politica per ottenere che

i governanti  che mandano in rovina le finanze locali o nazionali per garantirsi consenso vengano espulsi dalla politica, se possibile con uno scarpone chiodato

(parafraso AL) e che possano essere applicati solo al livello "federale" (nel nostro caso regionale) ma non di quello centrale? Oppure c'è un serio motivo (verificato con basi empiriche) per ritenere che sia più facile applicare e  implementare questi meccanismi a livello locale piuttosto che centrale, anche se funzionerebbero bene a tutti i livelli? 

Infine, due osservazioni: 

  • Negli USA, vedi California, il federalismo non ha evitato la politica del "tax like a libertarian, spend like a socialist": prima si crea consenso con le basse tasse, poi si spende a debito, sia per creare consenso che per offrire i servizi necessari. Oppure, se ho capito bene il caso del Winsconsin, prima si crea una crisi fiscale tagliando le tasse, poi si addita il pubblico impiego e i suoi sindacati come capro espiatorio. E in entrambe i casi la questione diventa comunque nazionale, nonostante la teoria del federalismo come "containment vessel" per confinare il meltdown locali
  • Ad essere ancora più cinico, la minaccia della secessione del Nord è servita a dare potere a un partito che poi si è radicato nel potere locale e centrale riproducendo esattamente le stesse dinamiche (il bibliotecario romano ricorda sommessamente che con tre-quattro stipendi del Trota ci manda avanti la sua biblioteca per un anno... orario nine to five e qualcosa in più, buona copertura delle discipline specifiche, prestiti interbibliotecari a tante biblioteche del Nord che i libri li fanno comprare a noi ladroni ecc. ecc. Probabilmente con un decimo delle quote latte avreste finanziato la Biblioteca Europea di Milano. Appunto, europea, non celtica o padana...)

 


Ciao Marino. Allora, per punti:

  • Sì, esiste in economia una ricca letteratura sia teorica sia empirica sulla dimensione territroriale adeguata per la produzione di beni pubblici. Ho cercato di richiamarne alcuni elementi nelle ''introduzioni pedanti'' a questo pezzo e al precedente sul federalismo municipale. Trovi esposizioni introduttive in molti manuali di scienza delle finanze. Qui trovi qualcosa di più approfondito, ma veramente la letteratura è sterminata. In buona misura comunque questa discussione va oltre il punto di questa legge sul federalismo fiscale, che non discude l'assegnazione di nuove competenze agli enti locali ma solo il modo di finanziarli.
  • C'è una differenza fondamentale tra l'amministrazione degli enti locali e quella dello stato centrale, ed è che gli enti locali hanno un livello superiore. Se un comune viene infiltrato dalla mafia o si indebita fino al fallimento lo stato centrale può, appunto, dare un calcione agli amministratori. Questo si può stabilire per lgge ordinaria e non contrasta per nulla con un ordinamento federalista. Nulla del genere può avvenire per lo stato centrale, a meno di invocare l'intervento armato della comunità intenazionale che, converrai, è decisamente più complicato. Stabilire che un ente locale che non pareggia il bilancio venga immediatamente commissariato è perfettamente possibile. Non è stato fatto e non verrà fatto, ma questa è una scelta politica. 
  • La democrazia non è garanzia di buon governo, né in un sistema federale né in un sistema centrale. Sì, gli elettori fanno cose stupide e incoerenti, come appare evidente nel caso californiano (uno stato che, comunque, non se la passa così male). Ma anche restando in Italia, non è che la maggiore autonomia della regione Sicilia fino ad adesso abbia prodotto grandi risultati. Non è questo il punto. Il punto è che a) almeno se i californiani fanno cazzate non le dovrò pagare io che non vivo in California b) non esiste incentivo a ''fare come la California'' sperando che poi arrivi in soccorso il denaro dello stato centrale. Poi, federalismo o non federalismo, gli elettori possono sempre appoggiare politiche assurde e incoerenti e i politici cialtroni che le promuovono. Non ci si può far nulla (a parte cercare di educare), e tutte le alternative sono peggiori. 

Eccellente Marino,

La parabola della biblioteca è ancora più efficace di qualasiasi altro concetto per spiegare i limiti fondamentali del LN pensiero: non è neanche legitimato dal linguaggio, ricordiamo per i nuovi entrati la "scoperta" della difficile omogenizzazione del dialetto LN: quale riferimento per i cosi tanti polpoli leghisti? quello veneto, bergamsco, milanese? ecc...

A livello della biblioteca, acquisisce ancora più forza secondo me: in effetti, una biblioteca padana, cosa dovrebbe contemplare come area di sapere e conoscenze?

Aprirsi al mondo e "accettare" lezioni di sapere  solo da parte di padani certificati o estendere tale possibilità a professori in base alla bravura e non alla sola provenienza?

I frequententori della detta biblioteca che profilo devono avere per accedervi? Riservata ai soli padani?

Adesso smettiamola di sghignazzare e cerchiamo di misurare la potenziale conseguenza di tale ideologia.

 

L'elemento che in questa parte della riforma manca, come nel federalismo municipale è il meccanismo che collega il prelievo fiscale e la spesa con la responsabilità degli amministratori comunali e regionali verso i cittadini. Questa lacuna è piuttosto evidente. Sarei curioso di sapere se gli estensori della riforma se ne rendono conto ovvero se  i meccanismi centralisti di determinazone ex post dell'etità delle risorse è un obiettivo consapevolmente conseguito per accentrare potere.

 

Luzo fai benissimo a parlare di responsabilità, mentre è evidentissimo che le responsabilità non se le vogliono assumere i politici, che siano locali, provinciali, regionali, nazionali, europei o fancazzisti bipartisan (a dire il vero unico modo di essere su cui sono d'accordo tutti i partiti).

Mi allaccio alla facenda responsabilità dei giudici di cui non abbiamo fatto in tempo a parlare, visto che la cronaca internazionale incombe.

Permettetemi: ma come potrebbe essere giusto un tale provedimento? Allora se vogliamo capire meglio, facciamo una trasposizione nel mondo del calcio. Allora cosa succede quando un arbitro, in pienissima buona fede, con tutta la sua esperienza insospettabile prima della gara, durante la gara, rifiutando un gol, succesivamente giudicato validissimo alla moviola, lascia eliminare una squadra dalla semi-finale di champions? Embè? proseguiamo: non accededendo al turno successivo, tale società, la cui squadra è stata danneggiata, dai minori introitti percepiti l'anno dopo (attorno ai 20 Milioni di € in meno), decide di rifarsi contro l'inconsapevole arbitro facendoli causa. E te pareva: se uno cambia le carte in tavola, allora dopo questo arbitro "inchiappettato" a dovere, la champions deve finire perchè non si trovano più arbitri cosi disposti a rischiarsi una vita di guadagni su una sola partita. Non avendo poi la forza contrattuale sufficiente nei confronti delle federazioni e delle assicurazioni, preferiscono abbandonare del tutto la professione. Fine della febbre del pallone: morte del calcio.

 

 

Oggi il decreto attuativo sul federalismo regionale è stato approvato in commissione bicamerale. Non ho ancora visto l'ultima bozza, qua ci sono i riassunti di Repubblica, Corriere e Stampa. Rispetto alla bozza che ho discusso nell'articolo non mi pare ci siano grossi cambiamenti, ma qualcosa di diverso c'è:

1) Si ritarda dal 2011 al 2013 l'applicazione delle addizionali Irpef, in cambio di un più alto trasferimento da parte dello stato centrale.

2) Solo su Repubblica ho trovato la notizia che l'esenzione dei primi due scaglioni Irpef è diventata l'esenzione del solo primo scaglione Irpef, ossia dei redditi sotto 15.000 euro. Questo fa una qualche differenza. Se si guarda ai dati 2009 (andate a pag. 15) si vede che la percentuale di contribuenti con redditi inferiori a 15.000 è di circa un terzo; circa il 40% dei contribuenti ha redditi tra 15.000 e 26.000, per cui la norma allarga parecchio la platea dei colpiti dall'addizionale. Però aspettiamo di vedere la bozza del decreto, questa cosa che la notizia la riporti solo Repubblica mi lascia qualche dubbio.

 

Anche Il Sole 24 Ore dice che l'esenzione si applica solo al primo scaglione.

Sandro, l'impressione è che il grosso della contrattazione le Regioni (oggi) e i Comuni (ieri) la facciano su atri elementi rispetto al contenuto dei DLgs. In altre parole, gli enti accettano i decreti se ottengono anche variazioni marginali nei decreti stessi ma variazioni sensibili nei trasferimenti (o meglio, nei tagli ai trasferimenti, ex DL 78/2010).

Sbaglio o confermi?

Se fosse vero e fossimo anche ottimisti sulla capacità di forward looking del governo, potremmo anche pensare che la scure del DL 78 (il 50% del risanamento imputato agli enti locali) fosse opportunamente esagerata per avere margini di contrattazione ampi sui successivi decreti.

 

Ho avuto la tua stessa impressione. I fondi promessi alle regioni e ai comuni, che in vari casi sono semplicemente il reintegro di fondi precedentemente tagliati,  sono comunque di carattere temporaneo e straordinario, come d'altra parte erano di carattere straordinario e temporaneo i tagli precedenti. Le norme di lungo periodo dei decreti attuativi sono state discusse molto meno. Mi pare ragionevole, dal momento che in realtà le regole non ci sono ed è tutto demandato a contrattazione future. In sostanza, si continuerà a trattare la finanza locale in modo permanentemente emergenziale, per ossimorica che possa risultare l'espressione.

È possibile che i tagli di luglio agli enti locali, che erano già stati parzialmente rimangiati a novembre fossero strategici e puntassero semplicemente a strappare il sì dei governatori. Però mi pare una pura vittoria simbolica. In sostanza i governatori sono stati tranquillizzati facendo loro capire che si continua come nel passato, e nel breve periodo viene loro restituito parte del maltolto. In sostanza, tutto un manovrare per mantenere le cose come stanno.

Pubblicato oggi, si trova sul Sole 24 Ore. In grassetto le parti cambiate, tra cui l'esenzione solo del primo scaglione.

OT,

Questa sera ho avuto modo di ascolatare Cacciari, a Otto e mezzo, interloquire con tale Sechi e accennare anche al federalismo. Premesso che non mi risulta che Cacciari sia particolarmente stimato come filosofo e mi risulta che faccia politica da decenni senza brillare particolarmente, devo dire che mi è piacuto. Io sarò un tonno e lui è certamente pieno di rogne (come tutti) ma mi è piaciuto. Appoggiato bene ...

Cacciari quello che per cui i cittadini sono un "esercito di infanti incapaci"? Che nel dibattito su Ratzinger (all'inaugurazione dell'anno accademico) ha raffinatamente partecipato al dibattito dando "del gruppo di cretini" a chi era contrario? Quello che quando le Iene gli fanno vedere le truffe degli "scafisti" veneziani (in seguito indagati per associazione a delinquere) risponde "eh dovete farvi furbi"? Quello che si battè contro gli spettacoli erotici a Venezia? Colui che ha educato alla filosofia la nuova fidanzata di Pato?

Per carità, c'è di peggio, però scusami se non mi strappo i capelli.
Comunque ha affermato:

 «Basta. Quante volte occorre essere sconfitti in una vita? Trent’anni fa speravo con altri di poter imprimere una svolta al Pci. Poi ci ho provato con Occhetto, quindi con il partito dei sindaci, con l’Asinello di Prodi, con la Margherita e infine con il Pd. Quel che ora dice Rutelli io l’avevo detto molto tempo prima. A chi dovrei continuare a predicare?»

Insomma si ritira...come Veltroni.

 

Prendiamo nota anche di questa e ricordiamocene (assieme a tutte le altre) la prossima volta che diranno che almeno loro non hanno messo le mani nelle tasche degli italiani.

La scusa sarà che le tasse sono "tasse locali", loro del governo hanno lasciato la pressione invariata

"Piccoli" aumenti in vista per quel che riguarda l'IPT, l'imposta provinciale sull'immatricolazione delle auto (ma non si dovevano abolire le provincie?)

http://www.alvolante.it/news/ipt_aumento_federalismo_fiscale-452151044

persone con cultura, capacità critica ed interesse per i fatti politici ed economici di sicuro sopra la media. Costoro erano convinti che, tutto sommato, la lega nord stesse mantenendo le promesse, in particolare sul tema del federalismo.

Ho provato ad argomentare a voce sulla base di quanto letto nei post di Sandro, ma i tempi e i modi di una pausa caffè  uniti con il mio non altissimo interesse per la questione non hanno consentito un chiarimento efficace. Allora ho pensato di mandargli via email il link ai due post di sandro più i due di Michele sulla lega (da cura a cancro e il male del nord).

Non so se i miei amici avranno la pazienza di leggere. Credo però che noi tutti dovremmo avere la pazienza di combattere la disinformazione, spesso basta condividere un link.

 

persone con cultura, capacità critica ed interesse per i fatti politici ed economici di sicuro sopra la media. Costoro erano convinti che, tutto sommato, la lega nord stesse mantenendo le promesse, in particolare sul tema del federalismo.

 

Io ritengo che con le dovute precisazioni i tuoi amici abbiano ragione.  La LN ha fatto qualcosa, che i suoi dirigenti chiamano "federalismo fiscale", che purtroppo corrisponde piuttosto bene all'idea di federalismo nel pensiero politico dominante in Italia, il pensiero catto-comunista che ha ispirato la costituzione del 2001 oggi vigente. Oltre a questo, come ho scritto piu' volte, la LN ha favorito l'approvazione di norme abbastanza condivise anche dagli altri partiti (almeno a livello centrale) sulla "morte politica" degli amministratori locali responsabili di dissesti finanziari, norme molto statal-centraliste e assolutamente non federaliste che pero' nel disastrato contesto italiano appare valida e utile.

Fare qualcosa in tema di riforme di lungo termine, in Italia, e' difficile: il Parlamento lavora a tempo quasi pieno a micro-decidere la spesa pubblica a brevissimo termine e provvedimenti assortiti contro o a favore di corporazioni amiche o  nemiche per comperare consenso elettorale, e come novita' portata alla ribalta dai problemi di Berlusconi, passa anche moltissimo tempo ad occuparsi dei problemi giudiziari dei politici.

Corrisponde poi anche al vero che Berlusconi ha sostanzialmente mantenuto le promesse in materia di federalismo fatte alla LN, sia nel 2001-2006, sia dal 2008: i voti da lui controllati non sono mai mancati.

Il fatto che le norme approvate siano scadenti, molto statal-centraliste e poco federaliste e' un fatto che secondo me pochi possono comprendere in Italia, per limitazioni culturali. Non deve ingannare che certe critiche contro la LN vengono prese come oro colato e condivise dai moltissimi anti-leghisti italiani: questo dipende dal loro spirito di fazione politica e non corrisponde ad una comprensione nel merito dei difetti denunciati.