L'economia sociale di mercato, commenti

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Nella sua "Agenda di governo" Mario Monti ha menzionato, dicendo di essersene ispirato, la nozione di "Economia Sociale di Mercato" (ESdM, d'ora in avanti). Prima di lui, negli anni, l'avevan fatto in molti, di alcuni dei quali preferiremmo scordare sia nome che azioni. Ripropongo, rivisto, un testo scritto qualche anno fa per conto della rivista l'Impreditore per commentare l'adozione dell'ESdM da parte di uno degli innominabili. Nonostante le ovvie differenze fra i soggetti in questione, le osservazioni di fondo mi paiono appropriate per l'Agenda dell'uno tanto quanto lo erano per gli sproloqui del trino. 

Quando mi è stato chiesto di mettere per iscritto le mie opinioni, in quanto economista, sul tema a cui il titolo di questo articolo si riferisce ho chiesto, senza alcuna intenzione d'apparire faceto, di cosa si trattasse. Leggendo qui e lì e chiedendo in giro ho poi scoperto che ci si riferisce con questo termine  a quella serie di proposizioni e precetti note altrimenti come Soziale Marktwirtschaft. Un'invenzione fondamentalmente tedesca e che conoscevo sotto il nome di Ordoliberalismo e alla quale associavo la rivista ORDO, ossia la Jahrbuch für die Ordnung von Wirtschaft und Gesellschaft (Annali dei Sistemi Economici e Sociali ) fondata, appunto, in Germania da Walter Eucken e Franz Böhm nel 1948. Fatta questa scoperta mi son detto che, in effetti, ho delle opinioni sull’argomento. Sono abbastanza precise e possono essere sinteticamente esposte con un epiteto anglosassone che, mi dicono, circola ora anche in Italia: bullshit.

Bullshit, e mi spiego. Cercherò di fare due cose in questo articolo. 1.Descrivere in poche parole l’idea teorica che sta dietro alla EsdM, evidenziando che la contrapposizione teorica fra ESdM e liberalismo “classico” o laissez-faire è spuria e retorica, nel senso che voler contrapporre una “teoria” all’altra sulla base dell’idea, falsa, che una vuole un mercato regolato mentre l’altra lo vorrebbe sregolato, è esercizio pernicioso che nasconde altre intenzioni. 2. Evidenziare che la forma concreta in cui la ESdM viene oggi proposta in Italia suggerisce che le “altre intenzioni” sono semplici da riconoscersi: la classe politica desidera utilizzare la foglia di fico offerta dalla “S” in ESdM per accaparrare maggior potere per sé e per quei gruppi economico-sociali che le sono maggiormente vicini a discapito - come potrebbe essere altrimenti? – del resto dei cittadini.

Qual è il principio di fondo dell'Ordoliberalismo? È abbastanza semplice. Il principio di fondo è che i "mercati perfettamente liberi" non esistono e che, le rare volte che i mercati si auto-organizzano danno luogo a strutture fragili ed esposte a molti rischi, primo fra tutti la manipolazione da parte d'alcuni dei partecipanti, la concentrazione del potere nelle mani di pochi (ossia, il passaggio da concorrenza a monopolio o oligopolio), la creazione di cartelli e sindacati d'un tipo o dell'altro, l'acquisizione di posizioni di "rendita", e così via. Insomma: lasciati completamente a se stessi i "mercati" tendono a degenerare e a perdere la capacità di essere quello strumento di benessere sociale e di progresso economico che altrimenti sono. Questa posizione teorica - apparentemente, ma a mio avviso non realmente - contrasta con una visione che molti classificano come liberalismo laissez-faire o liberalismo classico, secondo cui i mercati si auto-organizzano e gli individui lasciati completamente a se stessi, con al più l'ausilio d'uno stato minimo, riescono a fare benissimo i propri interessi.

La distinzione è francamente di lana caprina DOC. Anche nella posizione che viene chiamata "classica", pur riconoscendo che i mercati possano sorgere spontaneamente e auto-oganizzarsi, è chiaro che essi danno poi luogo a istituzioni, norme, e pratiche socialmente accettate e frequentemente codificate in leggi e regolamenti. La distinzione, dunque teoricamente, viene a sparire: i mercati puri, che vivono da soli senza che nessuna entità "esterna" li organizzi e controlli, non esistono se non per puro e scarsamente duraturo, caso. Stabilito questo fatto ne segue che i mercati occorre organizzarli "dal di fuori" e che le "istituzioni" (intese sia come apparati dello stato che come gruppi sociali organizzati, ma anche come norme socialmente condivise e regole abitudinarie di transazione) devono giocare un ruolo cruciale nel mantenere viva l'economia di mercato e nel far sì che il suo operare s'avvicini il più possibile all'ideale teorico dei mercati concorrenziali. Insomma: perché i mercati e la concorrenza funzionino occorre organizzare e regolare i primi e proteggere la seconda.

Arriviamo qui a un punto chiave dell'intera discussione: quella cosa che in queste diatribe un po' troppo astratte si chiama "stato" o quell'altra che viene detta "società", in che consistono e di che cosa son fatte? Mi spiego: i mercati sono composti da agglomerati di individui, organizzati più o meno formalmente in aziende, imprese, associazioni, cooperative. Questi individui perseguono il proprio benessere. Lo stato, non quello astratto ma quello che sta a Roma, ad Ancona, Napoli o Milano, è anch’esso composto dello stesso materiale: individui che, avendo scelto una certa professione, cercano di ricavare dalla medesima quanti più benefici possibile. Il regolatore statale, insomma, non è meglio peggio dell’agente privato. Entrambi perseguono obiettivi egoistici di massimizzazione dei propri interessi. In un caso e nell’altro la chiave del problema consiste nel disegnare e mantenere in piedi delle “istituzioni” che garantiscano e ripristino la concorrenza e la contestabilità, sempre e comunque. Il problema non è, quindi, statisti versus mercatisti, ma concorrenza versus monopolio, nell’ambito economico come in quello politico. Se la questione si pone in questa luce, allora si scopre che l’insistenza sulla lettera ‘S’ in contrapposizione alla ‘M’ è, molto spesso, puro trucco retorico per aggirare il pubblico facendo esso credere che quanto si compie per favorire interessi particolari e ben definiti sia, invece, nell’interesse di tutti. Mario Monti, sostenitore (in tempi non sospetti) di un'applicazione al caso italiano dei principi base dell'ESdM, dichiarava qualche anno fa in un'intervista al Sole 24 ore (accesso a pagamento, ma ripresa anche qui):

Quando promuovevo in Italia l'economia sociale di mercato negli anni 80, e mi chiedevo perché Ludwig Erhard avesse avuto successo in Germania con gli stessi principi che invece Luigi Einaudi non era riuscito a far prevalere in Italia, andare verso l'economia sociale di mercato era per l'Italia una sfida. Quel modello di stampo tedesco stava diventando – [...] - la costituzione economica europea. Includeva aspetti antitetici al pensiero e alla prassi dell'Italia di allora: stabilità monetaria, banca centrale indipendente, disciplina di bilancio, mercato aperto e concorrenziale. Certo, c'era anche il "sociale", ma perseguito ordinatamente, con un sistema fiscale redistributivo; non disordinatamente, con prezzi politici e altre interferenze dello Stato nel mercato. Per l'Italia, andare verso l'economia sociale di mercato voleva dire andare verso la disciplina e verso l'Europa. Questo fondamentale processo, lentamente, ebbe luogo. Oggi, il richiamo all'economia sociale di mercato, in particolare in Italia, dà a volte l'impressione di essere pronunciato con un'ispirazione opposta. Si è un po' insofferenti verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato, e allora si "rivendica", in contrapposizione alla prova non buona data di recente dal modello americano (ecco un'altra "conseguenza economica del Signor Bush"), la legittimità, anzi la necessità, di maggiori dosi di socialità e di discrezionalità politica.

Difficile dissentire, se non per due affermazioni che sono probabilmente sfuggite all'altrimenti cauto Mario Monti. Infatti, credo anzitutto che vi sia da dubitare (anche alla luce delle recenti calamità in cui molte banche nord-europee, tedesche in particolare, sono riuscite ad infilarsi) che le regole classiche dell'Ordoliberalismo siano davvero riuscite a diventare la "costituzione economica europea". Ma tralasciamo questa affermazione che richiederebbe una trattazione propria conducendoci inevitabilmente fuori tema. Facciamo invece attenzione al punto in cui Monti suggerisce che tale insieme di regole sia stato accettato in Italia; accettazione che, io ritengo, non abbia invece avuto luogo. È vero, attraverso una serie di provvedimenti d'emergenza, salassi fiscali e rocambolesche modificazioni dei criteri d’ammissione, l'Italia è entrata nell'Euro e la sua politica monetaria viene oggi decisa, graziaddio, a Francoforte. Punto, e basta. Le liberalizzazioni, invece, non ci sono state: ci sono state delle (scarsissime) privatizzazioni, che sono un'altra cosa e che sono consistite (fatte salve pochissime eccezioni) nella trasformazione di monopoli pubblici in monopoli privati. I mercati chiave dell'economia italiana (bancario, assicurativo, dei trasporti, delle telecomunicazioni, della televisione, dei servizi professionali, ...) non sono né competitivi né liberalizzati. Sono "socialmente" regolati e manipolati dall'intervento dello stato e di una miriade di gruppi d’interesse e sindacati, Alitalia docet. L’idea che lo stato debba intervenire e regolare i fenomeni economici implica da sempre, in Italia, significati e azioni contrari al mercato concorrenziale. Implica sempre molto poco mercato e anche molto poco sociale, mentre implica molto stato o, meglio, gruppi d’interesse nel medesimo annidati. La particolare forma di ESdM introdotta in Italia a partire dagli anni '50, è andata radicandosi ed estendendosi sempre di più, degenerando progressivamente nelle forme di consociativismo, pan-sindacalismo e compenetrazione intima fra monopoli privati e potere politico, di cui il resto del paese è vittima.

L’ESdM in Italia c’è già, è quello che da cinquant’anni abbiamo ed ha prodotto i risultati sotto gli occhi di tutti. È plateale che abbia fatto danno al paese e che vada riformata e probabilmente rivoluzionata. Insistere sulla lettera S invece che sulla lettera M è solo un trucco retorico per mantenere lo status quo e, se possibile, peggiorarlo come i provvedimenti di tutti i recenti governi (quello presieduto da Mario Monti incluso) provano. Ecco a cosa servono, concretamente, le fanfare ideologiche che oggi ascoltiamo suonare, dalla Vetta d’Italia all’isola di Pantelleria, in supporto all’economia sociale di mercato. Ed ecco perché la cosidetta "Agenda Monti", che a tale ideologia e pratica esplicitamente si ispira, è dannosa per il paese: perché intende mantenerlo sul sentiero del declino in cui la versione italiana dell'ESdM l'ha avviato da tempo, pur dichiarando retoricamente che vuole cambiare tutto. Ma siccome non dice come e che cosa intenda concretamente cambiare tutto fa ritenere che si tratti del solito gattopardismo che, come ben sappiamo, non intende cambiare niente.

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Commenti

Ci sono 73 commenti

Considerazione: i modelli , come modelli, tendono a tagliare e a semplificare.

Io nel modello ci aggiungerei i parametri: ricerca della legalità e contrasto alla criminalità economica. Anche l'ndrangheta ha un modello economico e persegue i suoi interessi. Diciamo che persegue il monopolio e "non gradisce" (sparandola) la concorrenza?

Siamo fermi ai "clientes" dell'impero Romano, siamo passati attraverso i vassalli-valvassori, le partecipazioni statali ieri e le consulenze Finmeccanica-Tarantini.

Siamo a fine impero Romano, 300-500 d.c. Il disfacimento dei confini dell'impero, la crisi economica, la rete dei trasporti in sofferenza (pessima manutenzione), l'amministrazione imperiale in sofferenza, rendono i commerci campagna-città sempre piu' precari. Le città (i servizi e l'artigianato) soffrono, la campagna cerca l'autosufficienza non riuscendo a vendere i suoi prodotti in maniera sicura (i briganti si arrobbano le merci sulle strade). LA crisi del commercio fa aumentare le tasse per mantenere l'esercito. Inflazione, sempre piu' povertà, disfacimento delle reti commerciali. Alla fine i barbari sfondano al Nord al sud an centro. Le città si svuotano, le campagne si riorganizzano nelle "curtis". nascono i primi "signori" che a partire dal potere economico agricolo esercitano (in sostituzione alla disgregata amministrazione pubblica romana) il potere politico. Frotte di persone dalla città si trasferiscono in campagna pre cercare protezione dal signorotto (che si puo' permettere un manipolo di armati) cedendo la loro libertà. (ref. Il libro di storia di mio figlio, 1a media).

c'è speranza si possa fare breccia nell'incultura dominante sia a destra che a sinistra come nel centro che vede solo e sempre nello Stato il motore (immobile) dell'economia? Leggendo commenti e posizioni c'è da farsi prendere dallo sconforto.

Complimenti all'autore. Bellissimo articolo.

E' dal 15 agosto che ti aspettavo! Grazie professore, vedo che hai messo l'abito della festa. Sei sempre tu ma piu' contenuto nello stile, piu' consono al tuo nuovo ruolo. Grazie. Si e' sentita la tua mancanza e mi piace il nuovo stile coerente ma piu' adatto all'ora che e' seria e richiede linguaggio serio

 

Mi spiego: i mercati sono composti da agglomerati di individui, organizzati più o meno formalmente in aziende, imprese, associazioni, cooperative. Questi individui perseguono il proprio benessere.

 

e lo perseguono producendo ad acquistando beni e servizi in contropartita di un pagamento, ovviamente. Fin qui tutto fila.

 

 

Lo stato, non quello astratto ma quello che sta a Roma, ad Ancona, Napoli o Milano, è anch’esso composto dello stesso materiale:

 

 questa è una tautologia. Siamo tutti esseri umani. 

 

 

individui che, avendo scelto una certa professione, cercano di ricavare dalla medesima quanti più benefici possibile. Il regolatore statale, insomma, non è né meglio né peggio dell’agente privato. Entrambi perseguono obiettivi egoistici di massimizzazione dei propri interessi.

 

mi sbaglio, o si tratta della teoria della public choice in due parole?

 

Comunque, qui comincio a vedere dei problemi. Gli individui che scelgono una professione nel servizio pubblico fanno certamente la scelta in base a un calcolo costi-benefici, ma una volta che sono nel sistema sono anche vincolati da culture istituzionali, norme, sistemi di incentivi ecc.  E spesso queste norme vanno proprio contro il perseguimento dell'interesse egoistico, almeno di quello immediato, del singolo individuo; anzi l'organizzazione pubblica spesso richiede il sacrificio dell'interesse individuale per esistere e funzionare. (ma vale anche per il privato, una impresa con operai assenteisti o amministratori ladri, che cioè massimizzano il loro interesse egoistico, non funziona)  

Il mio interesse individuale potrebbe essere (estremizzo e volgarizzo) farmi dare una mazzetta per prestare un libro ("sennò ti dico che è smarrito e ti attacchi") o chiedere prestazioni sessuali in cambio di ricerche bibliografiche, ma se ci provassi non solo finirei in galera (norma coercitiva), ma diventeri una vergogna della categoria (sanzione da cultura organizzativa condivisa). 

Oppure, estremizzando ancora, pensiamo ai militari, dove  essere pronto a dare la vita per il commilitone, perché lui è pronto a fare lo stesso per te  è la base della coesione che fa funzionare un esercito. 

ripeto: 

 

Il regolatore statale, insomma, non è né meglio né peggio dell’agente privato. Entrambi perseguono obiettivi egoistici di massimizzazione dei propri interessi.

 

significa l'interesse egoistico del singolo funzionario o impiegato o l'interesse di quella data istituzione come organo collettivo? Che poi pone il problema di come faccia l'ente collettivo ad avere una sua volontà e a percepire i suoi interessi, se questi non coincidono con la sommatoria di quella degli individui che la compongono.

E  in cosa consiste l'interesse "egoistico"? Il termine fa pensare a un interesse in contrasto con quello degli altri, un gioco a somma zero dove io vinco se perdi tu. Tant'è che in un contesto di public choice sembra collegato a fenomeni negativi, come gli interessi particolari e il rent-seeking. 

 

 

In un caso e nell’altro la chiave del problema consiste nel disegnare e mantenere in piedi delle “istituzioni” che garantiscano e ripristino la concorrenza e la contestabilità, sempre e comunque.

 

cioè, scusa: il regolatore pubblico ( penso che sia quello a cui ti riferisci con "istituzioni") persegue (mi chiedo se iè corretto  assumere la clausola "solo, sempre e unicamente")  i suoi propri interessi egoistici, che  vengono ridotti da contendibilità, trasparenza e concorrenza; però allo stesso tempo il suo compito è garantirle?

Sembra un ragionamento un pò perverso: io regolatore o istituzione perseguo il mio interesse egoistico... che consisterebbe nel fatto che il perseguimento di questo interesse mi sia limitato? (cioè, i volenterosi tacchini del Thanksgiving)

 

 

Il problema non è, quindi, statisti versus mercatisti, ma concorrenza versus monopolio, nell’ambito economico come in quello politico.

 

su questo sono perfettamente d'accordo, ma non quadra con la premessa, che invece porterebbe a concludere che tutti gli attori pubblici e privati puntino solo a massimizzare  i loro benefici egoistici a scapito di tutti gli altri, ma questo non è mercato o stato, è Hobbes senza Leviatano. 

ma tu le hai scritte meglio di come le avevo pensate. sottoscrivo in pieno

Il capoverso :

"Gli individui che scelgono una professione nel servizio pubblico fanno certamente la scelta in base a un calcolo costi-benefici, ma una volta che sono nel sistema sono anche vincolati da culture istituzionali, norme, sistemi di incentivi ecc. E spesso queste norme vanno proprio contro il perseguimento dell'interesse egoistico, almeno di quello immediato, del singolo individuo; anzi l'organizzazione pubblica spesso richiede il sacrificio dell'interesse individuale per esistere e funzionare. (ma vale anche per il privato, una impresa con operai assenteisti o amministratori ladri, che cioè massimizzano il loro interesse egoistico, non funziona) "

Non mi convince assolutamente, in Italia vedo una penosa carenza di "culture istituzionali, norme, sistemi di incentivi " che impediscano al pubblico amministratore, sia politico che a livello dirigenziale di farsi esclusivamente interessi personali, dato che anche dal punto di vista della sanzione sociale esiste una massa di ammiratori dei "furbi" e il parassita statale medio preferisce ampiamente l'uovo oggi alla gallina domani, anche perché l'uovo e suo e la gallina non si sa.

Il fatto che le imprese private in mano a operai assenteisti e amministratori ladri vada male non mi sembra contrasti con lo stato attuale dell'Italia,,,,,

Credo che la sua critica sia in realtà frutto di un equivoco piuttosto banale.  Per "istituzioni", in ambito economico, non si intende semplicemente lo stato o il regolatore pubblico.  Sotto questa definizione rientrano invece tutte le strutture, meccanismi, "regole del gioco", norme sociali ecc.  che in vario modo alterano gli incentivi degli agenti o più in generale il loro comportamento.

In realtà, accade spesso che schemi istituzionali più specifici (a cui fa riferimento ad esempio un'impresa) siano definiti da organizzazioni (p.es. un'autorità di regolamentazione) il cui comportamento è a sua volta influenzato da istituzioni di ambito più ampio (norme costituzionali).  Inoltre, qualsiasi organizzazione (sia essa un'impresa, un organo pubblico ecc.) si basa su schemi, accordi, regole che coordinano l'operato di coloro che la compongono; anche questi schemi possono essere considerati istituzioni, rispetto ai membri dell'organizzazione.  Il punto però è che in qualsiasi analisi occorre tenere ben distinti i diversi livelli.  Douglas North si è impegnato a fare chiarezza su questa distinzione.

Sul problema più generico da lei sollevato, di come possa nascere un'istituzione che ponga limiti al comportamento degli attori, una risposta parziale: molte istituzioni nascono per risolvere problemi di coordinazione e di azione collettiva, quindi la loro esistenza è nell'interesse degli attori stessi.  Ciò ovviamente, non significa che questi problemi siano di facile soluzione.

È un po` un limite di questo filone di pensiero e dei modelli che ne conseguono: l’individuo è un agente razionale ed egoista, e persegue il “proprio interesse” . Una difficoltà consiste nel fatto che ci sono sempre componenti di casualità e di irrazionalità nel comportamento umano. Una seconda difficoltà è che l’identificazione di ciò che costituisce il mio interesse e dei mezzi adeguati al suo perseguimento è soggettiva, ossia dipendente dalle convinzioni e dalle conoscenze dell’individuo. Per esempio, l’interesse egoistico di una persona dominata dall’avidità di denaro non coincide con quello di una persona dominata da una convinzione religiosa o con quello di una persona dominata dal desiderio di avere delle relazioni affettive appaganti. Quindi sarebbe necessario avere una popolazione sostanzialmente uniforme intellettualmente, culturalmente e ideologicamente...

Condividendo l'analisi (anche se, nell'agenda Monti io ho trovato solo belle parole in cui chiunque potesse rispecchiarsi - l'effetto Forer di cui si parlava su Chicago Blog - più che una proposta concreta e coerente), di solito tendo a descrivere la ESdM come declinata in Italia nel senso di Economia Statale di Mercato.

Anche se, considerando che troppo spesso i capitalisti sono coraggiosi solo coi capitali altrui (quelli pubblici), non di rado penso ad un più esatto Economia Statale di M[censura], ma dubito che tale definizione troverebbe seguito in un Blanchard.

Grazie per l'articolo.

 

Qual è il principio di fondo dell'Ordoliberalismo? È abbastanza semplice. Il principio di fondo è che i "mercati perfettamente liberi" non esistono e che, le rare volte che i mercati si auto-organizzano danno luogo a strutture fragili ed esposte a molti rischi, primo fra tutti la manipolazione da parte d'alcuni dei partecipanti, la concentrazione del potere nelle mani di pochi (ossia, il passaggio da concorrenza a monopolio o oligopolio), la creazione di cartelli e sindacati d'un tipo o dell'altro, l'acquisizione di posizioni di "rendita", e così via. Insomma: lasciati completamente a se stessi i "mercati" tendono a degenerare e a perdere la capacità di essere quello strumento di benessere sociale e di progresso economico che altrimenti sono. Questa posizione teorica - apparentemente, ma a mio avviso non realmente - contrasta con una visione che molti classificano come liberalismo laissez-faire o liberalismo classico, secondo cui i mercati si auto-organizzano e gli individui lasciati completamente a se stessi, con al più l'ausilio d'uno stato minimo, riescono a fare benissimo i propri interessi.

 

 

Ma questo concetto non era già ben presente nel pensiero di Adam Smith, che più "classico" non si può?

 

 

People of the same trade seldom meet together, even for merriment and diversion, but the conversation ends in a conspiracy against the public, or in some contrivance to raise prices…. But though the law cannot hinder people of the same trade from sometimes assembling together, it ought to do nothing to facilitate such assemblies, much less to render them necessary.

The Wealth Of Nations, Book IV Chapter VIII, p. 145, para. c27.

 

e allora in che consiste l'innovazione dell'ordoliberalismo? Non posso credere che Euken e Böhm fossero così crassamente ignoranti.

Forse gli ordiliberisti intendevano solo proporre un parziale aggiornamento di concetti classici in un'epoca storica nella quale erano squalificati dalla crescente diffusione del socialismo, intenazionale o nazionale che fosse, anche a discapito della socialdemocrazia.

Però l'ordoliberismo si caratterizzò per un'esplicita teorizzazione dell'intervento statale non solo a sostegno del funzionamento dei mercati, ma anche a correzione degli esiti percepiti come inaccettabili socialmente: tanto che si è potuto ravvisare nelle dottrine che lo compongono una scelta per la funzionalizzazione dell'impresa a fini pubblici. L'impresa è libera finché realizza l'utilità sociale, misurata ovviamente dalla politica: quando non la consegue, la politica interviene.

Nella visione classica, il mercato è regolato dal diritto privato; l'ordoliberismo e la tradizione interventista europea - ma anche americana, dal movimento progressista in poi - tendono a sottoporre il mercato al diritto pubblico, attribuendo ampia discrezione all'amministrazione.

ho capito alla prima lettura! Condivido al 95% poichè ritengo che uomini "giusti" possano far funzionare bene anche un meccanismo non perfetto (ammesso che in economia esistano meccanismi perfetti)

Ma non c'è alcuna garanzia che gli uomini siano "giusti": perciò è meglio predisporre meccanismi che, pur non perfetti, funzionino anche in mano ad uomini di media rettitudine.

Come mi era già capitato di segnalare su questo sito, la dizione "economia sociale di mercato" è effettivamente quella usata nei Trattati, vds. all'Art. 3 comma 3 del TUE

 

 

3. L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.

 

Dal punto di vista filosofico, è chiaro che un tedesco leggerà queste parole alla luce della propria cultura politica, mentre un Italiano no, però dal punto di vista filosofico-concettuale non è necessario vedervi proprio Erhard in quella citazione, ma una sua qualche versione "attualizzata".

RR

faccio presente, per la cronaca, che l'economia sociale di mercato rappresenta uno dei pilastri del manifesto del Partito Popolare Europeo:

http://images.europaemail.net/client_id_5328/attachments/1._EPP_Manifesto,_EN.pdf

(si veda il punto 2).

L'analisi dovrebbe quindi allargarsi al contesto europeo. Dopodiché le radici storiche di questa variante del coseddetto neoliberalismo risalgono agli anni '30-'40, Colloque Walter Lipman, Mont Pèlerin Society. Il disorso sarebbe molto lungo e complesso.

Condivido comunque una parte dell'analisi di Michele e, in particolare,  quella che riguarda l'ipocrisia della S.

L'articolo è interessante ma sarà efficace? Monti ha scelto di usare il termine "economia sociale di mercato", perchè il suo essere "economista" è visto negativamente da molti elettori. Quindi si è inventato questa formuletta per cui è per l"economia" ma l'economia sociale. In quanto l'aggettivo sociale richiama nell'immaginario la solidarietà, onde evitare di passare troppo a sinistra a "sociale" aggiunge "di mercato", un modo moderno per dire"DC ala dura" :-).

Insomma tutto vero quello che scrive Michele ma dato che a Monti nulla frega dell'economia sociale di mercato gli interessava solo uno slogan di facile presa per sdoganare il suo essere "economista",  agli elettori (cui questo slogan è rivolto) basterà leggere articoli come questo? Sperem...

Bisogna tenere conto del fatto che Mario Monti è un uomo dell'UE, dopo essere stato commissario ha intrattenuto continue relazioni con la Commissione. Come tale, l'ESdM deve essere la sua bandiera.

in assenza di tasto.

Caro Boldrin, premetto che condivido il programma di FARE e lo voterò. Dico qui cose solo in parte pertinenti con il tuo post, ma ci tengo a dirle e questa è un’occasione abbastanza opportuna. Riguardano l’aggettivo “Sociale” in ESdM.

Magari non per gli economisti (seri), ma certamente per la gente comune che sente Monti (o Bersani) dire che lui è a favore della economia sociale di mercato, il senso può essere diverso da quello che intendi tu. Può volere dire che si è sensibili agli effetti sociali del funzionamento di un’economia di mercato. Come dire che si è sì a favore dell’economia di mercato, ma anche a favore di valori di solidarietà collettiva.

Aspetta a sbuffare, sbuffo anch’io, tuttavia sono convinto che un'aperta presa di posizione su questi valori sia politicamente cruciale. 

Ieri sera a cena un amico, medico e ricercatore di 42 anni, figlio di operai, passato di sinistra riformista, elettore di Matteo Renzi, mi dice che conosce Giannino e apprezza molto il programma di FARE. “Allora lo voti?” gli chiedo. “No”. “Perché?”.

Perché, mi dice, è troppo drastico. “In che senso?”.

Vedi, mi risponde, io sono d’accordo che ci sono milioni di italiani che vivono direttamente o indirettamente di cattiva politica, sostanzialmente dei parassiti, una palla al piede per la crescita. Però penso che la maggior parte di loro sono dei poveracci e che non si possa metterli di colpo sul lastrico. Sarei a favore se fossi spietato, ma io non sono spietato, sono tutt’altro.

D’accordissimo, continua lui, sul vendere subito tanti immobili statali per ridurre il debito. Ma dismettere in tempi brevi aziende statali e municipalizzate che danno posti di lavoro (gonfiati e diseconomici, ok) a tanta gente, avrebbe effetti sociali intollerabili. Dato che, privatizzando seriamente quella aziende, i privati poi giustamente dovranno licenziare tanta gente “inutile”.

Per il mio amico medico, economia sociale di mercato vuole dire avere a cuore anche la sorte di questa gente.

Gli ho fatto le mie obiezioni, le stesse che gli avresti fatto tu. Ma gliele ho fatte dopo avergli detto che condividevo senza riserve la sua posizione ‘morale’: anch’io sono tutt’altro che spietato.

D’accordo, il medico pietoso fa la piaga purulenta. Il mio punto (vorrei dire il nostro punto) è che il bravo medico deve fare capire al suo paziente che, se non è scioccamente “pietoso”, non è neanche spietato: combatte la malattia ma sta dalla parte del paziente, gliene importa davvero di lui. “Sociale” in questo senso.

Bersani ieri ha espresso questo punto “morale” con efficacia: www.youtube.com/watch (da 30” a 1’ 27”).

Condivido le obiezioni che faresti a Bersani. Ma l’appello ai valori che Bersani richiama secondo me va condiviso e dobbiamo dirlo apertamente, senza il pudore che forse trattiene alcuni di noi.

Se davvero vogliamo avere il voto del mio amico medico. Il rischio, altrimenti, è che il mio amico medico ci rifiuti perché ci mette insieme alla destra di cui parla Bersani. In effetti, temo, è sostanzialmente per questo che non ci voterà.

Non sto dicendo che dismettere le aziende statali sia sbagliato. Sto dicendo che bisogna spiegare bene che noi ci preoccupiamo davvero di quelli – parassiti o meno – che perderanno il posto. Che lo facciamo perché si possa creare nuovo lavoro “sano” per i loro figli, se non per loro.

E dire tutto questo con una faccia e un tono che mostri solidarietà, non indifferenza o peggio fastidio.

P. S.: del tutto d'accordo col commento precedente di Corrado Ruggeri, che leggo solo ora.

suggerirei di leggere attentamente la proposta di FARE sulla riduzione delle spese, approfondita in questo documento. Scoprira' che non si intende mettere sulla strada nessuno, anche perche' non si puo'. Puo' spiacere o meno, e' irrilevante: non si puo' ne' licenziare ne' ridurre gli  stipendi. E nemmeno serve, perche' facendo due conti si scopre che basta limitare gli aumenti delle pensioni e degli stipendi, e si puo' persino farlo in misusa equa, e cioe che per quelle sotto i 3000 euro venga mantenuto il potere d'acquisto grazie alla contemporanea diminuzione delle imposte. 

Il programma di FARE fa aumentare i posti di lavoro eliminando gli sprechi, non li fa diminuire. Il documento rivela che si possono prendere misure senza enormi costi sociali, basta toccare le aree di spesa che piu' costano alla politica (e non parlo solo degli stipendi parlamentari, ovviamente). 

Ho una domanda. Amazon non è forse ormai un monopolio mondiale? Non lo è quasi Siemens? Allora questi non influenzano forse troppo un governo perché possa essere buono per i cittadini e non solo per questi giganti industriali? Siamo sicuri che ci sia solo il denaro e l'economia?

 

Quando le elezioni americane hanno mobilitato 6 miliardi di dollari, non è tutto un illusione? E poi dovendo competere con la Cina che non è democratica e distorce palesemente il mercato, non possiamo forse dire che gli interessi industriali hanno ucciso la democrazia, cioè la possibilità di ognuno di decidere cosa vorrebbe fossero le priorità del suo paese, città, villaggio, e di dare buone possibilità a tutti di migliorarsi?

 

I Paesi più competitivi sono anche i più diseguali e questo blocca molto le possiblità di chi è ridotto a semi-schiavo.

 

Con una provocazione, non c'è differenza fra Siemens, amazon e la mafia: sono solo le versioni nazionali del postulato quinto: chi ha i soldi in tasca, ha vinto.

i giganti industriali e finanziari possono influenzare i governi, ma non possono obbligarli ad assecondare le loro condizioni. Diamo responsabilità e colpe a chi ha un ruolo primario nella società e nello Stato.

 

I Paesi più competitivi sono anche i più diseguali e questo blocca molto le possiblità di chi è ridotto a semi-schiavo.

 

 

ma scusa, mettiti nei panni (ancora molto modesti) dell'ultimo degli ultimi di uno dei paesi che sta crescendo  a gran ritmo, cioè qualli competitivi. deve rimpiangere la situazione di pochi decenni fa, che era PER LORO di ineguaglianza maggiore e più stabile?

certi discorsi si fanno al caldo delle proprie poltrone, col monocolo e la veste da camera.

 

Visto che chiedi di rispondere alle domande, faccio lo sforzo di rispondere ad alcune, non l'ho fatto prima perche' sinceramente lo ritengo un troll feeding, ma tant'e', vengo accusato di disonesta' intellettuale, abbocco

 

Amazon non è forse ormai un monopolio mondiale? Non lo è quasi Siemens?

 

Amazon ha cominciato e ha un brand per la vendita di libri. Una breve ricerca rivela decine di librerie online e offline che competono sui prezzi di Amazon. Direi che non e' un monopolio ne' mondiale ne' locale.  Da quando esiste amazon, i prezzi dei libri sono diminuiti. Lo stesso vale per siemens.

 

Siamo sicuri che ci sia solo il denaro e l'economia?

 

Sono sicuro che non ci sono solo il denaro e l'economia.

 

Quando le elezioni americane hanno mobilitato 6 miliardi di dollari, non è tutto un illusione? 

 

Un'illusione che nel 2008 ha portato alla casa bianca una persona che era 4 anni prima un perfetto sconosciuto, figlio di ragazza madre che per una buona parte della propria giovinezza lo ha scarrozzato in giro per il mondo. 

 

I Paesi più competitivi sono anche i più diseguali e questo blocca molto le possiblità di chi è ridotto a semi-schiavo.

 

Questa non e' una domanda, e' una affermazione basata su una premessa empirica falsa e su una conclusione teorica ardita. Per rispondere occorrerebbe un libro, ma ne esistono gia tanti, basterebbe mettersi umilmente a leggerli. 

per la mia esperienza, quando vengono usati i puntini di sospensione si sta cazzeggiando senza costrutto.

di questo c'è magari evidenza empirica, una statistica, un grafico?

 

L’ESdM in Italia c’è già, è quello che da cinquant’anni abbiamo ed ha prodotto i risultati sotto gli occhi di tutti.

 

Commento dalla stessa estensione semantica di uno del tipo "Il Mercato nel Mondo c'è già da tremila anni ed ha prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti".

Forse sarebbe meglio restringere il range di interesse e soprattutto identificare meglio ruoli e responsabilità.

Un'altra Economia Sociale di Mercato è possibile.

RR

"Un'altra Economia Sociale di Mercato è possibile"  mi ricorda moltissimo uno slogan corrente negli anni '70, che propugnava "un altro modo di fare l'automobile".

In effetti, la produzione automobilistica è cambiata, ma non nel senso auspicato dalle forze politiche e sindacali "socialmente ispirate": il risultato prodotto è stato drammaticamente diverso.

Sarebbe opportuno, quando si coniano nuovi slogan, anticipare gli elementi costitutivi della visione che essi dovrebbero riassumere: altrimenti, sono parole in libertà. Sarebbe bene tenere a mente anche la lezione di Elias Canetti.

Visti i presupposti del testo in discussione, v'è una nicchia di cittadini che preferisce l'Economia Antisociale di Mercato (EAdM) al sistema in uso.

Costoro espongono liberamente le proprie idee, ma spalano badilate di letame in modo improprio sulla ESdM facendo al tempo stesso gloria dell'EAdM senza molti appigli empirici.

Insomma sono come quel Camerun che vorrebbe applicare l'EAdM ai rapporti UK-EU: ci prendiamo quel che vogliamo, un "cherry-picking" di doveri, a fronte di una piena apertura dei mercati.

Veramente Antisociali. Come gli Elettori di F.A.R.E.

RR

Se la "Società" è quella che (con i soldi provenienti da una delle tassazioni più elevate del continente sul lavoro) consente di sprecare milioni per auto blu e cene de Batman e, poi, non ha fondi per sanità, disoccupati ed anziani allora essere "antisociali" è un complimento.

Esistono vari tipi di "società" ed esistono vari modi di applicare le "ricette" economiche.

I risultati attuali parlano di un'industria in decrescita che fatica, o è assente, nei settori principali, di studenti che ottengono risultati scadenti rispetto ai coetanei europei, di pensioni che sono state ridotte e di una sanità che necessita di riforme e, probabilmente, avrà una riduzione di fondi. Certo, oggi è il 24 quindi ancora 7 giorni ed il problema degli anziani che non arrivano a fine mese sarà risolto, ma non mi sembra comunque qualcosa di cui essere entusiasti e di cui parlare come se fosse l'unica strada percorribile. Può darsi che la "ricetta" e la concezione del mondo di chi vota FARE non sia la migliore. Può darsi, ma SICURAMENTE non lo è questa italica versione dell'ESDM.

 

 

E' naturale chiedersi se chi usa la demagogia sappia maneggiare lo strumento o ne sia a sua volta vittima.

Ad esempio, se io uso una parola a caso che non vuole dire nulla ma è ritenuta buona (ad esempio: "sociale") e la applico ad una enorme boiata (ad esempio:la "ESgM") avrò tutto un parco di pecorelle che seguono beatamente la parola magica, come il flauto dell'ncantatore.

Ora facciamo una prova: dimostriamo che la boiata è effettivamente tale, e vediamo l'effetto che fa nelle pecorelle.

Qualcuna continuerà a sentire solo la parola magica, qualcuna sentirà anche il ragionamento contrario e cambierà strada,  qualcun'altro si amareggerà sentendo solo la parola "boiata" accostata alla sua parola adorata.

E l'incantatore che farà? Ovviamente, soffierà qualche altra nota dal suo flauto magico. Ad esempio, una parola totalmente priva di significato ma negativa (ad esempio: "Antisociale") per etichettare tout court la teoria contraria.

E le pecorelle dietro a belare.

La domanda ora è:  ma il signor Renzino è pecorella, aspirante incantatore, o un curioso mix delle due figure?

Vediamo la risposta . . .

Finalmente un economista che distingue liberalismo da laissez faire.

"Un mercato è un sistema giuridico. In assenza del quale, l'unica economia possibile è la rapina di strada".

Il principio liberale che il mercato debba essere difeso anche (ma non solo) dalla prepotenza pubblica, mi sembra così elementare e condivisibile che suona stranissimo che possa generare tante opinioni contrarie.

Comunque, per venire alla critica, non sono tanto sicuro che siamo così fortunati per il fatto che la ns. politica monetaria sia decisa a Francoforte. Per due ragioni:

1] Francoforte ha già fatto due errori macroscopici:

- una prima stretta monetaria mentre l'economia era in espansione (per salvaguardare il valore degli interessi bancari dall'inflazione);

- un successivo rilascio eccessivo dei cordoni, nei confronti delle sole banche, a "buoi già scappati" (per evitare il fallimento degli stati più debitori, e quindi la rovina delle banche stesse).

Sostanzialmente, una miope politica negli interessi degli azionisti della banca europea, per confermare che il noto detto sui capitalisti (i peggior nemici del capitalismo) può essere trasferito ai banchieri (ed alla poiltica monetaria).

2] Perché la politica monetaria è vitale per uno stato. Perché "money matters". E perché in nessun caso è conveniente ad uno Stato indebitarsi. L'idea era che, per paura degli interessi, lo Stato avrebbe speso meno. Mi chiedo chi abbia avuto questa idea così brillante. Spero almeno che chi ritengo veramente brillante (il prof. Boldrin) non la condivida.

La soluzione è un'altra. E come al solito, è Costituzionale.

Basterebbe copiare la Costituzione Svizzera che definisce lì i confini delle proprie politiche monetarie.

Veramente, anche noi li avremmo questi confini (art. 81). Ma purtroppo la nostra è una costituzione incompleta, che non difende se stessa, e quindi non serve a nulla.

Caro Guido,

potresti spiegare come vengono definiti i confini delle politiche monetarie nella costituzione svizzera?

grazie!

 

m.

Allora quello che cita lei è solo l'inizio dell'Economia Sociale di Mercato dopo la Seconda Guerra Mondiale...Ma ha origini più antiche: Negli anni 30 con la Scuola di Friburgo. E la stessa scuola di Friburgo ha delle differenze con l'ESdM:

 

"In a very brief – and, accordingly, somewhat simplifying – manner, and in anticipating some arguments that will be more fully explained later, the difference between the ordo-liberalism of the Freiburg School and Müller-Armack’s concept of the social market economy can be described as follows. For the Freiburg School the market order, as a non-discriminating,  privilige-free order of competition, is in and by itself an  ethical order. As fas as the need for “social insurance” is concerned, the Freiburg ordo-liberals recognized that the competitive market order can be, and should be, combined with a system of minimal income guarantees for those who are, temporarily or permanently, unable to earn a living by providing saleable services in the market. They insisted, though, that such social insurance provisions must be of a nondiscriminating, privilege-free nature, and must not be provided in ways – e.g. in the form of  subsidies or other privileges granted to particular industries – that corrupt the fundamental ethical principle of the market order, namely its privilege-free nature. Müller-Armack, by contrast, regards the market order as an economically most efficient order, but not as one that has inherent ethical qualities. It is a “technical instrument” that can be used by society to produce wealth, but it does not make itself for a “good” society. It has to be made “ethical” by supplementary policies, in particular “social” policies". The important point is that in MüllerArmack’s case, these supplementary “social provisions” that are supposed to make the market economy - beyond its economic efficiency - ethically appealing are not constrained, as they are in for the Freiburg ordoliberals, by the proviso that they must not be in conflict with the privilege-free nature of the rules of the game of the market. – One may well suppose that it is 

not least the lack of this constraint that has allowed for the erosion of market principles that has taken place in Germany during the last half century through legislation and jurisdiction, in the name of the “social” market economy, an erosion that has led to recent public calls for a “new” social market economy (“Neue Soziale Marktwirtschaft”)

 

PDF:

www.econstor.eu/dspace/bitstream/10419/4343/1/04_11bw.pdf

 

Diciamo che, semplificando, potrebbe essere visto il tutto come un'autostrada:

 

- ci devono essere dei caselli (tasse)

- non ci devono essere delle buche (il traffico deve scorrere; non ci deve essere delle cose che limitino l'azione delle imprese)

- non tutte le macchine hanno lo stesso pedaggio

- ci sono i guard rail per delimitare il percorso delle macchine e per renderlo più sicuro (politiche sociali)

 

da un punto di vista teorico ciò è bello....Tra la teoria e la pratica nasce qualche inghippo

 

Questo da un punto di vista meramente gestionale

 

Cmq queste macchine devono circolare sull'autostrada

 

Perchè circolano male? 

Perchè ogni 100 m c'è una legge che le blocca (leggi astruse e complicate...e alle volte anche non applicate o mal applicate)

Perchè le tasse sono alte 

etc

 

Perchè le aziende hanno problemi di entrare in autostrada e viaggiare bene senza creare ostacolo alle altre aziende?

Perchè alle volte loro stesse non possono circolare alle volte perchè ostacolate da un sistema organizzativo diciamo piuttosto scadente

 

E qua mi riconduco ad un articolo di Henry Mintzberg su HuffPost

www.huffingtonpost.com/henry-mintzberg/the-problem-is-enterprise_b_636852.html

 

Insomma è tutto da prendere come un orologio che ha 3 meccanismi fondamentali inceppati (che dovrebbero mettere in moto il sistema):

 

1. lo stato (=autostrada);

2. confindustria (che non rende armonico il discorso tra imprese, sindacati e stato) [=autostrade italiane];

3. l'azienda stessa.

 

Poi per quanto riguarda il problema "culturale":

 

cltmallongerland.wordpress.com/2012/02/11/can-do-vs-klarheit-the-german-and-american-cultural-icebergs/

 

Il problema è che nell'articolo Lei è come se esprimesse il concetto del "Can Do" (quindi molto americano)

 

Prima del "Can Do" ci deve essere la "Klarheit"


Prima di Agire bisogna Sapersi Organizzare

 

Quindi è un problema Gestionale-Organizzativo: insomma rendere più omogeneo il sistema Italia...Capire insomma in quale dei tre punti l'orologio smette a funzionare.


Quindi ciascuno dei tre è chiamato a sistemare gli ingranaggi in modo che l'orologio continui a funzionare....

 

Insomma passare dal WHAT al HOW....Quindi non che cosa liberalizzarlo...Ma come liberalizzarlo

 

P.S: E' solo una questione di Connect the Dots trai tre attori principali con una dose di Klarheit....dopo tutto è un mondo globalizzato: italo-anglo-tedesco

mi è piaciuta, la questione però, almeno a quanto pare in Italia, è che nessuno dei tre componenti è disposto a mettersi in discussione e modificare i suoi comportamenti e temo che finchè non si risolverà questo punto non ne verremo fuori.