I liberali - pardon, liberal - del PD

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Leggo con moderata curiosità il manifesto dei "Liberal" del Partito Democratico. E ne traggo le debite conseguenze.

Secondo le intenzioni dei promotori, il movimento (corrente? componente? frammento? lobby? club?) "liberal" all'interno del PD dovrebbe raccogliere le anime «diverse della cultura liberaldemocratica (riformismo socialista,

cultura repubblicana, liberale, ambientalista, laica senza aggettivi)».

Già questa dichiarata intenzione mi fa pensare al peggio: tra riformisti socialisti, repubblicani, liberali, e ambientalisti copriamo una gamma abbastanza vasta di posizioni e ideologie. Non mi sembra un buon punto di partenza. Ma forse sono un ingenuo, e penso che questi signori vogliano davvero dire qualcosa, piuttosto che reclamare un pezzo del nuovo territorio politico (come si faceva nel Far West, quando si piantavano i bastoncini per reclamare un pezzo di terra vergine). Certo che un "socialista riformista" ti aspetti che voglia la programmazione economica, lo stato del benessere per tutti ed altre cose svedesi, mentre un "liberale" ti aspetti che sia contro sia la programmazione economica che lo stato del benessere per tutti. Infatti, in quasi tutti i paesi che io conosca questi due gruppi stanno al "core" di partiti politici opposti.

Ma sospendo per un attimo il giudizio e proseguo nella lettura, animato dalle migliori intenzioni (sospendo anche il mezzo sorriso provocato da quella parola "liberal" - ché in Italia usare le parole inglesi fa ancora figo, anche se la tradizione "liberal" anglosassone non c'entra molto con il pensiero liberale). Chiusa la parentesi del sorrisino, però, mi sorge un dubbio: forse la differenza la sanno, ed hanno usato la parola "liberal" intenzionalmente? Non nel senso di "liberale" ma nel senso di "americano di sinistra, favorevole allo stato del benessere e non molto amico del mercato"? Il dubbio mi angoscia ...

Andiamo avanti, dunque. Cosa vogliono, questi signori? «...crediamo nel modello europeo di economia di mercato e nella competizione...» - benissimo, penso io, siamo sulla buona strada - prima di accorgermi che c'è quella parolina, modello europeo, che fa pensare alla commissione europea, alla burocrazia di Bruxelles, al modello franco-tedesco, eccetera. Non solo, ma il tutto con grande moderazione, mi raccomando, non sia mai che tutto 'sto mercato e competizione non creino dei disastri:

 

«...senza

che questo significhi non occuparsi più della condizione dei più

deboli, degli emarginati e delle zone svantaggiate del Paese, ma anzi

rilanciando il valore della solidarietà, della cooperazione, delle pari

opportunità; un sistema con poche ma incisive regole per evitare

distorsioni e sopraffazioni...»

 

Com'è come non è, in Italia se ti dichiari di sinistra devi invocare i valori della solidarietà, della cooperazione e delle pari opportunità. E devi per forza occuparti delle zone svantaggiate del Paese: ad esempio, del Meridione, che emarginato e svantaggiato com'è deve ricevere ulteriori sussidi, trasferimenti ed aiutini vari per uscire dalla propria emarginazione (e dalla spazzatura, letterale e metaforica). Nessuno che abbia il coraggio di dire che decenni di trasferimenti non hanno aiutato il Mezzogiorno per niente, anzi hanno creato un sistema corrotto e clientelare in cui è spesso difficile distinguere la malavita organizzata dalla classe politica (generalizzo, per ottenere un voluto effetto retorico - un'iperbole, insomma).

Ma perché l'insistenza sulla solidarietà? Mi vengono in mente due motivi: primo, gli effetti perversi del buonismo cattolico che persistono da decenni (e che poco hanno a che vedere con il senso di responsabilità individuale che dovrebbe discendere logicamente dalla lettura del Vangelo). Secondo, il famoso modello "superfisso" descritto da Sandro su queste pagine. Non sia mai che se scateno le forze dirompenti del mercato e della competizione qualcuno rimanga senza lavoro, guadagni di meno, debba sforzarsi un po' di più (poco importa che prima campasse spudoratamente di rendita, come innumerevoli categorie "protette" della società italiana).

Che il modello superfisso sia in qualche modo alla base di tali affermazioni viene confermato qualche riga più sotto:

 

«perché è urgente garantire ai cittadini la ricerca di una condizione

sociale complessivamente più stabile e certa, [...] all’interno del quale non possono esistere lavoratori di serie A e

lavoratori di serie B;»

 

Eccoci, appunto; una condizione "stabile" e "certa": i fattori di produzione non cambiano, la tecnologia non cambia, se variano i prezzi relativi non cambiano necessariamente i comportamenti individuali. E quindi tutto si riduce ancora una volta ad una questione redistributiva, di fare in modo che non ci siano lavoratori di serie A e di serie B. Promuoviamo tutti alla serie A, diamo a tutti contratti blindati a tempo indeterminato, così avremo tutti una condizione stabile e certa.

Non può mancare infine, e chiudo, il riferimento alla ricerca scientifica e alla fuga di cervelli:

 

«...perché c’è una richiesta di modernizzazione profonda e complessiva del

Paese, soprattutto da parte delle generazioni più giovani, che passa

necessariamente dalla garanzia di libertà per la ricerca scientifica e

tecnologica, anzi da politiche di stimolo e sostegno per esse, puntando

al ritorno nelle nostre università e laboratori di quei “cervelli” che

o sono sempre stati all’estero oppure sono stati costretti ad

abbandonare gli ambienti di ricerca in Italia;»

 

Parole, vuote parole. Condite dall'immancabile richiesta di fondi per le università e le istituzioni di ricerca, senza che nessuno abbia il coraggio di richiedere apertamente l'abolizione del valore legale del titolo di studio e la privatizzazione degli atenei. Quella sì sarebbe competizione, ma per i Liberal del PD è un'idea davvero troppo oscena.

PS: qualcuno mi accuserà di aver riportato solo alcuni brani omettendone altri, in cui si invocano leggerezza, trasparenza ed efficienza della pubblica amministrazione, il ruolo del privato, eccetera. Tutto verissimo. Ma quelli sono appelli scontati, oltre che vuoti: i paragrafi che spiegano come farlo (licenziando un 200mila impiegati pubblici, per esempio) mancano. È il resto, comunque, a far rabbrividire.

 

 

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Commenti

Ci sono 16 commenti

Nel DNA dei "liberal" del PD sono ormai codificati un certo numero di dogmi assoluti, inviolabili: la casa, il lavoro, la salute, la scuola, la pensione, sono un "diritto"...quindi, è ovvio che costoro, quando parlano di liberalismo, fanno quel che da un centinaio di anni gli riesce meglio: usare, e dare, a una parola o a un concetto, il significato opposto a quello corrente.

 

 

 

ché in Italia usare le parole inglesi fa ancora figo, anche se la

tradizione "liberal" anglosassone non c'entra molto con il pensiero

liberale

 

In realta', la cosa e' limitata al Nordamerica: in Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda "liberal" ha un significato simile al "liberale" continentale.

Ma e' certamente vero che le parole inglesi sono spesso usate dalla stampa italiana in modo pateticamente malapropistico, da aspiranti cosmopoliti: "minimum tax" al posto di "Alternative Minimum Tax", "hard" nel senso di "hardcore", "hot" quando ci starebbe "sexy", e il mio preferito, perenne favorito del Corriere della Sega , "lapdance" invece di "poledance"...

 

 

In realta', la cosa e' limitata al Nordamerica: in Gran Bretagna,

Australia e Nuova Zelanda "liberal" ha un significato simile al

"liberale" continentale.

 

Da ragazzo

ascoltavo regolarmente il programma Letter from America del giornalista

anglo-americano Alistair Cooke, sul BBC World Service. In uno dei suoi

programmi Cooke spiegò la differenza di significato della parola

"liberal" in Inghilterra e in USA, e concluse dicendo che in America

"a liberal is a socialist with a wife and two children". Da allora mi

sono sempre chiesto a cosa risalga questa differenza, e in che periodo la

parola "liberal" abbia acquisito una connotazione negativa

oltreoceano.

 

Guarda che in Italia, più che la distinzione tra liberal socialisti o comunisti, la distinzione vera è tra chi vorrebbe applicare la legge e chi no.

Francamente, più che licenziare 200.000 dipendenti pubblici, la cosa più urgente sarebbe di dotarsi di un apparato giudiziario e repressivo un pò più efficiente che mandi in galera (od almeno tolga dai posti di comando) i delinquenti.

 Poi discutiamo se sono meglio gli americani o i danesi.

 

E' certamente vero che mandare in galera i delinquenti, e (aggiungo io) rinnovare per davvero la classe dirigente, e' importante.

Ma la cosa fondamentale e' il modello mentale che si ha in testa, se si vuole che il Paese esca dalla paralisi (politica, ma anche e soprattutto sociale, economica, e di weltanschaung) in cui si trova, oppure no. 

 

Il problema, Mario, è sempre quello: una cosa è impossibile senza l'altra. La visione giudiziario-giustizialista del problema italiano è miope, oltre che erronea. Per la semplice ragione che ci sono tanti ladri nel PD quandi in FI, come ve n'erano tanti nel PCI o PSI quanti nella DC. Era solo un problema di opportunità, al tempo, ed ora nemmeno quello! Continuare con questa visione moralistica della politica, come se quelli "nostri" fossero geneticamente meglio dei loro, non porta da nessun lato. 

Gli italiani sono solo leggermente più ladri della media, non enormemente di più. Abbiamo una cultura diffusa dell'arrangiarsi, del compromesso, della cosa pubblica come della cosa di cui approfittarsi, eccetera. Ma, soprattutto, abbiamo uno stato ed un sistema economico che sembrano fatti apposta per favorire quelli che tu chiami "i delinquenti". Il problema sta lì, che piaccia o meno ai nostri pregiudizi. Lettura consigliata: La morale del caso Mastella. Ti faccio osservare che, sino all'altro giorno, Mastella era amato, osannato, protetto e coccolato dai vari Prodi, VW, D'Alema, eccetera. Come vedi, l'onestà scarseggia da entrambi i lati.

 

per quel che concerne l'impronta economica del termine mi pare che la loro idea di liberal è riferibile all'ordo-liberalismo

 

per quel che concerne l'impronta economica del termine mi pare che la

loro idea di liberal è riferibile all'ordo-liberalismo

 

O piu' probabilmente a John Rawls.

 

 

E' indubbio che in buona parte del PD i valori del liberalismo concreto siano assenti, tuttavia all'interno dello stesso partito, esistono delle "aree" di volonta al cambiamento riferito ai valori liberali, una di queste è rappresentata da PierGiorgio GAWRONSKY.Io credo che fra i sostenitori ed i simpatizzanti del PD,vi siano risorse umane pronte a recepire istanze di cambiamento, l'importante è, che chi li propone, abbia il coraggio di portarle avanti in modo rigoroso e senza tentennamenti.

 

 

Per quanto riguarda il problema P.A, in particolare al SUD, bisognerà avere il coraggio di intervenire in modo selettivo, attivando programmi radicali di cambiamento, licenziare 200.000 dipendenti in un sol colpo non sembra un opzione applicabile nel breve periodo, dal dopoguerra ad oggi, in particolare al SUD, la P.A. ed i suoi appartenenti, sono stati considerati come mezzo di controllo clientelare della società,  come luogo per compiere affari loschi, come emblema di inefficenza.La "cosa pubblica" viene diffusamente considerata come un albero della cuccagna ove tutti cercano di trarre la parte migliore sulle spalle dei più deboli, per questo motivo è importante cercare di costruire e di inculcare un "senso civico" di carattere europeo senza il quale nessuna battaglia potrà essere vinta.