Mr. Stefano e Dr. Fassina

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Nell'ultimo numero dei ''consigli per le letture'' abbiamo segnalato un'intervista dai toni sorprendentemente positivi di Stefano Fassina, responsabile economico del PD. Diciamo soprendente perché poco più di un mese fa lo stesso Fassina aveva dato un'altra intervista dai toni ben diversi. Quelle che seguono sono alcune riflessioni generate dai commenti al post.

Nel dibattito sono intervenuti DoktorFranz e Massimo Famularo, il primo avanzando una serie di dubbi e il secondo suggerendo di considerare positivamente le parole di Fassina, sperando che in futuro arrivi qualcosa di più e meglio. Per quel che mi riguarda, seguendo il suggerimento di Massimo, non ho problemi a dire ''era ora'' e ad apprezzare il nuovo Fassina. Però, siccome di giravolte se ne vedono tante e di parole non seguite da atti ancora di più, non posso in tutta onestà dare torto a DoktorFranz. Qualche interrogativo va posto, non fosse altro per stimolare il dibattito interno al PD. Ne propongo un paio.

Primo interrogativo. Veramente non si poteva dire nulla di più sulla riduzione della spesa? Perché questo è il nodo cruciale su cui finora si sono infranti tutti i tentativi di riduzione del carico fiscale, sia di destra sia di sinistra. Fassina dice che è sbagliato finanziare il prolungamento della cassa integrazione con nuove tasse, come ha proposto il suo partito alla Camera. Immagino Fassina ritenga giusto che i redditi di chi perde il lavoro vadano sostenuti, almeno per qualche tempo, il ché è perfettamente legittimo e comprensibile per un partito di sinistra. Spero proprio che non voglia banalmente dire che le spese vanno finanziate con emissione di debito, sennò ci stiamo solo pigliando per i fondelli. Ma se non si aumentano le tasse, non si fa nuovo debito e si vogliono lo stesso aiutare quelli che restano senza lavoro l'unica alternativa che resta è tagliare la spesa pubblica in altri settori. Quali? L'unica cosa che Fassina dice è:

 

Niente riforma fiscale se non si ridiscute, oltre al recupero di evasione, sul modo in cui viene gestita, e spesso sperperata, la spesa pubblica

 

Francamente, non ci siamo. I soliti strali contro ''gli sperperi'' non sono un segnale chiaro di svolta. Sospendiamo pure il giudizio, in fondo nessuna opposizione si mette a specificare esattamente come tagliare la spesa solo per inimicarsi i gruppi che va a toccare, ma questo resta al massimo un incomplete, la sufficienza è ancora da venire a richiede lavoro addizionale. Diamo pure per scontato che nessun politico che sta all'opposizione può dire che vanno tagliate le pensioni [Perché? NdR]. Ma, per esempio, sarebbe così difficile dire chiaramente che i recenti incentivi distribuiti dal governo sono stati soldi buttati dalla finestra? O che si potrebbe vendere la Rai e usare i soldi per ridurre le tasse? Un po' più di coraggio, compagni, se si vuol riguadagnare credibilità.

Secondo interrogativo. Purtroppo nella politica italiana bisogna preoccuparsi non solo di ciò che viene detto ma anche di dove e come. Questa intervista di Fassina arriva dopo che Carlo De Benedetti, in un intervento sul Foglio del 22 aprile ha chiesto che si ridisegnasse la politica economica in direzione di un abbassamento delle tasse. Poco più di un mese fa Fassina vedeva nel fondamentalismo neoliberista il principale nemico e affermava con certa sicurezza:

 

Per me è chiaro, ad esempio, che fare asili nido è più importante che abbassare l'aliquota fiscale.

 

Oggi invece afferma, tra altre cose:

 

Bisogna smettere di credere che la questione dell’abbassamento delle tasse sia soltanto una fissa degli integralisti del liberismo. Non è così.

 

Lasciamo stare il fatto che cambiamenti di opinione così repentini qualche dubbio lo lasciano sempre. Qua la questione è più di fondo: come si configurano i processi decisionali nel partito democratico, quali soggetti vengono ascoltati dai dirigenti, e come vengono selezionate le proposte di politica economica? O, per porre la questione in termini più brutali: quanto conta De Benedetti e quanto contano tutti gli altri? Possibile che nel PD debbano aspettare che glielo dica Carlo De Benedetti che devono smetterla di pensare che tutti i problemi si risolveranno se solo si stanano gli evasori e si tassano ''i ricchi''?

Questo ci conferma l'impressione nettamente deprimente che abbiamo avuto durante la lunghissima ed estenuante campagna delle primarie. Di contenuti veri, di politiche effettive, si è parlato veramente pochissimo, tutti presi come erano i dirigenti del PD nei regolamenti di conti interni. Se ne è parlato talmente poco che il responsabile economia del partito può allegramente cambiare idea di 180 gradi su una questione cruciale come quella della pressione fiscale nel giro di un mese senza generare un forte dibattito nel partito. A parte tutto il resto questo segnala una notevole debolezza culturale, un'incapacità di riconoscere alcuni semplici punti cardine che devono servire per guidare la politica, economica e non, di una forza riformista. Sarebbe bene discuterne apertamente, anziché saltarellare tra una posizione e l'altra a seconda dei momenti.

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Commenti

Ci sono 85 commenti

Diamo pure per scontato che nessun politico che sta all'opposizione può dire che vanno tagliate le pensioni [Perché? NdR]. Ma, per esempio, sarebbe così difficile dire chiaramente che i recenti incentivi distribuiti dal governo sono stati soldi buttati dalla finestra? O che si potrebbe vendere la Rai e usare i soldi per ridurre le tasse?

Non so se il [Perché? NdR] ce l'abbia messo Sandro per fare una domanda retorica o se sia un refuso del redattore che ha approvato l'articolo, ma ben venga perche' pone la domanda giusta.

Infatti e' ugualmente difficile dire che gli "incentivi" sono una porcata (li ha disribuiti spesso e volentieri anche l'opposizione), che la Rai va venduta (servira' anche all'opposizione quando torneranno al governo), e che il sistema pensionistico va riformato una volta per tutte ed equilibrato.

Se non c'e' il coraggio di dire (e fare, magari) una sola di queste cose non puo' esserci il coraggio di dire una qualunque delle altre.

 

Se non c'e' il coraggio di dire (e fare, magari) una sola di queste cose non puo' esserci il coraggio di dire una qualunque delle altre.

 

Come disse Jean-Claude Juncker, i politici sanno benissimo quali sarebbero le riforme da fare, ma poi avrebbero il problema di come farsi rieleggere...

 

 

Lasciamo stare il fatto che cambiamenti di opinione così repentini qualche dubbio lo lasciano sempre. Qua la questione è più di fondo: come si configurano i processi decisionali nel partito democratico, quali soggetti vengono ascoltati dai dirigenti, e come vengono selezionate le proposte di politica economica?

 

Nel PD non esistono processi decisionali tipici delle organizzazioni complesse come puo' essere un partito. Le "posizioni" sono per lo piu' ad uso di beghe interne. Fassina (e gli altri come lui) non ha nessuna convinzione particolare, nessuna capacita' di decidere alcunche' sulle posizioni del Partito, nessuna intenzione di fare proposte sulla base di analisi o di dati (in questo e' culturalmente simile a Tremonti).

Quello che dice volta per volta dipende per lo piu' delle faide interne. Un mese fa andava di moda prendersela con il liberalismo (magari per far dispetto a qualche caporione che non e' d'accordo con Bersani). Oggi va di moda essere per l'abbassamento delle tasse perche' la lobby di Repubblica dentro il PD e' chiamata a raccolta da CdB. Domani andra di moda aumentare le tasse perche' lo dice Martine Aubry (o un altro motivo a scelta). Dopodomani diminuire le pensioni. E fra tre giorni aumentarle. Analogamente sulla Giustizia un giorno si e' per le riforme istituzionali, un altro contro il conflitto di interessi, poi a favore del presidenzialismo. Cosi' un po' come viene, un po' come tira il vento. Un po' come ci si sveglia la mattina.

 

 

il responsabile economia del partito può allegramente cambiare idea di 180 gradi su una questione cruciale come quella della pressione fiscale nel giro di un mese senza generare un forte dibattito nel partito.

 

 

Fassina non e' il "responsabile" dell'economia. E' il "portavoce" (per usare un termine neutro) su questioni economiche della fazione  a cui appartiene. In sostanza il suo compito e' principalmente quello di partecipare alla ridda di dichiarazioni e prese di posizioni che segnano la guerra per bande e i confini delle alleanza tra i cacicchi del PD. Che siano contraddittorie e' irrilevante. Per loro l'azione politica non deve essere coerente. E' semplicemente un parlarsi addosso per marcare il territorio. Un territorio sempre piu' sguarnito di elettori.

 

Nel PD non esistono processi decisionali tipici delle organizzazioni complesse come puo' essere un partito. Le "posizioni" sono per lo piu' ad uso di beghe interne. Fassina (e gli altri come lui) non ha nessuna convinzione particolare, nessuna capacita' di decidere alcunche' sulle posizioni del Partito, nessuna intenzione di fare proposte sulla base di analisi o di dati (in questo e' culturalmente simile a Tremonti).

a me risulta che l'unico che usi i dati, o che potrebbe usare i dati per presentare proposto o attuare delle manovre serie sia Martino, visto che Padoa Schioppa l'unica cosa che ha fatto davvero, è stata promuovere le idee su assegni non trasferibili e non m risulta che si sia mai distanziato da chi dava alle P.I del nord dei "evasori" et simili inezie. di certo però Martino non lo metteranno mai in charge, si dimetterebbe dopo 30 secondi. forzato da altri

 

Sottoscrivo quanto rilevato da Sandro, soprattutto il passaggio sulla necessità di maggiore coraggio senza il quale non si va da nesuna parte. Inoltre la lettura di Fabio

 

Fassina non e' il "responsabile" dell'economia. E' il "portavoce" (per usare un termine neutro) su questioni economiche della fazione  a cui appartiene. In sostanza il suo compito e' principalmente quello di partecipare alla ridda di dichiarazioni e prese di posizioni che segnano la guerra per bande e i confini delle alleanza tra i cacicchi del PD.

 

mi pare più plausibile del mio pensiero iniziale che in sintesi era Fassina ha le idee, ma trova inopportuno esternarle salvo rapide escursioni come quella sul Foglio.

Tra le righe c’è secondo me c'è una sfida per chi mastica di teoria dei giochi (se dico fesserie bastonatemi, ma con dolcezza ;)

1) Nel paese immaginario X sparare cazzate in campagna elettorale paga, proponi un sogno vincerai le elezioni.

2) Nello stesso paese di gli elettori oltre ad essere romantici sognatori hanno pure la memoria corta=puoi promettere di fare qualcosa, essere eletto e non farla e poi essere preso in considerazione al prossimo giro come se niente fosse

3) I provvedimenti di cui questo paese ha bisogno sono impopolari perché ignoranza e ideologia non consentono neanche a chi ne trarrebbe beneficio di rendersene conto (oppure il beneficio arriva solo dopo un sacrificio iniziale che finchè possibile i più preferiscono posticipare)

Come fa un partito politico che volesse realizzare qualcosa di buono ad essere eletto? Deve promettere lecca lecca e poi realizzare lacrime e sangue? Dobbiamo fondare una specie di P2 illuminata in cui fingiamo di credere a babbo natale per mandare al governo un po’ di persone per bene? Oppure aspettare che le riforme ce le imponga qualche autorità sovranazionale?

Finchè sarà possibile farsi eleggere e farsi impunemente i cazzi propri questo paese potrà mai esprimere una classe politica, non dico eccellente, ma dignitosa?

Volando molto più in basso uno che volesse fare qualcosa di buono per i propri figli (a parte emigrare) che dovrebbe fare? Mettere su youtube lezioni di economia politica nella speranza che gli elettori del 2020 si rendano conto che non ci sono pasti gratis e il modello superfisso è una cazzata? O si può lavorare per rendere falso (o solo parzialmente vero) uno dei tre punti sopra?

Probabilmente mi ha già risposto Bob Dylan una quarantina di anni fa, però qualche domandina ho preferito porla ugualmente, vedessi mai che fa venire in mente qualcosa di utile a chi legge.

a me sembra che queste dinamiche regnino incontrastate un po' dappertutto. Da noi sono estremizzate e come spesso accade anticipiamo derive verso il peggio che poi si propagheranno altrove, ma non mi sembra che altrove le campagne elettorali e la classe politica brillino particolarmente

Avevo anche io letto sia il Fassina 1 e 2, che i commenti, e trovo veramente imbarazzante il modo in cui si può cambiare idea nel giro di pochi giorni e nessuno ne chieda conto, fermo restando che solo gli stupidi non cambiano mai idea.

Quello che trovo indecente è poi parlare degli "sprechi" nella P.A. e appaltare consulenze a go-go nelle Regioni in cui si è al governo, come dire fate come dico io, ma non fate quel che faccio io, ecco anche di questo renderei conto a Fassina, ma soprattutto chiederei qual è la politica economica del PD, perchè pur ammettendo che Fassina abbia genuinamente cambiato idea, che Ichino non sia una mosca bianca, che Giavazzi sia un quasi maitre-a-penser io non capisco qual è la "proposta". La "proposta", semplicemente non c'è, oltre ad una vuota retorica vagamente "sinistra".

Parliamo, ad esempio, del problema disoccupazione/crisi aziendali, e vediamo che i lavoratori non sono assolutamente tutti uguali: CIG, CIG straordinaria, mobilità lunga e mobilità breve, niente (se è un para-subordinato) insomma anche un lavoratore che sta per perdere il lavoro non sa che cosa ne sarà di lui, per quanto tempo potrà ricevere un simil salario, con quali "ammortizzatori sociali" sarà trattato, le trattative sindacali, insomma il PD non ha nulla da dire? nulla da proporre per rendere "uguali" i lavoratori?

Sulle pensioni: non so quanto di quello che è detto sulle pensioni sia realtà o leggenda, visto che le pensioni erogate sono 173 miliardi e i contributi pari a 149, ovvero la previdenza pagata dallo Stato ammonterebbe a circa 24 miliardi, in cui la parte del leone la fanno gli artigiani, con un disavanzo di 4 miliardi e gli agricoltori, con un disavanzo di 5 miliardi, oltre al disavanzo degli invalidi civili (fisiologico), e non credo che 24 miliardi di euro, pari a circa il 4% del bilancio dello Stato siano questo scoglio insormontabile, certo sarebbe meglio se entrate e uscite fossero pari, ma mi sembra di ricordare che, con le attuali "quote" (anni di lavoro + età) si dovrebbe arrivare al pareggio nel 2016, ovvero fra poco.

Comunque le pensioni sono un bel dilemma, lo schemino è facile, facile, e anche un idiota come me lo ha compreso, ma non trovo l'incompatibilità fra un disavanzo di 24 miliardi (che scemerà nel tempo, per il passaggio al sistema "contributivo") e un qualcosa che non faccia pagare ai giovani sia i vecchi disavanzi che le loro pensioni. Giusto per dire qualcosa di "sinistra". Ma di cui Fassina non parla, e il PD nemmeno.

e attendo refutazioni, ma rimango della mia cocciuta opinione. La Rai non e' uno strumento del cosidetto potere di foucaldiana memoria. E' semplicemente un apparato (e non dei piu' minuscoli, 15.000 circa persone) del potere statale. Viz. le costanti passate da Rai a parlamenti, governatorati, etc.

Nemmeno e' detto che in un mondo di Fassina, Bosshino, Scajola et al. i Marrazzo/marzullo siano neppure i piu' scemi del mazzo.

Ergo la popolarita' dell'abolizione della Rai e' scarsissima, per il motivo molto semplice che eliminerebbe 15000 posti di lavoro, occupati dai piu' vocali difensori dei posti medesimi (e' facile, ahime', colpire i metalmeccanici, difficile colpire i comici.)

Fassina, Bocchino, Bossino (piccolo Bossi) ma niente Scajola. Lo hanno messo alle salmerie.

Una spiegazione plausibile di queste inversioni a U sta (e lo dico da elettore disilluso del Pd)  nell'acronimo: PD, il partito del Pen Dolo.

Un sorriso mesto

 

 

Ma nel merito, non vi viene manco lontanamente in mente che davvero è più importante costruire asili nido che ridurre le aliquote? (ossia dare servizi - di per sé redistributivi - invece che soldi? consentire alle donne di lavorare in un paese con il tasso di attività femminile più basso dell'occidente, invece di ridurre di 100 euro l'anno le tasse di qualche milione di contribuenti che manco se ne accorgerebbero?). E non vi viene nemmeno il dubbio che Fassina pensi in perfetta buona fede e coerenza che:

1) il neoliberismo è l'ideologia che ha sostenuto e "venduto" la versione del capitalismo che ha portato alla crisi mondiale attuale - o credete che questa crisi è solo colpa di alcune mele marce in qualche banca d'affari?

2) la sinistra è stata succube, in vario modo, di questa ideologia

3) la vecchia ricetta del deficit spending "ecchissenefrega del debito" comunque non funziona più, e oltre a tutto non è manco "giusta" in un'ottica di sinistra egualitaria

4) la pressione fiscale italiana, combinandosi con la mostruosa evasione, rende il sistema oltre che inefficiente anche e sopratutto sostanzialmente regressivo ed ingiusto e, quindi, da cambiare PROPRIO da un punto di vista di sinistra?

5) per farlo mica si possono strangolare là per là le milioni di impresette marginali che mandano avanti malamente un pezzo di questo disgraziato paese, e tuttavia bisognerà pur trovare il modo di farne uscire alcune da questa marginalità, e magari segare le altre (ma questo, comprensibilmente, non si può dire troppo in chiaro).

Insomma, per farla breve, mi sembra che il Fassina 1 non sia necessariamente così in contraddizione dal Fassina 2. La contraddizione - perdonatemi - la vedete voi che vedete le posizioni di questo tipo (le posizioni di chi cerca di costruire una sinistra riformista non appiattita sul mainstream economico standard) con un pregiudizio a priori. Un pregiudizio che appare anche nella spocchia - scusatemi eh - con la quale molti commenti qui sopra tranciano giudizi sul dibattito interno del PD, sui cacicchi e i potentati e tutte 'ste menate.

Un'ultima cosa: l'aspetto più deprimente dei molti commenti che mi è capitato di leggere su nFR - non solo in questa occasione - è la prevalenza di una totale sfiducia da tecnocrati nella democrazia rappresentativa. Voi, solo voi sapete ciò che è giusto. I politici forse lo sanno (nella migliore delle ipotesi) ma non lo fanno perché altrimenti perderanno le elezioni successive. Ergo, la democrazia non funziona. Mi dite, per favore, con quale sistema pensate sarebbe opportuno sostituirla? Devo scoprire che siete d'accordo con chi si sta appassionando del capi-comunismo cinese, che non ha questi problemi (e infatti sta -pare - soffrendo meno la crisi)??

Corrado, l'asilo nido non è il nodo della questione. Il punto è che uno può sempre trovare una buona causa con cui giustificare nuove spese pubbliche. Nessuno nega che ci debbano essere servizi dati dallo Stato, tuttavia, è giusto chiedere conto di come vengano spesi i soldi delle tasse e non c'è niente di male a pensare che molte volte i servizi possano essere offerti anche dai privati. Da questo punto di vista ridurre le tasse consente a ogni individuo di avere più margini di scelta di cosa fare coi propri soldi.

Quanto ai tuoi punti:

 

1) il neoliberismo è l'ideologia che ha sostenuto e "venduto" la versione del capitalismo che ha portato alla crisi mondiale attuale - o credete che questa crisi è solo colpa di alcune mele marce in qualche banca d'affari?

 

Le crisi economiche e finanziarie esistono da centinaia di anni. Dire che la crisi è stata colpa degli avidi capitalisti significa avere una visione estremamente naive. Che mi dici allora dei politici che han fatto le regole che han consentito che la crisi si dispiegasse? Per caso loro non sapevano che i banchieri rispondono a incentivi e che, per esempio, allentare i criteri di leverage avrebbe aumentato il rischio?
Penso che la crisi abbia ridotto anche la credibilità dei politici e non mi pare un comportamento premiante dare alla classe politica più Stato, visto come lo hanno aministrato e lo amministrano.

 

Un'ultima cosa: l'aspetto più deprimente dei molti commenti che mi è capitato di leggere su nFR - non solo in questa occasione - è la prevalenza di una totale sfiducia da tecnocrati nella democrazia rappresentativa. Voi, solo voi sapete ciò che è giusto. I politici forse lo sanno (nella migliore delle ipotesi) ma non lo fanno perché altrimenti perderanno le elezioni successive. Ergo, la democrazia non funziona. Mi dite, per favore, con quale sistema pensate sarebbe opportuno sostituirla? Devo scoprire che siete d'accordo con chi si sta appassionando del capi-comunismo cinese, che non ha questi problemi (e infatti sta -pare - soffrendo meno la crisi)??

 

Veramente direi che la prospettiva liberale abbracciata da questo blog dice proprio il contrario: un liberale pensa che ogni individuo debba essere responsabile delle sue azioni, per esempio il controllo dei politici tramite il diritto di voto. Inoltre la democrazia è importante ed è fondamentale rispettarne le regole e bisogna rispettare procedure ed esiti.
Mi sembra, invece, che la prospettiva della sinistra, a cui tu mi sembra faccia riferimento, sia molto più incline al paternalismo, cioè a una visione in cui c'è il primato della politica e in cui un politico sa meglio di un cittadino cosa è bene per il cittadino stesso.

 

Ma nel merito, non vi viene manco lontanamente in mente che davvero è più importante costruire asili nido che ridurre le aliquote? (ossia dare servizi - di per sé redistributivi - invece che soldi? consentire alle donne di lavorare in un paese con il tasso di attività femminile più basso dell'occidente, invece di ridurre di 100 euro l'anno le tasse di qualche milione di contribuenti che manco se ne accorgerebbero?).

 

Personalmente sono favorevole ad avere piu' spesa pubblica per asili nido e piu' in generale per l'infanzia, ma sono contrario ad aumentare la spesa pubblica in Italia, perche' i soldi che lo Stato preleva dai contribuenti e' gia' eccessivo e comunque non inferiore alla Francia e superiore alla Germania nonostante la maggiore evasione fiscale.  Quindi sono favorevole ad aumentare la spesa pubblica per l'infanzia solo esclusivamente riducendo la spesa pubblica in altri settori (compensi agli amministratori pubblici, pensioni di invalidita' fasulle, previdenza surrettizia per falsi braccianti agricoli, spesa clientelare assortita, dipendenti pubblici in esubero come i forestali, pensioni sproporzionate ai contributi versati, e cosi' via.

Signor Truffi,

lei si rende conto di quanto scrive? Tralasciamo il fatto che lei, invece di argomentare, sentenzia e veniamo alle affermazioni, come dire, "positive".

- La domanda con cui lei inizia (aliquote più basse vs asili nido) è non solo vuotamente retorica, è pure sbagliata. Chi l'ha detto che occorre scegliere uno dei due? Rifletta, tanto per esempio, sui seguenti fatti. (i) Magari si possono tagliare le aliquote e ridurre il numero di dipendenti del ministero della PI facendo arrivare il rapporto alunni/maestri (o professori) nella media nazionale ai livelli di paese più ricchi di noi tipo Germania, Francia o Inghilterra. (ii) Magari le donne (e gli uomini) che lavorano possono pagarsi gli asili nido, se permettiamo che entri l'iniziativa privata. (iii) Magari la redistribuzione si fa con un sistema fiscale veramente progressivo (come quello USA, lei l'ha mai preso in considerazione, per caso?) e non con il controllo statale di questo e di quello (che, come il caso italiano platealmente prova, redistribusce ma alla rovescia). (iv) Magari lasciamo la competenza degli asili nido, dal finanziamento a tutto il resto, ai comuni decentralizzando il potere d'imposizione fsicale. (v) Infine, lei pensa davvero che l'unica riduzione delle aliquote desiderabile o possibile sia quella che fa calare le tasse di solo 100 euro all'anno? Eppoi, cosa le fa pensare che 100 euro, magari ogni due mesi, siano così pochi per il contribuente proletario italiano, quello che lei ed il suo partito apparentemente difendete?

Poi vorrei che lei mi spiegasse

1) In cosa consiste il "neoliberismo" in 1) che, secondo lei, è la causa di tutto.

2) Dove e quando la sinistra è stata "succube" di questa, (quale?) ideologia.

... salto 3) e 4) che non vogliono dire nulla e le chiedo: mi spiega la 5)? Cosa vorrebbe dire, praticamente, la 5)? Sarei curioso di capire ...

Sull'affermazione finale, mi permetta, due commentini acidi.

- Ho la vaga impressione che lei non abbia capito il tema del dibattito. Non si preoccupi, siccome ho anche la vaga impressione che lei faccia politica attiva nel PD il fatto che lei non abbia capito non mi sorprende.

- Per provare a capire, un suggerimento in forma di domanda che le invito a porsi: per quale ragione in questa perfetta democrazia che è l'italiana e con questi grandi e saggi politici che sono i dirigenti del PD (dubito lei provi per quelli del PdL l'ammirazione che sembra avere per quelli della sua parte!) le cose vanno così male e da almeno trent'anni (no, faccia 40) la politica democratica genera sempre le risposte sbagliate ai problemi del paese? Come mai? Pensa sia un complotto di questi cattivi tecnocrati?

Non stavo leggendo con regolarità Nfa, salvo qualche sporadica occhiata...e devo dire che questo gustosissimo post ha almeno il merito di far quagliare alcune cose che nel PD, e nei suoi militanti, sono molto diffuse. Io, almeno, parlo a ragion veduta essendo stato iscritto al PD ed avendo avuto a che fare con la base oltre che con qualche dirigente locale.

Siccome voglio essere chiaro la mia tesi è quella del buon Fabio D'Arabia, che sul tema ha scritto con la solita lucidità:

 

Nel PD non esistono processi decisionali tipici delle organizzazioni complesse come puo' essere un partito. Le "posizioni" sono per lo piu' ad uso di beghe interne. Fassina (e gli altri come lui) non ha nessuna convinzione particolare, nessuna capacita' di decidere alcunche' sulle posizioni del Partito, nessuna intenzione di fare proposte sulla base di analisi o di dati (in questo e' culturalmente simile a Tremonti).

Quello che dice volta per volta dipende per lo piu' delle faide interne. Un mese fa andava di moda prendersela con il liberalismo (magari per far dispetto a qualche caporione che non e' d'accordo con Bersani). Oggi va di moda essere per l'abbassamento delle tasse perche' la lobby di Repubblica dentro il PD e' chiamata a raccolta da CdB. Domani andra di moda aumentare le tasse perche' lo dice Martine Aubry (o un altro motivo a scelta). Dopodomani diminuire le pensioni. E fra tre giorni aumentarle. Analogamente sulla Giustizia un giorno si e' per le riforme istituzionali, un altro contro il conflitto di interessi, poi a favore del presidenzialismo. Cosi' un po' come viene, un po' come tira il vento. Un po' come ci si sveglia la mattina.

 

Questo è quanto. Può piacere o meno, ma è così. A me dispiace.

Quanto alle cose che dici, Corrado, permettimi di chiarire due cose.

Il tuo discorso è viziato da una incomprensione di quello che scrivi. Mi dispiace ma è così. Sul tema della crisi finanziaria, per quel che poco che ne ho capito, fra i problemi vi è stato il fatto che si è deciso di garantire l'accesso al credito anche a cattivi pagatori, una scelta presa in ossequio ad una decisione politica. Ma su questo ci sono persone più titolate di me a darti risposta.

Quello che mi colpisce è quello che tu scrivi nel tuo blog, a commento del tuo scritto qui. Ebbene parli di filtri ideologici nello studio dell'economia, del tutto succube, a tuo dire, dell'utilitarismo. Poi parli delle valutazioni tecniche come inevitabilmente anti-democratiche e slegate dalla fiducia nei confronti della democrazia. Sono tutte cose moooolto discutibili, che possono essere dette soltanto non sapendo un accidente di utilitarismo, e nella totale confusione sul significato normativo accettabile di democrazia. Siccome passo per essere uno palloso che viene accusato di mettere troppi link (da gente che prima provoca e poi, esauriti gli argomenti, scompare-ma non mi riferisco a te), ti dico solo che nella discussione teorica o pratica sulla democrazia nessuno considera il peso delle competenze tecniche, ed il loro uso nella discussione pubblica, come un limite alla democrazia...cioè proprio non c'entra niente, e al più riflette un'adesione del tutto irriflessa e spontanea, nel senso di ingenua e priva di qualunque sofisticazione in senso buono, ad un'accezione del termine per cui democrazia significa che "tutti comandano" e la mia parola è "uguale a quella degli altri". I greci, quelli antichi, parlavano a proposito di questa eguaglianza di accesso alle procedure discorsive democratiche come di "isegoria". Ma la libertà di parola, specie nella determinazione degli atti pubblici collettivi, non può comportare la mera eguaglianza di quelle parole prodotte appunto "in libertà". E infatti siccome le decisioni prese lasciando che tutti parlino possono provocare danni a qualcuno che parla in modo differente, la democrazia è anche, per me sopratutto, isonomia, cioè uguaglianza dinnanzi alla legge intesa come tutela di diritti fondamentali degli individui, che nessun esercizio di isegoria dovrebbe pregiudicare.

Vedi queste sono cosette, nel senso che non dico nulla di nuovo, però sai questo punto della tecnocrazia torna sempre a confondere le cose. Da un punto di vista culturale una posizione del genere è quella tipica del cosiddetto pensiero critico, riunitosi intorno alla Scuola di Francoforte, secondo il quale la tecnica, come sapere accessibile a pochi, altro non sarebbe che una maschera ideologica volta a coprire interessi corposi e presentati nella specie di una sapere neutrale o "scientifico". Sappi che il tuo schema di ragionamento è del tutto inscritto in queste modalità argomentative: a) messa in discussione del valore epistemico della disciplina che contesti (in questo caso l'economia) che non amplierebbe la conoscenza delle cose, ma realizzarebbe solo "condizioni di dominio"; b) messa in causa dell'esistenza di standard obbiettivi che consentano la valutazione in re (cioè sapendo ciò di cui si parla, non orecchiando le volgarizzazioni) delle cose che discuti; c) rivendicazione di una isegoria spinta e senza limiti dal momento che il tecnico che parla non è in una condizione di competenza realmente superiore ad un profano in quanto comunque il profano ha il merito di individuare istanze morali o di qualunque altro genere, che il tecnico, nella parzialità delle sue competenze, trascurerebbe in maniera colpevole, come tu sembri insinuare, o perchè troppo ingenuo. Ovviamente, una volta che tu assumi il punto a) sei "ovviamente" giustificato a fare obiezioni esterne all'oggetto della tua critica, ovvero non critichi effettivamente un punto della teoria economica contemporanea, ma parli a braccio, ovvero fai delle critiche che si risolvono semplicemente nella enunciazione di un bisogno di "moralizzazione" (l'economia dovrebbe fare gli interessi di questi o di quell'altri) o nell'auspicio che un metodo conoscitivo (quello poi è l'economia) si faccia carico di attenuare le forme del suo specialismo per salvaguardare la tua idiosincratica nozione di rappresentatività democratica, che, fattene una ragione, non può mai essere un punto qualificante di un'impresa scientifica. A quale titolo richiedi un self-costraint di chi possieda una competenza tecnica innanzi al "diritto" di tutti a prendere parte alla discussione? Ma bastano queste quattro cose a far capire a un militante in buona fede, presumo, del PD, che il PD e la sinistra sono INDIETRO non solo in termini di alfabetizzazione economica rudimentale, (che pure il PD potrebbe garantirsi mandando affanculo la solita compagnia di giro che ruota intorno al MULINO e al cattocomunismo nostrano e mettendo nei comitati che ogni tanto, secondo la vecchia tara leninista, costituisce per ogni cosa) ma anche dal punto di vista filosofico-politico? In genere la sinistra parla con idee e di idee che sono rimasticature di suggestioni vecchie di cent'anni (ha mai sentito di Nietzsche che contro il sapere positivo del suo tempo aspirava a un metodo di conoscenza "diretto" perchè lui non voleva la descrizione scientifica e botanica dell'erba ma "voleva rotolarcisi sopra e sentirne l'odore"?)...e i tuoi commenti ne sono una riprova. Una sinistra ostile al mercato e alla meritocrazia che prende ogni palla al balzo (ma non palla in senso ludico, ma proprio palla in senso di fuffa, fandonia, fesseria, luogo comune...al solo fine di confortare conformare i suoi pregiudizi anti-mercato). Per esempio, tu che parli di neoliberalismo che mi sembri usare un frasario che neanche il sub-comandante Marcos, quali letture hai fatto di testi scientifici o di pubblicazioni economiche che i redattori potrebbero considerare appena appena suscettibili di un controllo accademico internazionale per spanderti in giudizi come quelli perentori che fai? Vedi non è per andare sul personale, ma è che di militanti del PD che leggono scaffalate di libri Feltrinelli sulla crisi del capitalismo, e poi ci pontificano al bar, ne conosco a dozzine.

Ma tu dirai: "non è che prima di aprire bocca devo passare la vita studiare!"...ecco, se cogli questo aspetto "tragico" per cui da un lato abbiamo bisogno di buoni argomenti, informati e capaci di orientare al meglio le nostre decisioni, ma al contempo non tutti abbiamo tutto il tempo e (le capacità cognitive)  per acquisire le competenze per parlare con contezza, beh allora ti dovrebbe essere chiaro perchè la rappresentatività democratica non può essere in alcun modo limitata dal possesso di competenze tecniche non uniformemente distribuite...almeno nel caso di teorie ragionevoli della democrazia, perchè se uno parla di cose utopiche allora fa letteratura che alle volte diventa descrizione di distopie, se non altro per tutti quelli che non siedano allo stesso tavolino di chi abbia partorito certi "sogni".

Ripeto, niente di nuovo sotto il cielo. Ma se ti interessa un libro che tratti il rapporto tra competenza e democrazia, prendendo come sfondo la democrazia ateniese guarda qui.



 

Devo scoprire che siete d'accordo con chi si sta appassionando del capi-comunismo cinese, che non ha questi problemi (e infatti sta -pare - soffrendo meno la crisi)??

 

In realta' no: personalmente, cio' che apprezzo dell'attuale dirigenza cinese e' proprio il progresso che e' stato fatto a partire dagli anni '80 in materia di liberta' sia economica che personale. Perche' se la Cina di oggi ti pare una societa' illiberale dovresti parlare con chi ha vissuto nei tempi orwelliani del maoismo (di cui la sinistra ha di solito una buona opinione, cosi' come oggi continua ad averla dell'altrettanto oppressivo regime cubano). E la robusta crescita economica in Cina dipende in larga misura dal fatto che si stanno liberando energie produttive che erano rimaste compresse prima dalla lunga decadenza di una monarchia feudale ottusamente chiusa al resto del mondo, e poi da follie maoiste come il "Grande balzo in avanti" e la Rivoluzione Culturale.

Ma certamente di strada da fare ce n'e' parecchia: senza espandere le liberta' personali, la Cina resterebbe quello che l'artista Ai Weiwei oggi chiama "un atleta che corre molto veloce ma ha un soffio al cuore". Io nel complesso sono ottimista, perche' storicamente le societa' liberali sono state il frutto della progressiva ricerca di rappresentanza politica di elites borghesi la cui consistenza percentuale si e' poi gradualmente allargata a tutta la societa' eliminando le strutture di potere feudali: rileggersi il Manifesto del 1848 per i dettagli...

 

non ti offendere ma il punto 1) lo sento dire da quelli che volantinano giornaletti di sinistra extraparlamentare, solo che al primo approfondimento il discorso si squaglia

Caro Corrado,

cerco di rispondere in modo meno infiammatorio di Michele perché credo che queste siano questioni su cui c'è parecchia confusione e non vorrei perdere l'occasione per una discussione seria. Allora, cominciamo dai punti 1 e 2.

 

1) il neoliberismo è l'ideologia che ha sostenuto e "venduto" la versione del capitalismo che ha portato alla crisi mondiale attuale - o credete che questa crisi è solo colpa di alcune mele marce in qualche banca d'affari?

2) la sinistra è stata succube, in vario modo, di questa ideologia

 

Non so se Fassina pensa questo, al limite ce lo dirà lui, però qui veramente siamo troppo sul generico. Cosa si ha in mente quando si denuncia ''il neoliberismo'' come ideologia che ha causato la crisi mondiale? Io su questo leggo cose straordinariamente insensate. Per esempio, Fassina 1 ci fornisce questa spiegazione sommaria della crisi

 

La verità è che la la bolla scoppiata nel 2007 origina anche da questo: dall'enorme indebitamento delle famiglie americane e dai loro redditi insufficienti. La finanza ha agito per molto tempo da supplente, una condizione che per ovvi motivi non poteva durare in eterno.

 

Non è la prima volta che nella pubblicistica (non nelle riviste scientifiche, per fortuna) vedo espressa questa teoria. Che lascia abbastanza sbigottiti. Provo a riassumere. Per ragioni non chiarite c'è un peggioramento della distribuzione del reddito. I poveri, essendo stupidi, non capiscono che devono consumare meno. Quindi si indebitano per sostenere i consumi, senza troppo pensare a come ripagarli. I ricchi, non meno stupidi dei poveri, continuano a fare prestiti senza a loro volta chiedersi come questi verranno ripagati. Alla fine si arriva al redde rationem, si scopre che i soldi non ci sono, e succede il patatrac.

Ora, veramente questo è il meglio che si riesce a esprimere in termini teorici come analisi della crisi? Un'epidemia di idiozia generalizzata? E poi, esattamente perché c'è bisogno del deterioramento della distribuzione del reddito? Stupido per stupido, uno può indebitarsi in modo insostenibile anche quando diventa ricco.

La questione delle ''poche mele marce'' non so dove salti fuori. Come metodo, gli economisti non sono assolutamente dediti a dar la colpa a ''qualche cattivo''. Nel senso che secondo noi sono tutti cattivi e avidi (noi compresi), o per dirla in termini più soffici ciascuno cerca di fare il proprio interesse. Quindi, casomai, il punto è che la regolazione è mal fatta.

La cosa della ''sinistra succube'' non l'ho proprio capita. La mia impressione è che il centro-sinistra italiano abbia mostrato una gran dose di confusione. Pensa alla timidezza sulle liberalizzazioni. Pensa al rifiuto costante di ragionare sul mercato del lavoro. E adesso guarda alle oscillazioni sulla pressione fiscale. La confusione, onestamente, traspare bene anche dal tuo commento. L'invocazione a rifiutare ''il mainstream economico standard'' in favore di chissà quale teoria eterodossa che sia più favorevole ai propri pregiudizi ideologici puzza tantissimo di lysenkismo.

Questo commento è già troppo lungo, quindi salto direttamente alla parte finale sulla democrazia. Non so se la tua era semplicemente una provocazione, ma veramente guarda che sbagli bersaglio. Primo, non penso certo di essere l'unico ad avere la verità in tasca. Però la bassa qualità della classe politica italiana è a mio avviso un fatto. Come l'Italia sia giunta ad avere elites politiche così scadenti non lo so, ma farlo presente non significa essere antidemocratici.

Più in generale, è poco saggio far finta che le democrazie non abbiano problemi, ed è un completo non-sequitur dedurre che le autocrazie abbiano problemi inferiori. Di fatto, è normalmente vero il contrario. Un grosso problema delle democrazie è che le elites politiche tendono a sfruttare le proprie posizioni per estrarre rendite a spese del resto della popolazione, ma ovviamente questo è ancora più vero nelle dittature.

 

 

 

Per esempio, Fassina 1 ci fornisce questa spiegazione sommaria della crisi

 

La verità è che la la bolla scoppiata nel 2007 origina anche da questo: dall'enorme indebitamento delle famiglie americane e dai loro redditi insufficienti. La finanza ha agito per molto tempo da supplente, una condizione che per ovvi motivi non poteva durare in eterno.

 

Non è la prima volta che nella pubblicistica (non nelle riviste scientifiche, per fortuna) vedo espressa questa teoria. Che lascia abbastanza sbigottiti. Provo a riassumere. Per ragioni non chiarite c'è un peggioramento della distribuzione del reddito. I poveri, essendo stupidi, non capiscono che devono consumare meno. Quindi si indebitano per sostenere i consumi, senza troppo pensare a come ripagarli. I ricchi, non meno stupidi dei poveri, continuano a fare prestiti senza a loro volta chiedersi come questi verranno ripagati. Alla fine si arriva al redde rationem, si scopre che i soldi non ci sono, e succede il patatrac.

Ora, veramente questo è il meglio che si riesce a esprimere in termini teorici come analisi della crisi? Un'epidemia di idiozia generalizzata? E poi, esattamente perché c'è bisogno del deterioramento della distribuzione del reddito? Stupido per stupido, uno può indebitarsi in modo insostenibile anche quando diventa ricco.

 

Fassina si esprime male, ma non si sembra meriti una stroncatura così violenta, almeno  in questo. Mi sembra difficile negare che i livelli di consumo americani prima al 2008 fossero eccessivi, definendo"eccessivo" un livello di consumo che rende negativo il risparmio delle famiglie. E non mi sembra che questo fatto sia da spiegare con un attacco di stupidità collettiva. Piuttosto mi sembra il risultato di  una politica monetaria troppo permissiva, che ha determinato un aumento abnorme dei prezzi degli assets (in primo luogo case) relativamente a quello dei beni di consumo immediato. Avendo una discount rate intertemporale "normalmente" superiore a zero (forse anche superiore alla media europea) gli americani hanno razionalmente preferito  l'uovo (e la bistecca con le patate fritte ed il dessert ed il caffè ed il brandy) oggi alla gallina domani. E tutti coloro che avevano uova, bistecche etc. da vendergli si sono arricchiti.

Ringrazio di nuovo per l'attenzione e la voglia di discutere anche con chi la pensa diversamente, e provo a rispondere un po' a tutti. Anche se nel frattempo ha già risposto Fassina - che, mi sembra, conferma abbastanza la mia "lettura" delle sue opinioni - e voi avete di nuovo sapientemente polemizzato con lui. Pazienza, chi lavora troppo non riesce sempre a seguire le cose di cui si appassiona, e peggio per me quindi se arrivo fuori tempo massimo:))

Sui nidi

Dice Michele:

l'asilo nido non è il nodo della questione. Il punto è che uno può sempre trovare una buona causa con cui giustificare nuove spese pubbliche

Sarà. Però mi sembrava e mi sembra che l'esempio di Fassina sia ottimo, e che contestare proprio questa cosa sia un po' debole. Più avanti Boldrin rincara la dose suggerendo, assieme a cose condivisibili, questa vera perla:

(ii) Magari le donne (e gli uomini) che lavorano possono pagarsi gli asili nido, se permettiamo che entri l'iniziativa privata.

Faccio notare che l'iniziativa privata nei nidi è già ampiamente presente, peccato che è in genere molto più cara del pubblico (o pensate a cose tipo buono scuola?), salvo si tratti di suore che lavorano gratis perché il loro reddito arriva per altre vie. Io continuo a pensare che sarebbe meglio copiare Svezia Norvegia e simili, in questo campo. 

Poi, certo che non è detto non si possa contemporaneamente ridurre le imposte e garantire i nidi, ma l'esempio di Fassina era appunto un esempio che ipotizzava un vincolo di risorse.

Sulla crisi

Sempre Michele:

Dire che la crisi è stata colpa degli avidi capitalisti significa avere una visione estremamente naive. 

E chi l'ha detto? Io chiedevo appunto retoricamente se non credeste che fosse solo "colpa di alcune mele marce in qualche banca d'affari". Quel che sostengo è che l'ideologia neoliberista - ossia, per chiarirci, la caricatura del liberismo che è stata venduta per lunghi anni sui mass media e nel mercato politico come pensiero unico dominante - ha creato le premesse ideologiche, di consenso e di "euforica irresponsabilità" che hanno favorito il determinarsi della grande crisi. Insomma, sono molto d'accordo con quanto si è scritto su NfA sulle responsabilità politiche della crisi. Sono meno d'accordo nell'assolvere il modo con cui anche molti economisti magari "in buona fede" hanno fornito semplificate ricette e giustificazioni ideologiche a politici irresponsabili e/o troppo attenti ai cicli elettorali, e a consumatori vogliosi di continuare a mantenere livelli di vita alti tramite debito mentre si restringeva lo stato sociale (che è uno degli argomenti di Fassina ed altri).

Poi, ci sarebbe assai da discutere sulla diatriba circa le cause profonde della crisi. Mi sembra che Bergamo qui dica cose ragionevoli. Inoltre, l'aumento della diseguaglianza e la maggiore concentrazione del reddito negli USA e altrove negli anni precedenti alla crisi magari non sarà "spiegata" da Fassina, ma mica è una fantasia. E non è una fantasia nemmeno che un simile processo ci fu nel '29... 

(Detto per inciso, secondo me questa crisi è anche e sopratutto una crisi di calo strutturale della produttività delle risorse energetiche - è questo il vero sottofondo nel quadro del quale poi sono successe tutte le cose nefaste sui mercati finanziari, le scelte politiche un po' folli dei governi, ecc.: sostenere una crescita impossibile dell'economia reale, mentre il petrolio per realizzarla ha EROEI sempre minore e non viene sostituito da nulla, può portare facilmente a questi bei risultati. Ma questo è un altro discorso e ci porterebbe davvero lontano)

Sul sistema fiscale italiano

Boldrin, che è particolarmente acido nei miei confronti (ma ho il sospetto che sia quasi sempre acido col mondo intero:-)), quindi non me la prendo), dice che il mio punto 4) non significa niente. Dicevo:

la pressione fiscale italiana, combinandosi con la mostruosa evasione, rende il sistema oltre che inefficiente anche e sopratutto sostanzialmente regressivo ed ingiusto e, quindi, da cambiare PROPRIO da un punto di vista di sinistra?

Ora, mi sembra che questo sia esattamente l'unico punto su cui, a giudicare da quanto scrivete nella risposta alla risposta di Fassina, siete appunto d'accordo con lui. Lo dite voi stessi che il sistema fiscale italiano è di fatto regressivo e che era ora che la sinistra se ne accorgesse. Quindi? Boldrin li legge i commenti prima di commentare acidamente?

E comunque, visto che dice che io non argomento ma trancio giudizi, mi spiega se quello sulla stupidità congenita dei militanti del PD, da lui dato, è un argomento o un (pre) giudizio?

Su tecnocrazia e democrazia e sui gentili ma piuttosto feroci rimbrotti che mi sono stati rivolti in particolare da Marco Boninu, dato che si tratta di questione importante e complessa, rispondo con un successivo commento. 

 

 

 

 

 

 

Faccio notare che l'iniziativa privata nei nidi è già ampiamente presente, peccato che è in genere molto più cara del pubblico (o pensate a cose tipo buono scuola?), salvo si tratti di suore che lavorano gratis perché il loro reddito arriva per altre vie.

 

Di norma il costo dei servizi pubblici e' molto piu' elevato dei servizi privati, specie in Italia dove il pubblico e' generalmente disfunzionale, malgestito, e ingolfato da rendite e corruzione. La mia stima e' che i nidi pubblici o sarebbe meglio dire statali costino circa il doppio di quelli privati.  Se ricordo bene 15 anni fa si parlava di 8 milioni di lire per un posto di nido statale e 4 milioni per un posto di nido privato, all'anno.

Parliamo, temo, due lingue molto diverse. La mia impressione è che la mia sia quella dei fatti e la tua quella delle ideologie preconfezionate. Ma, ovviamente, posso sbagliarmi. Per convincermi basta che tu mi porti fatti ed esempi concreti a supporto delle tue affermazioni.

Da parte mia, ecco alcuni fatti che contraddicono quanto sostieni.

 

Faccio notare che l'iniziativa privata nei nidi è già ampiamente presente, peccato che è in genere molto più cara del pubblico (o pensate a cose tipo buono scuola?), salvo si tratti di suore che lavorano gratis perché il loro reddito arriva per altre vie. Io continuo a pensare che sarebbe meglio copiare Svezia Norvegia e simili, in questo campo.

 

Allora:

- Ci sono tante cose che la gente non può permettersi. Deve fornirle tutte lo stato? Come? Tassando chi? Da qualche parte ti sei mai posto il problema dei costi e dei ricavi?

- Ciò che conta è il costo di produzione del servizio asilo nido. Se i privati vendono il servizio a prezzi superiori al costo, lo stato dovrebbe intervenire per creare libertà d'entrata nel settore, in modo che aumenti l'offerta. Se offrono a prezzi uguali al costo, allora abbiamo un problema serio: vuol dire che siamo un paese, in media, troppo povero per permetterci anche quello specifico lusso. Anche studiare ad NYU costa molto, che facciamo? Tassiamo tutti perché tutti possano andare ad NYU?

- Qui veniamo al caso di Svezia (non Norvegia, se vuoi ti spiego perché). È ridicolo voler imitare la Svezia senza averne reddito e produttività. Ci sono tanti beni e servizi, sia pubblici che privati, che gli svedesi possono permettersi e gli italiani no. La ragione fondamentale è che hanno un reddito sostanzialmente più alto del nostro ed un settore pubblico ENORMEMENTE più efficiente e che non getta via risorse.

- Detto altrimenti: vuoi gli asili nido svedesi? Bene, allora occorrono la produttività svedese e le pensioni svedesi. Mi spiego?

 

'ideologia neoliberista - ossia, per chiarirci, la caricatura del liberismo che è stata venduta per lunghi anni sui mass media e nel mercato politico come pensiero unico dominante

 

Cosa esattamente? Esempi? Potresti dare esempi e mostrare un nesso fra la supposta ideologia e la crisi e le sue cause? Grazie.

Idem per il resto: che c'entra? Puoi mostrare il nesso causale? C'è stato anche un aumento nella produzione di CO2 negli anni precedenti a questa crisi e l'Inter ha vinto svariati scudetti. Sono anche queste cause della medesima?

Il commento di "bergamo" che citi, cosa prova? Quale sarebbe il nesso fra uno che ti offre un mutuo e l'ideologia di cui parli? Sarò anche "acido" ma uno sforzino per ragionare prima di scrivere lo si potrebbe anche fare, no?

 

Boldrin li legge i commenti prima di commentare acidamente?

 

Certo che li leggo. Non sembra facciano così gli altri ...

Il fatto che, dopo 30 anni, la sinistra (beh, Stefano Fassina in una intervista ... per il resto del PD vedremo) sia arrivato a conclusioni simili alle mie non implica lo abbia fatto per le ragioni giuste. Nè che abbia capito dove stanno le cause dei problemi.

Infatti, l'evasione fiscale non c'entra nulla con la regressività del sistema fiscale italiano. Anche se non ci fosse, o fosse come quella USA, il sistema sarebbe regressivo lo stesso. Per capirlo occorre guardare alla struttura delle aliquote, ai meccanismi di deduzione (pensa a come qualsiasi piccola impresa o impresa artigiana o commerciale genera i propri "costi"), alla fornitura di servizi pubblici (l'università pubblica italiana è strumento di regressione) all'impiego pubblico, eccetera. Il codice fiscale italiano, poi, l'ha scritto per buona parte la sinistra. L'IRAP, per esempio, è un'imposta di rapina. Fassina, che io sappia, lavora per il signore (VV) che quell'imposta introdusse e di cui ancora si vanta. Bene: cosa mi dite dell'IRAP? La teniamo? La togliamo? Il sistema di contributi sociali per il finanziamento delle pensioni è stato sempre difeso da sindacati e sinistra a spada tratta. È altamente regressivo ed intergenerazionalmente infame: lo teniamo o lo togliamo? Attendo risposte precise.

Il "mantra" dell'evasione fiscale, eterno cliché della sinistra italiana, ha scocciato quasi tanto quanto Voltremont. Sembra la soluzione di tutto. Come abbiamo documentato, non lo è. Da un lato perché, essendo concentrato nel Mezzogiorno e nella sua economia sommerso-illegale, va oltre il puro problema del regime fiscale. Dall'altro perché non c'è soluzione al problema fiscale italiano senza tagli drastici di spesa. E QUI, sui tagli di spesa, che voglio sentire la "sinistra" parlare. Altrimenti è tutta aria fritta.

 

E comunque, visto che dice che io non argomento ma trancio giudizi, mi spiega se quello sulla stupidità congenita dei militanti del PD, da lui dato, è un argomento o un (pre) giudizio?

 

È il prodotto del ripetuto updating bayesiano della mia prior, che trent'anni fa (credimi) era piuttosto favorevole al popolo italiano di sinistra. Trent'anni dopo, visto che non solo non sembrate capire come va il mondo nonostante le continue sconfitte ed i ripetuti disastri, ma continuate ciecamente ad impartici prediche sempre uguali senza fermarvi un attimo a pensare, guardare due statistiche, considerare due fatti, la mia posterior è molto ma molto diversa. No, non è un pregiudizio: è una stima empirica basata sul campione che ho incontrato io dal 1970 ad oggi.

 

 

Molti giorni fa avevo promesso una risposta su tecnocrazia e democrazia. Poi, visto il lavoro che faccio, non ho più avuto tempo. Eccomi, in ritardo come al solito.

Dunque, Marco Boninu mi impartisce una dotta lezione sulla mia incapacità di capire che la competenza tecnica non è in contraddizione con il significato normativo della democrazia, ed anzi mi fa notare che una democrazia sensata deve accettare il ruolo della tecnica e dei "competenti" in una certa materia.

Ora, ammetto volentieri che nel riportare la mia polemichetta sul mio blog io sia stato un po' tranchant. Peccato che Marco abbia dedotto da ciò una montagna di conseguenze che sono molto molto lontane dal mio pensiero, direi un bel processo alle intenzioni.

Provo a mettere in ordine la faccenda. Dice Marco che i partirei dal seguente assunto:

"a) messa in discussione del valore epistemico della disciplina che contesti (in questo caso l'economia) che non amplierebbe la conoscenza delle cose, ma realizzarebbe solo "condizioni di dominio"

Avendo fatto anch'io, ahimè in anni lontani, studi di economia, non metto affatto in discussione il valore epistemico della disciplina in quanto tale, né penso che la conoscenza scientifica sia solo un modo per realizzare condizioni di dominio. Penso però che: (a) le teorie scientifiche non siano immutabili e non esista una verità rivelata una volta per tutte - è una banalità, mi sembra, da Kuhn in poi (b) ciò è vero in particolare nelle scienze "umane", inclusa l'economia, per le notissime ragioni della difficoltà di distinguere i giudizi di valore e le credenze (ideologie??) incorporate in ciascuna visione teorica - incluse le visioni teoriche che mi stanno più "simpatiche", ovviamente. Ed infatti io mi limito a contestare il modo di vedere le cose della teoria standard "mainstream" in questo momento dominante nella scienza economica. Ma non è che non veda che quella teoria ha un forte livello di coerenza interna, o che i suoi modelli in molte circostanze funzionino benissimo (ossia all'interno di un quadro a "razionalità limitata") o ancora, che possono insegnare molto di utile per politiche economiche efficaci. Ma su questo - e sull'utilitarismo - ci torno dopo, rimarcando però che non è vero che la scienza economica è solo mainstream, e che ci sono fior di economisti che pensano e praticano altri modelli. Qui faccio solo notare che non occorre avere un approccio da "Scuola di Francoforte" per poter contestare nel merito una posizione di politica economica.

b) messa in causa dell'esistenza di standard obbiettivi che consentano la valutazione in re (cioè sapendo ciò di cui si parla, non orecchiando le volgarizzazioni) delle cose che discuti; 

Vedi sopra: non metto in discussione l'esistenza di standard obiettivi. Dico che sulla base di standard obiettivi, il mainstream economico non funziona. Ovviamente chi scrive su NfA non la pensa come me, legittimamente. Ma - ripeto - altri economisti non la pensano come chi scrive su NfA. O NfA ha il monopolio della scienza economica "giusta"?

c) rivendicazione di una isegoria spinta e senza limiti dal momento che il tecnico che parla non è in una condizione di competenza realmente superiore ad un profano in quanto comunque il profano ha il merito di individuare istanze morali o di qualunque altro genere, che il tecnico, nella parzialità delle sue competenze, trascurerebbe in maniera colpevole, come tu sembri insinuare, o perchè troppo ingenuo. 

Veniamo finalmente al punto del ruolo della tecnica nel processo democratico, e nell'assunzione delle decisioni. Contrariamente a quanto Marco ha dedotto sulle mie supposte idee in merito, io, da appassionato della democrazia partecipativa e di cosette come il metodo del consenso e le procedure per il consenso informato, penso proprio che le competenze tecniche debbano essere il più possibile incluse dentro i processi democratici. Marco, forse al fine di polemizzare in modo più efficace col sottoscritto, pone in totale antinomia la competenza tecnica e la possibilità di tutti di parlare senza sapere di che si parla (l'isegoria). Io invece credo quanto segue:

 

  • Lasciare i tecnici soli nelle loro decisioni - quando queste siano decisioni con rilevanza politica o sociale o ambientale, ad esempio - comporta dei rischi non per la democrazia in se, ma per la bontà delle decisioni. Non perché i tecnici siano "cattivi" o "ingenui" (magari a volte lo sono, ma questo vale anche per i non tecnici, quindi è irrilevante), ma perché una scelta non lasciata solo ai tecnici ha più probabilità di funzionare perché capita e condivisa da chi la subisce.
  • Lasciare i tecnici soli nelle loro decisioni è anche rischioso quando lo specifico tecnico - come nella tecnica e nella scienza moderne - sia talmente segmentato da rendere assai probabile che una scelta "tecnica" in un settore generi effetti non previsti in altri ambiti (controllati da altre "tecniche"). Ma difficilmente le scelte tecniche sono pienamente transdisciplinari, e riescono a tener conto di tutte le possibili esternalità positive o negative. E quando lo sono, i "tecnici" delle varie discipline si trovano fra di loro esattamente nella stessa condizione dei "profani" che parlano senza sapere di ciò che parlano: debbono quindi adottare fra loro una sorta di processo democratico, ovviamente sotto il vaglio di standard obiettivi.
  • Lasciare le decisioni complesse agli "incompetenti", ossia adottare la visione ingenua della democrazia che Marco mi accusa di avere, è ovviamente altrettanto rischioso e per nulla intelligente. E - concordo con Marco - non ha molto a che fare con un concetto sensato di democrazia. E tuttavia, eviterei di sottovalutare la forza della competenza collettiva, della capacità di gruppi vasti di persone non competenti di esprimere giudizi che, quando aggregati, si dimostrano ex post perfino migliori di quelli espressi da piccoli gruppi di "esperti". Gli esempi di questo libro dovrebbero suggerire qualche dubbio in proposito.
  • In conclusione, più che contrapporre tecnica e democrazia intesa come "parlare per dare aria ai denti", io credo che bisogna sforzarsi di adottare il più spesso possibile, con tutta la fatica e anche la perdita di "velocità" che ciò comporta, procedimenti di decisione che includano in vario modo sia la competenza tecnica sia l'opinione dei non competenti. L'idea migliore, in questo senso, è sicuramente quella del consenso informato, nella quale si tenta appunto di trasferire almeno in parte sugli stakeholder - in partenza non competenti - le basi dell'informazione tecnica necessaria per assumere decisioni consapevoli.


Ancora due cose, sul liberismo (non liberalismo, come scrive Marco travisandomi) e sull'utilitarismo base dell'economia mainstream. Mi ha molto colpito questo commento di DentArthurDent

L'economia moderna (o quantomeno il mainstream) mi sembra una scienza pesantemente model-based e data-based, il cui fine e' fondamentalmente l'ottimizzazione di alcune grandezze quantificabili. Viceversa, quasi tutti quelli che propongono un'idea "altra" rispetto al capitalismo puntano all'ottimizzazione di alcune grandezze non facilmente definibili ne' misurabili: uguaglianza, sicurezza sociale, benessere... in ultima analisi e semplificando un po', la solita felicita'. 

 

A parte che l'uguaglianza economica è perfettamente misurabile, il punto è che il mainstream economico non si basa sull'utilitarismo filosofico, ma su una sua caricatura semplificata secondo la quale sul mercato si affaccia un homo oeconomicus che opera solo per il suo self interest. Con ciò mettendo tra parentesi sia che il mercato per funzionare deve essere inteso come istituzione e deve basarsi su una cosetta piccola piccola che è la fiducia reciproca, sia sopratutto che l'uomo reale non si muove solo per il suo interesse, fa montagne di cose del tutto gratuite - incluso il tempo speso da Marco, da me e da tutti quelli che perdono tempo a scrivere qui...

Evito di farla lunga su questo tema, ma vorrei dire a DentArthurDent che, davvero, non esiste solo il mainstream economico...


Infine, una precisazione per Marco che dice:

Vedi non è per andare sul personale, ma è che di militanti del PD che leggono scaffalate di libri Feltrinelli sulla crisi del capitalismo, e poi ci pontificano al bar, ne conosco a dozzine.

Mi spiace deluderlo, ma non amo molto i libri Feltrinelli e le spiegazioni semplificatorie sulla crisi del capitalismo. 

I libri che mi hanno spiegato il mondo sono pochi. Questi qui: Fernand Braudel, Civiltà materiale e capitalismo; Karl Polanyi, La grande trasformazione; Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie; Jacques Le Goff, La nascita del purgatorio; Honorè de Balzac, Illusioni perdute; Pierangelo Garegnani, Valore e domanda effettiva e Marx e gli economisti classici; Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori; Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà.

La citazione di due di questi libri (indovinate quali) mi faranno definitivamente perdere di credibilità presso NfA, ma pazienza...  


Ecco cosa diremo sull' economia: due cose.

Che lo scudo fiscale andava fatto diversamente (vero, ma passato) e cosa vogliamo tassare di più, e qui lascio il commento a chi ne ha la competenza.

Non c'è speranza, questi sono "dementi", e chiedo scusa a quelli diagnosticati come clinicamente tali.

No sono di "sinistra" e pensano che i loro elettori lo siano. In parte hanno ragione: ho passato innumerevoli ore a tentare di convincere i miei più cari amici che aumentare le tasse è sbagliato ed inutile. Purtroppo, il "popolo di sinistra" rappresenta al massimo il 35-40% degli italiani - e quindi non basta a vincere le elezioni. Qualche volta, presi dalla disperazione , i dirigenti PD fanno un discorso diverso, più "liberale" - ma i) non sono  credibili e ii) perdono voti a sinistra - o verso qualche partitino minore (ora va forte Di Pietro) o verso  l'astensione. Risultato: ci teniamo SB e la sua banda.

 

 

Risultato: ci teniamo SB e la sua banda.

 

E se invece... ( si astenga pure dalla lettura chi cerca scientificità, le mie sono solo opinioni in libertà)

Secondo me la questione liberale è imposta dalla storia, come lo fu quella del superamento del comunismo. Allora si fecero crollare un muro addosso prima di provare a muoversi, e ci sono sotto tutt' ora, questa volta persone con un po' di senno potrebbero avere il coraggio di scommettere sul futuro. Un po' di lungimiranza consiglierebbe di avviare subito un dibattito culturale serio nel PD che possa portare ad diversa visione delle varie questioni su lavoro, federalismo etc, spostando il suo baricentro elettorale verso il centro. E gli elettori di sinistra? Quelli non convinti dal cambio si sposterebbero in maggior parte verso IDV e SEL (comunque interni ad eventuale coalizione). I vantaggi sarebbero nel diventare appetibili per l'elettorato di centro e i delusi BS-Lega (si ricordi l' astensione record), che se si vuol vincere bisogna per forza oltrepassare il proprio steccato.

Perchè farlo? Perchè tante posizioni della sinistra nel breve periodo veranno appunto spazzate dalla storia (lo sono di già, ma questo diverrà sempre più evidente) e sarà bene non farsi trovare nel passato quando la realtà verrà a bussare alla porta, pena la sparizione dal panorama politico.

Perchè farlo ora? Per vari motivi: perché l' astensione è forte, perchè il PD è debole e stare al 26 o al 20 % non cambia molto (rischio basso), perché si porterebbe il dibattito politico su un piano nel quale BS mostra i suoi maggiori limiti, perché BS ha deluso ma c' è ancora, e con lui l' antiberlusconismo che renderebbe appetibile elettoralmente e reggerebbe in piedi una coalizione PD-SEL-IDV . (Secondo me poi, un PD come l' attuale senza BS a giro avrebbe ancora inferiori possibilità di vincere, sparito anche il valore antiberlusconista. Ma questi non se ne accorgono, invece di approfittarne dall' avere come avversario uno dei peggiori governi di sempre, ne attendono la fine, quando verranno seppelliti nella loro inconsistenza insieme a lui)

Perchè non succede? Perché è una scommessa rischiosa sopratutto nel breve periodo, e per i dirigenti attuali è preferibile conservare le attuali posizioni di potere. E infatti Bersani pur di non mettersi in gioco chiede Tremonti  premier (e poi vi invitano anche a parlarne !!!). Mi domando però perchè i giovani, che al loro arrivo al potere troveranno un partito fuori dal tempo e magari al 15%, invece non si muovano e spingano.

Servirebbe a vincere? Secondo me aumenterebbe le possibilità, ovviamente usando anche altri accorgimenti. Ossia strutturare una coalizione PD-IDV-SEL con ognuno il suo elettorato da conquistare (PD moderati, IDV legalitari-movimentisti, SEL giovani-nostalgici), volti nuovi (l' effetto novità è fondamentale per avere qualche speranza), candidato premier con credibilità al nord (Chiamparino?), affidarsi ad una agenzia pubblicitaria seria o piuttosto lasciare fare ai giovani (a Vendola è riuscito ed ha vinto), e un minimo di regole interne (es. Di Pietro non le spara più, che s' ha da vincere). Per il programma partirei da liberalizzazioni Bersani 2.0, legge conflitto interessi, privatizzazione due canali rai e nuova legge su sistema televisivo. Le cose importanti da fare sarebbero ben altre, ma il PD non è ne sarà il PLV, quindi tanto non mi aspetto, ma sarebbe un passo avanti rispetto al disastro di governo attuale.

 

A rileggerlo è proprio assurdo. Darò la colpa al solleone.

Floris, io non saprei dire se sia stato il solleone, piuttosto che una digestione difficile. A me, il tuo ragionamento pare solo il frutto della disperazione: non saper come uscire dall'attuale situazione ti porta a trascurare la risposta al quesito che poni di gran lunga piú semplice, che - com'è noto, in ossequio al caro vecchio Ockham - rimame la piú credibile: il PD non sposa una linea di pensiero liberale, ovviamente derivandone azioni concrete, perché si fonda su una cultura distante anni luce da quella necessaria. Punto.

Inoltre, se anche accadesse il miracolo - di tale evento si tratterebbe, con probabilità pari a quella di vincere il superenalotto trovando la schedina milionaria in un tombino, e tenendo gli occhi rivolti al cielo ....... - l'inevitabile necessità di alleanza elettorale con Vendola et similia riproporrebbe il totale blocco operativo già visto nell'indecente governicchio Prodi II, amplificato dall'ipotizzata fulminazione piddina sulla via di Serfdom: la profonda divaricazione di visioni e programmi tra i componenti della nuova "gioiosa macchina da guerra" sarebbe talmente ovvia da spingere una quota di elettori "scontenti" a nemmeno provarci e, naturalmente, è piuttosto improbabile che i simpatizzanti delle due ipotesi culturalmente inconciliabili accettino di buon grado di andare a letto con il nemico.

Ergo, ci teniamo il Berlusca.

Due risposte

 

1) l'adozione di una "linea di pensiero liberale" farebbe vincere le elezioni?

 

No - una quota consistente dei potenziali votanti di sinistra non l'accetterebbe, rifugiandosi nell'astensione o votando partiti incompatibili col programma liberale

 

2) il berlusca sarebbe il meno peggio?

 

Probabilmente no. Prodi ha governato male senza maggioranza, SB sta governando male con una (ex-) larga maggioranza ed in più sta sfasciando il sistema giudiziario, già mal ridotto di suo, per i suoi problemi personali. Il problema non sono i politici, sono gli elettori. Gli italiani non vogliono le riforme liberali, punto e basta. Quelli che stanno bene finanziarmente vogliono continuare (e quindi vogliono sentirsi dire che continuerà). Quelli che stanno male - i poveri, i giovani etc- sperano che lo stato migliori  la loro situazione.