Perché iniziare ora a discutere della riforma elettorale.
Le riforme elettorali vengono tipicamente fatte da chi controlla il Parlamento tenendo di vista il proprio interesse. Ciò introduce una ovvia distorsione a favore dello status quo, dato che chi controlla il Parlamento ha acquisito tale controllo sulla base della legge elettorale vigente. Tuttavia, in questa legislatura sembrano esistere le condizioni per un cambiamento della legge elettorale. La principale difficoltà che da sempre ha impedito una compiuta riforma in senso maggioritario, ossia la presenza determinante di partiti piccoli e medio-piccoli nelle coalizioni di governo, è fortuitamente assente. A testimonianza di tale minore peso delle forze piccole abbiamo visto l'avanzare concreto di proposte di riforma per l'elezione del Parlamento Europeo in senso favorevole ai partiti grandi. Anche se di tale riforma non c'è alcun bisogno, per una volta tanto proviamo a guardare la parte mezza piena del bicchiere: in questa legislatura il potere di veto dei vari Pecoraro Scanio, Casini, Diliberto, Mussolini, Bertinotti e via naneggiando non c'è. Il quadro è stato ulteriormente semplificato dalla creazione del Partito Democratico e del Popolo delle Libertà. Essenzialmente, come spiegherò più in dettaglio successivamente, in questo parlamento le riforme elettorali le possono fare senza ulteriori condizionamenti il PdL e la Lega. La Lega è, a livello nazionale, un piccolo partito ma il suo consenso è geograficamente concentrato. Per tale ragione tende a essere favorita da un sistema maggioritario. Il PdL ha un ovvio interesse all'introduzione del sistema maggioritario, così come il Partito Democratico. In effetti l'abbozzo di intesa che si è visto per la legge elettorale europea potrebbe svilupparsi in un sostegno ad ampio raggio per una riforma maggioritaria.
La questione per il momento non è in cima all'agenda politica, ma è destinata a diventarlo quando si avvicinerà il referendum previsto per la primavera dell'anno prossimo. Ovviamente, la coalizione attualmente governante potrebbe semplicemente decidere di boicottare il referendum e mantenere il sistema attuale. Vi sono però almeno un paio di considerazioni che dovrebbero convincere anche i più restii a sfruttare l'occasione per migliorare la legge corrente. Da un lato è evidente che la diversità dei sistemi elettorali di Camera e Senato rischia di creare seri problemi di governabilità. Tutti gli indizi conducono a ritenere che tale diversità non sia il risultato di scelte consapevoli ma semplicemente del modo caotico e frettoloso in cui la riforma del 2005 è stata approvata. Il referendum può essere una buona scusa per eliminare il problema, uniformando i sistemi elettorali dei due rami del Parlamento. D'altro canto, credo non sfugga a nessuno il fatto che la legge, nonostante il fortunoso e fortunato risultato delle elezioni del 2008, mantiene intatto il suo potenziale centrifugo. Gli incentivi alla creazione di partitelli e partitini e alla formazione di coalizioni eterogenee e rissose restano sempre all'opera. Si può contare sulla propria buona fortuna, ma perché non cogliere l'occasione per solidificare mediante la riforma del sistema elettorale la semplificazione del quadro politico? Per una volta tanto gli interessi del paese e quelli delle principali forze politiche che siedono in Parlamento sembrano allineati. Se si prepara bene il terreno con una seria discussione dei vantaggi e degli svantaggi dei vari sistemi, puòdarsi che ne esca qualcosa di buono.
Che riforma elettorale attuare? Per ragioni che spiego più in dettaglio nella relazione (pdf) l'Italia ha bisogno dell'introduzione compiuta e completa di un sistema maggioritario. Questo è anche il desiderio che l'elettorato ha chiaramente espresso con il referendum sul sistema elettorale del Senato del 1993 (partecipazione al voto del 77% e percentuale di SI pari a 82,6%) e con quello per l'abolizione delle quota proporzionale del 1999 (partecipazione al voto del 49,6% e percentuale di SI pari a 91,5%; il quorum mancato di un soffio elimina gli effetti legali ma non la chiara indicazione della volontà popolare).
I politici italiani non hanno mai amato particolarmente l'idea del maggioritario e hanno tentato di annacquarla in tutti i modi. Nel 1993, dopo il referendum, introdussero un sistema misto che non eliminava affatto gli incentivi alla frammentazione, e nel 2005 è stata passata la bizzarra legge attuale. Le preferenze proporzionaliste derivavano in parte da ragioni culturali e in parte dall'ovvio interesse dei partiti piccoli, medi, o semplicemente incerti su proprio futuro. In questo Parlamento la situazione appare diversa. L'estrema sinistra e l'estrema destra sono scomparse, così come Mastella. Casini conta come il due di denari quando la briscola è a bastoni. In breve, molte delle forze piccole e medie che hanno bloccato le riforme in passato sono scomparse o sono diventate irrilevanti. Oltre a questo, e di uguale importanza, sia il centrodestra sia il centrosinistra hanno visto la nascita, mediante fusione, di partiti più grandi e a vocazione chiaramente maggioritaria.
Tutti questi fattori denotano un cambiamento a mio avviso radicale di scenario. Nella scorsa legislatura la principale proposta di riforma fu quella di Ceccanti e Vassallo (si veda qui e qui per un'analisi dei suoi possibile effetti), che puntava a un sistema proporzionale corretto da una dimensione ridotta dei collegi al fine di ridurre la frammentazione. Non si trattava di una cattiva proposta, dati i vincoli politici esistenti nella scorsa legislatura. In particolare, il ruolo fondamentale dei piccoli partiti nel formare la maggioranza di governo impediva qualunque seria ipotesi di introduzione del maggioritario. Ma, come ho detto prima, la situazione in questa legislatura è cambiata radicalmente. A mio avviso è tempo di buttare a mare tutti i compromessi proporzionalisti e puntare decisamente sul maggioritario.
Una proposta nuova: il voto alternativo.
La vera domanda diventa quindi: quale maggioritario? Per rispondere a questa domanda inizierò citando in modo esteso l'inizio dell'articolo di Ceccanti e Vassallo, che condivido quasi totalmente. Parlando degli obiettivi di una riforma elettorale, essi affermano:
Se prendiamo però per buone le dichiarazioni ufficiali, tutti concordano sugli obiettivi di fondo:
1) consentire agli elettori di giudicare la qualità dei singoli candidati al parlamento;
2) ridurre la frammentazione, garantendo un pluripartitismo moderato;
3) preservare la dinamica bipolare …
4) senza rendere però ineluttabile la formazione di coalizioni pre‐elettorali artificiose,
prive di coesione programmatica.
Per ottenere questi risultati occorre trovare un sistema alternativo sia al premio di
maggioranza (che o è irrilevante e non bipolarizza, o provoca il 4), sia al collegio uninominale maggioritario, ad uno o due turni, il quale, alternativamente, a seconda di come viene interpretato, riduce troppo drasticamente il pluralismo (2) o induce a
formare coalizioni eterogenee (4), come accadeva con i collegi uninominali della Mattarella.
La parte che non condivido interamente è il giudizio sul sistema a doppio turno, ma credo fosse un trucco retorico per poi spingere la proposta del vassallum, che era l'unica praticabile nella legislatura passata. Sono invece totalmente d'accordo che un sistema maggioritario all'inglese, in cui il primo arrivato prende il seggio anche se ha una percentuale minuscola dei voti, sia pericoloso. L'Italia ha un sistema multipartitico che probabilmente durerà un bel pezzo, e un sistema all'inglese funziona bene solo quando ci sono due partiti. Con molti partiti, a seconda di come si configurano le alleanze politiche pre-elettorali, può favorire risultati bizzarri o la formazione di coalizioni eterogenee. Il doppio turno soffre molto meno di questi problemi.
Ma, a mio avviso, si può fare anche meglio del doppio turno. Il problema principale del maggioritario all'inglese è che permette all'elettore di indicare solo una minuscola parte delle proprie preferenze, ossia qual è il candidato preferito rispetto a tutti gli altri. Il doppio turno fa un po' meglio, dato che permette all'elettore di dire chi si preferisce tra i due candidati principali. Il voto alternativo fa ancora meglio: permette all'elettore di ordinare, se così desidera, tutti i candidati in lizza.
Come funziona il voto alternativo? Lo spiego qui sinteticamente, il lettore che vuole più dettagli può consultare questa voce di wikipedia o, se proprio non riesce a dormire, la relazione (pdf). All'elettore è richiesto di ordinare numericamente i candidati. Per esempio, se si candidano Bianchi, Gialli e Bruni un possibile voto sarebbe:
Bianchi 2
Gialli 1
Bruni 3
Questo è leggermente più complicato che mettere una X accanto al candidato preferito e basta, ma direi che possiamo aver fiducia che gli italiani non sono meno bravi degli australiani (o degli irlandesi, che usano tale sistema per eleggere il presidente). Non è necessario ordinare tutti i candidati, se si desidera si può ordinarne solo una parte; ai candidati non classificati viene automaticamente assegnata l'ultima posizione.
Il vincitore si determina come segue. Primo, si contano le prime preferenze. Se un candidato raggiunge il 50% allora è dichiarato vincitore. Altrimenti, si elimina il candidato che ha ricevuto il più basso numero di voti e si riassegnano i suoi voti alle seconde preferenze. A questo punto si ricontano i voti e si vede se qualcuno ha più del 50%. Se sì, tale candidato vince. Altrimenti, si ripete la procedura: il candidato con meno voti viene eliminato e i suoi voti riassegnati alla seconda preferenza. Il processo viene ripetuto tante volte quante necessario, eliminando un candidato alla volta.
Nell'esempio qui sopra, immaginiamo che Gialli risulti ultimo nella conta delle prime preferenze. Allora Gialli viene eliminato e il voto del nostro elettore viene automaticamente assegnato a Bianchi. A quel punto restano due soli candidati, Bianchi e Bruni, e necessariamente uno dei due avrà il 50% dei voti validi.
Le conseguenze politiche del sistema australiano.
Il sistema australiano permetterebbe di evitare una delle caratteristiche più indesiderabili del sistema maggioritario all'inglese in presenza di più partiti: la sua dipendenza dalle alleanze pre-elettorali. In Italia il maggioritario all'inglese è stato usato per 3/4 dei seggi della Camera nel 1994, 1996 e 2001. Nel 1996 le elezioni sono state vinte dal centro-sinistra solo perché il centro-destra era diviso, mentre nel 2001 è successo l'opposto. Il voto alternativo elimina questo aspetto di casualità nel risultato, restituendo il potere di determinare il vincitore all'elettorato.
Cosa ci si può aspettare da un sistema maggioritario ''all'australiana''? Direi che è lecito attendersi l'emergere di due blocchi elettorali, anche se non di due partiti. Il sistema favorisce, come tutti i sistemi maggioritari, i partiti maggiori (nel caso italiano PdL e PD) e i piccoli partiti geograficamente concentrati e in grado di attrarre le seconde preferenze di altri partiti (nel caso italiano la Lega). In Australia tre partiti ottengono normalmente rappresentanza parlamentare: i Laburisti su lato sinistro e la coalizione tra Liberali e Nationals sul lato destro. In particolare, sul lato destro i Nationals sono il partito più piccolo e geograficamente concentrato della coalizione; tipicamente, gli elettori Liberali mettono come seconda preferenza i Nationals e viceversa. In tutte le elezioni del dopoguerra si è sempre formata una maggioranza stabile, di un colore o dell'altro (si veda qui per l'ultima elezione e si seguano i links per le altre).
Un'altra caratteristica attraente del sistema australiano è che penalizza molto meno del sistema inglese l'entrata di nuovi partiti. In un sistema all'inglese gli elettori sono riluttanti a votare nuovi partiti perché temono di ''sprecare il voto''. Con il voto alternativo il problema non si pone. L'elettore può dare la prima preferenza al candidato preferito e la seconda preferenza al candidato più ''vicino'' che considera un serio contendente per la vittoria. Per esempio, i Verdi australiani, un partito nato nel 1992, hanno progressivamente aumentato i propri voti fino al 7.79% delle ultime elezioni. Le maggiori possibilità di entrata riducono le rendite dei partiti più grandi e permettono di segnalare in modo più accurato la volontà dell'elettorato.
Perché il voto alternativo è desiderabile e perché è possibile.
Mi limiterò qui a comparare il sistema australiano con altri sistemi maggioritari. Ho già spiegato perché ritengo il sistema superiore migliore del maggioritario all'inglese. Quando ci sono vari partiti che possono contare su un elettorato abbastanza fedele il sistema inglese regala troppo potere ai capi dei partiti medio-piccoli, che possono decidere il risultato elettorale mediante la loro politica di alleanze. Questa è, e resterà per un pezzo, la situazione italiana.
Per evitare questo problema si può usare tanto il sistema a doppio turno quanto il sistema australiano. Premetto che sarei comunque soddisfatto se venisse introdotto un maggioritario a doppio turno, ma credo che il sistema australiano sia superiore per vari motivi. Primo, permette agli elettori di esprimere in modo più completo le proprie preferenze. Secondo, non richiede agli elettori di recarsi alle urne due volte. Terzo, in Italia l'intervallo tra il primo e il secondo turno verrebbe impiegato dai capi dei piccoli partiti per fare campagna pro o contro i candidati del ballottaggio. Questo ne accrescerebbe il potere negoziale, reintroducendo alcuni dei problemi del sistema all'inglese. Con il voto alternativo questi problemi sono meno forti. Ovviamente i partiti possono indicare ai propri elettori quali seconde o terze preferenze dare, ma inevitabilmente le campagne elettorali dovranno concentrarsi sulla richiesta di voto al proprio partito. Questo riduce le possibilità dei piccoli partiti di manipolare il risultato elettorale.
Ho spiegato sopra perché ritengo che in questo Parlamento la situazione sia assai più favorevole a una buona riforma che nel precedente. D'altro lato è ovvio che il centro-destra, come il centro-sinistra nella scorsa legislatura, non farà alcuna riforma se ciò mette in pericolo il governo. È bene pertanto guardare i numeri. La consistenza attuale dei gruppi parlamentari di centrodestra è la seguente.
Camera dei Deputati
∙ Popolo delle Libertà: 273.
∙ Lega Nord: 60.
∙ Movimento per le Autonomie: 8.
Senato
∙ Popolo delle Libertà: 146.
∙ Lega Nord: 26.
∙ Movimento per le Autonomie: 2.
È probabile che il Movimento per le Autonomie (MpA) e alcuni deputati del PdL provenienti da piccoli partiti (per esempio Gianfranco Rotondi e Alessandra Mussolini) si oppongano a un sistema maggioritario. D'altra parte PdL e Lega da soli hanno 333 seggi alla Camera (maggioranza 315) e 172 al Senato (maggioranza 161). Possono quindi tranquillamente ignorare MpA e i pochi deputati dei partitini.
Il sistema australiano andrebbe a beneficio di PdL e Lega, permettendo loro di assorbire (almeno come seconde preferenze) buona parte dei voti di UDC e Destra. Un fenomeno simile accadrebbe sul lato sinistro, dove il PD potrebbe assorbire parte dell'estrema sinistra e dei socialisti.
La riforma è quindi possibile. Chi ci perde (estrema destra, estrema sinistra, UDC, MpA e socialisti) non è in posizione di poterla bloccare. Chi ci guadagna (PdL, Lega e PD) controlla la maggior parte dei seggi parlamentari. In più PdL e Lega possono permettersi di irritare gli alleati minori senza pericolo di far cadere il governo. È un'occasione storica che, in caso di mantenimento del porcellum, è improbabile si ripresenti in futuro. Occorre iniziare ad agire subito per ottenere una buona riforma prima del referendum.
Mi sembra che in Australia sia necessario indicare almeno tre preferenze, pena la nullità del voto. O mi sbaglio?
In Australia per la Camera dei Deputati bisogna ordinare TUTTI i candidati, pena la nullità della scheda. Per il Senato si usa un sistema simile (il Single Transferable Vote), nel senso che permette di ordinare i candidati ma in distretti con multipli membri. Questo tende a produrre effetti più proporzionali e quindi incoraggia l'entrata di più candidati, rendendo il compito difficile a un elettore che deve fornire un ordinamento completo. Per tale ragione si permette agli elettori di votare semplicemente il simbolo del partito, accettando l'ordinamento dei candidati del partito stesso. La voce di wikipedia sul sistema elettorale australiano è ottima.
Credo che in Italia sarebbe sbagliato chiedere agli elettori di ordinare tutti i candidati. Per lunga tradizione in Italia tendono a presentarsi molti partiti, parecchi dei quali sconosciuti. Anche se si mettesse in essere un sistema maggioritario ci vorrà un po' prima che questa abitudine passi. Pensare che gli elettori possano dare un voto informato su minuscoli partiti esoterici è assurdo (provate a chiedervi: è meglio il partito comunista dei lavoratori di ferrando o sinistra critica di turigliatto? forza nuova o il nuovo msi?). Il sistema di voto alternativo funziona altrettanto bene quando agli elettori viene consentito di ordinare solo un sottoinsieme dei candidati. Se per esempio voto solo il partito A e alla prima conta A risulta ultimo, il mio voto diventa invalido. Ad ogni round alcuni voti diventano invalidi (quelli senza ulteriori preferenze) e altri vengono riassegnati alla preferenza successiva.