La logica della favola è quella, solita, del modello superfisso: esiste un numero dato di posti di lavori disponibili, per cui se vuoi far lavorare i giovani, devi toglierli agli anziani. Fine della storia. Una versione leggermente più sofisticata della stessa favola è che i giovani sono belli, pimpanti e produttivi, mentre gli anziani sono stanchi e hanno in mente la pensione e i nipotini. Nello scambio dunque, il paese guadagnerebbe in produttività. Questo ragionamento, pur essendo leggermente più intelligente, ignora intanto che i giovani mancano di esperienza, e bisognerebbe dunque andare a misurare quanto la minore esperienza dei giovani conti rispetto alla maggiore stanchezza degli anziani. Ma il problema principale è che i pensionati vanno mantenuti con i soldi dei giovani, e che pensionare più gente significa aumentare le tasse per i lavoratori, che di conseguenza hanno meno incentivi per lavorare, e per chi fa impresa, con meno incentivi per creare posti di lavoro.
Teoria a parte, Boeri e Galasso mostrano bene come non vi sia alcuna correlazione fra tasso di attività delle persone da 55 a 64 anni di età e disoccupazione giovanile (15-24 anni). La loro analisi ha generato un piccolo tarlo nel mio cervelletto, e ho voluto andare a guardare anche al rapporto fra i tassi di occupazione giovanile, anziché solo a quelli di disoccupazione. Spero in questo modo di fornire qualche dato in più rispetto alla interessante analisi di Tito e Vincenzo, che hanno anche scritto qualche anno fa un bel libro sul tema del conflitto intergenerazionale. Il motivo principale per cui preferisco guardare al tasso di occupazione è che il tasso di disoccupazione è per sua natura una variabile ciclica, fortemente influenzata dall'andamento congiunturale dell'economia (è definito come il rapporto fra persone che stanno cercando lavoro sul totale delle persone attive - è cioé di quelle che hanno o stanno cercando lavoro). Chi non cerca lavoro e non lavora, non rientra nel computo del tasso di disoccupazione, mentre qui l'idea è che pensionando o facendo lavorare meno gli anziani si creano opportunità di lavoro e di crescita. Preferisco dunque guardare a una variabile che meglio indichi il trend economico con una frequenza più lunga, e per questo il tasso di occupazione, che misura il rapporto fra occupati e popolazione credo sia una variabile più adeguata.
Ho scaricato i dati dei tassi di occupazione delle persone in età pre-pensionamento (55-64), che chiamerò "tasso di occupazione adulta" per evitare di tacciare come anziani persone la cui età è sempre piu vicina alla mia, e dei tassi di occupazione giovanile (15-24). La seguente figura (cliccare per ingrandirla) mostra il rapporto fra le due variabili in un anno pre-crisi, per i soli maschi.
(cliccare la figura per ingrandire)
La pendenza della retta (un fit lineare) è 0,74, e cioé in media (senza pretendere di stabilire nessun rapporto di causalità) per ogni punto percentuale di aumento di occupazione adulta, l'occupazione giovanile è maggiore di ben 0,74 punti! Se dovessimo credere al modello superfisso, il rapporto dovrebbe essere negativo e vicino a -1 (uguale a -1 se i due segmenti di popolazione avessero la stessa dimensione). La stessa retta calcolata usando i tassi di occupazione femminile ha una pendenza di 0.64.
La figura dice già tutto. Per i più curiosi, ho preso tutti gli anni disponibili (dal 1992 al 2012) e tutti i 35 stati. Una regressione semplice del tasso di occupazione giovanile sul tasso di occupazione adulta fornisce un bel coefficiente di 0.61 (errore standard 0.03). Per tener conto delle ovvie differenze ho calcolato una regressione con fixed effects per anno, stato e genere. Il coefficiente si riduce a 0.28, ma rimane comunque alto e significativamente positivo. Anche in questo caso, nessuna pretesa di determinare un effetto causale, ma la correlazione esiste e non è piccola: paesi, e anni con maggiore occupazione adulta hanno anche maggiore occupazione giovanile, non meno!
Un'ultima considerazione sulla "staffetta generazionale" proposta da Letta. Non è ancora chiaro in cosa questa consista, ma pare si voglia creare la possibilità, per gli anziani, di lavorare meno ore per creare occupazione giovanile, magari fornendo qualche incentivo all'anziano e qualche sgravio fiscale all'assunzione del giovane. Tralasciando per un momento il discorso degli incentivi, non c'è ovviamente niente di male a permettere, a chi vuole, di lavorare meno ore la settimana, compatibilmente con le esigenze logistiche della propria azienda. L'assurdità della proposta dunque è che questo non sia già possibile o facilmente attuabile, non solo per gli anziani, ma per chiunque lo voglia. Vuole dunque Letta eliminare vincoli all'assunzione part-time di adulti, anziani, giovani, donne, uomini, transessuali? Ben venga! Il problema che la figura evidenzia in modo palese per chi volesse prendersi una lente di ingrandimento e cercare il pallino corrispondente al paese "Italy" non è (solo) l'occupazione giovanile, ma l'occupazione in tutti i settori demografici. Se opportunità di lavoro part-time sono desiderabili da qualcuno ma non possibili per vincoli burocratici e altri tipi di lacci e lacciuoli, quello la legge ed il governo dovrebbero eliminare, e non solo per gli anziani.
Andrea, come dicevi giustamente si tratta solo di correlazioni. Però....se usi ad esempio i dati EU-LFP trovi una correlazione positiva (e significativa al 5%) tra gli exit rate dei lavoratori di età 55-64 ed i tassi di disoccupazione dei giovani (21-30). La correlazione è ancora più forte se guardi solo ai lavoratori low educated. Eppure secondo molti la sostituibilità più forte dovrebbe essere proprio tra lavoratori low skilled anziani e giovani, ed invece nei dati non c'è. Anzi, c'è il contrario.