Il PIL: la peggior misura del benessere, a parte tutte le altre

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(Con le nostre scuse a Winston Churchill per il plagio). Considerazioni riguardo ad uno studio uscito in questi giorni su nuove misure di benessere dei paesi, e riguardo all'ennesima polemica di Tremonti sul PIL.

Il 21 gennaio scorso è apparso sul Sole 24 Ore un articolo di Marco Fortis che commenta l'uscita di un rapporto dell'Aspen Institute Italia (in collaborazione con la Fondazione Edison) su alcune nuove misure di benessere complessivo dei paesi. Qui la presentazione del rapporto da parte di Aspen Institute. Non è dato però trovare online il rapporto stesso (almeno, noi non siamo riusciti a trovarlo). Ci affidiamo quindi alla descrizione che ne dà Marco Fortis.

In sostanza, il rapporto compila, per i paesi del G-20, 50 indicatori di "benessere", divisi in sei aree: "indicatori di dimensione; indicatori di reddito e benessere; indicatori di sviluppo, di welfare, della disoccupazione e del funzionamento dello stato; indicatori di economia reale; indicatori di produttività, competitività e ricerca; indicatori di dotazione di infrastrutture e indicatori ambientali."

Fra i singoli indicatori, si trovano cose abbastanza standard come il PIL, l'indice di sviluppo umano dell'ONU, misure di produttività e di spesa per ricerca e sviluppo. Si trovano poi cose di cui gli economisti discutono da anni, come misure di educazione, di ricchezza delle famiglie, di emissioni inquinanti. Si trovano infine cose francamente bizzarre, come il numero di automobili (chissà se contano in positivo o in negativo), il numero di abbonamenti telefonici per abitante (chissà se si tratta di telefonia fissa o mobile), bilancia commerciale con l'estero per la frutta fresca, export di prodotti della dieta mediterranea... Inspiegabilmente assente l'export di riso e di pesce fresco per il sushi, che sembra far tanto bene alla salute (e che il meno salutista dei due autori cordialmente detesta).

Ebbene, in base al fantomatico rapporto, l'Italia presenta sì delle ombre, ma anche tante luci di cui possiamo andar fieri. Ad esempio, "mentre siamo settimi nel G-20 per dimensioni del Pil a valori correnti, siamo quinti per generazione di valore aggiunto manifatturiero e abbiamo il quinto miglior surplus commerciale con l'estero nei manufatti non alimentari". Poco importa che il valore aggiunto manifatturiero costituisca solo il 26% circa del valore aggiunto complessivo di tutte le attività economiche in Italia (fonti OECD, "Country statistical profiles 2008").

Abbiamo, inoltre, "nonostante la lenta crescita dell'ultimo decennio, un buon livello di produttività aggregata (siamo terzi nel G-20 dietro Stati Uniti e Francia)." Ci sembra davvero strano, visto che secondo le tabelle dell'OECD ("Productivity"), per il ventennio 1985-2005, la crescita della produttività totale in Italia è stata inferiore a quella in USA, UK, Svezia, Olanda, Giappone, Francia, Finlandia, Danimarca, Australia. E va ancora peggio se si guarda alla produttività del lavoro, sotto "Labour Productivity Total Economy".

Infine, ciliegina sulla torta, "L'Italia vanta anche il maggiore attivo commerciale con l'estero per la frutta fresca a livello dei paesi del G-20 e anche il più elevato export di prodotti trasformati della dieta cosiddetta mediterranea (derivati del pomodoro, pasta, olio d'oliva, vini, caffè torrefatto)." Letteralmente, tarallucci e vino.

Ma non è questo il punto fondamentale. La questione di fondo è se il PIL sia, alla fine della fiera, una buona (seppure imperfetta) misura di benessere di un paese, o meno. Questione collegata, ma non meno importante, è quella del cui prodest: perché vengono tirati in ballo questi indicatori alternativi, con tanto di rapporto e di fanfare? Procediamo per ordine.

Cominciamo con il chiarire un paio di cose che dovrebbero essere ovvie ma stranamente non lo sono.

Primo, il PIL cerca di misurare il valore dei beni e servizi prodotti in un paese. Non, ripetiamo e sottolineiamo in rosso "non", cerca di misurare la felicità di un popolo. È ovvio che se ti molla la morosa diventi triste, e non c'è modo di tenerne conto guardando ai beni e servizi che produci. Ma questo non è il lavoro del PIL, e quindi l'obiezione che il PIL ''non tiene conto delle cose veramente importanti'' è senza senso. Se qualcuno è capace di misurare le fluttuazioni nel livello di amore e felicità di una nazione si faccia avanti, come economisti siamo interessati (sul serio, si veda dopo). Ma il PIL fa un altro lavoro. Almeno finché, oltre all'amore, ci interessa anche cosa mangiamo, se possiamo viaggiare, che vestiti possiamo comprarci e amenità del genere, il PIL non lo possiamo ignorare.

Secondo, anche quando parliamo strettamente della produzione di beni e servizi il PIL non è proprio perfetto. Tanti beni e servizi che vengono prodotti non sono misurati o sono misurati male. Praticamente alla prima lezione di contabiltà nazionale ti raccontano la storiella di quello che si sposa la sua badante e in tal modo fa calare il PIL, dato che la badante continua a fornire gli stessi servizi ma da moglie non remunerata. Pertanto, i suoi servizi diventano statisticamente invisibili. Senza pensare a servizi pubblici, come difesa e sanità, che vengono valutati a costo non essendo possibile calcolarne in altro modo il valore aggiunto. Si raccontano queste cose esattamente per far capire che il PIL è un indicatore rozzo e sintetico. Allo stesso modo è banale osservare che, se sei avverso al rischio e i mercati sono incompleti, tassi di crescita bassi ma costanti possono essere meglio di tassi mediamente più alti ma variabili. Allo stesso modo ancora, come spiegava Trilussa, il PIL pro capite non descrive le disuguaglianze di reddito nella popolazione. Sono tutte cose che si sanno e si raccontano da prima che nascessimo, e non siamo proprio appena usciti dalla culla.

Visto che il PIL è un indicatore imperfetto, sono anni che statistici ed economisti provano a sviluppare altri indicatori quantitativi del benessere economico di un paese, sia per quanto riguarda la produzione materiale sia per quanto riguarda altri aspetti ''non materiali''. Si vedano per esempio gli indicatori sviluppati dall'ONU; ma esistono anche misure soggettive di benessere e di felicità, costruite sulla base di sondaggi internazionali (si veda qui, pp. 4 e ss.). Se si riesce a farlo bene è chiaramente una buona idea: vari indicatori, anche se imperfetti, sono meglio di un solo indicatore imperfetto. Ma la cosa interessante (e forse non molto nota) è che tipicamente questi indicatori finiscono per essere molto correlati al PIL, che è la ragione per cui questo è rimasto l'indicatore principale. Guardate le due figure in questo post del blog Freakonomics (ebbene sì, leggiamo anche Freakonomics ogni tanto!): la correlazione fra PIL pro capite e misure soggettive di benessere è 0,82; quella fra il ranking di ciascun paese per il PIL pro capite e per l'indice di sviluppo umano dell'ONU è addirittura pari a 0,95!! (Nota per i non-amanti della statistica: la correlazione fra due misure assolutamente identiche è pari a 1; sono quindi valori molto alti, che ci dicono, ad esempio, che l'indice di sviluppo umano dell'ONU fornisce praticamente quasi le stesse informazioni del PIL pro capite sulla "graduatoria" dei paesi).

Ma allora perché tutto questo casino, che peraltro sembra toccare politici e media più che il dibattito scientifico in senso stretto? Perché Tremonti (ma anche Sarkozy, che ha commissionato il famoso studio di Stiglitz-Sen-Fitoussi) critica l'uso del PIL come misura di benessere di un paese? Tremonti, tra l'altro, non perde occasione di coprirsi di ridicolo: "Se fossero calcolati e acquisiti - ha detto Tremonti -come rilevanti dati come la bellezza, l'ambiente, la storia, il clima, l'Italia avrebbe un'imbarazzante prima posizione, seguita a molte distanze da altre lande."

La verità scientifica, o più banalmente la bontà delle tecniche statistiche, conta molto poco. Per rispondere alla domanda occorre, temiamo, interrogarsi sul cui prodest. E ci pare proprio che Tito Boeri abbia colto nel segno. La critica viene sollevata ad uso puramente propagandistico e politico, ovvero per ridurre quella cosa che in inglese si chiama accountability, e che in italiano non esiste neppure, tant'è vero che occorre ricorrere ad espressioni come "l'assunzione delle proprie responsabilità". Ossia, chi governa non vuole essere giudicato sulle dimensioni che sono chiaramente misurabili (per esempio il PIL) ma decide lui il metro di giudizio, che casualmente sarà sempre basato su variabili qualitative e sfuggenti (o estremamente parziali, come quella della dieta mediterranea!), su cui può raccontare tutte le fregnacce che vuole.

In questo modo, il governante può continuare a promuovere politiche che sono folli e riducono il benessere del paese, e sostenere che invece no, stanno facendo un sacco di bene. Tanto è impossibile contraddirlo, visto che il sole mio, l'olio d'oliva e la storia ci sono sempre!

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Commenti

Ci sono 94 commenti

che gia' lo dicevano gli skiantos...

www.youtube.com/watch

 

Aspen e Fondazione Edison viaggiano sempre in coppia recirocamente appoggiandosi da lunga pezza e la costanza della frequentazione ha generato comunanze di vedute e di interessi. Nel caso di specie il tentativo di manipolare la realtà a dini pubblicitari e demagogici rischia, purtroppo, di trovare orecchie attente a bersi questa come altre fandonie fornendo loro l'alibi dell'avallo che si presenta come "sicentifico" pur non essendolo neppure per caso.

Sarà il clima post-derby, ma mi è venuta in mente una simpatica applicazione di facebook, il "Parla con Galliani".

Fra quello che l'AD del Milan ti dice, ci sono frasi tipo

 - "Se consideriamo le due stagioni in B, il Milan ha vinto più campionati dell'Inter"

- "Se consideriamo i risultati delle partite tra il terzo minuto dell'intervallo e il sesto del secondo tempo il Milan sarebbe secondo in classifica"

- "Il Milan è prima nella classifica dei palloni recuperati nella parte destra del lunotto di centrocampo"

Insomma, vuoi vedere che BS ha incaricato il fidato Adriano di dare qualche suggerimento al commercialista di Sondrio?

Il PIL misura il flusso di consumo (ai prezzi di mercato e senza distinguere qualitativamente su cosa viene consumato (una cosa è spendere soldi in un pub una cosa è spendere soldi in un corso universitario)) e non il livello del capitale (stratificato nel tempo) che dovrebbe supportare quel consumo. Se quest'ultimo fosse misurato (ma non lo è e non lo sarà in quanto misurare il valore di un bene/servizio è attività del singolo produttore/consumatore e non è aggregabile) avremmo una visione degli ultimi anni piuttosto diversa (usa e uk oramai non producano quasi più nulla e si sono consumati un bel po' di capitale (senza contare i debiti contratti con il resto del mondo e che probabilmente non pagheranno (ma questo non lo ammetteranno mai))).

non il livello del capitale (stratificato nel tempo)

Il livello sicuramente no, ma la produttività del K sì. Quindi se, come sostiene l'ineffabile GT, l'Italia è assai dotata di capitale (storico, paesaggistico e folcloristico soprattutto grazie a GT...) il quadro è ancora più desolante. Non si produce abbastanza date le cospicue risorse a disposizione. Inefficienza e declino, triste e amaro destino.

Aggiungerei pure che se USA e UK si indebitano per importare beni e servizi il loro PIL non ne trae vantaggio, al contrario dei loro consumi interni. Mentre se in l'Italia, nonostante nonostante i risultati poco brillanti sul lato della produzione di beni e servizi, si sta meglio che in altri paesi potrebbe significare che ci stiamo "erodendo" il capitale accumulato.

 

MN, qui si applica quanto fatto notare da Sandro e Giorgio per la felicita' dei popoli: il PIL e' un flusso e non cerca (perche' non puo' per definizione) di misurare gli stock.

Inoltre, poiche' una delle definizioni del PIL e':

PIL ≡ Consumo + Investimento + Spesa Pubblica + Esportazioni - Importazioni

ed esiste una funzione di produzione per cui in equilibrio

PIL = f(Lavoro , Capitale)

A me il tuo commento pare incorretto: se ti mangi il capitale e prendi a prestito importando alla fine queste cose si riflettono sul PIL eccome. Scusa se suono come il professorino di turno, ma se non facciamo solo confusione.

Il PIL misura il flusso di consumo (ai prezzi di mercato e senza distinguere qualitativamente su cosa viene consumato (una cosa è spendere soldi in un pub una cosa è spendere soldi in un corso universitario))

1) Il PIL non misura il flusso di consumo. Bensi' il valore di mercato dei beni e servizi finali prodotti all'interno del Paese (al lordo degli ammortamenti). Tali beni e servizi sono a disposizione per il consumo o per l'investimento.

2) in un'economia di mercato, il sistema dei prezzi serve appunto a valutare beni e servizi che soddisfano bisogni diversi - il fatto che a New York una birra costi 8 dollari e un anno a NYU 45000 dollari riflette le preferenze degli individui e l'efficienza nel produrre tali beni

Se quest'ultimo fosse misurato (ma non lo è e non lo sarà in quanto misurare il valore di un bene/servizio è attività del singolo produttore/consumatore e non è aggregabile) avremmo una visione degli ultimi anni piuttosto diversa (usa e uk oramai non producano quasi più nulla e si sono consumati un bel po' di capitale (senza contare i debiti contratti con il resto del mondo e che probabilmente non pagheranno (ma questo non lo ammetteranno mai))).

3) Stime del valore dello stock di capitale sono disponibili. Ovviamente si tratta di stime non facili, che vanno prese con un grano di sale. Abbiamo piu' fiducia nella stima della variazione del capitale da anno ad anno, perche' si tratta della differenza tra investimento aggregato e il deprezzamento dovuto all'uso e all'obsolescenza. Negli ultimi 15 anni il tasso di investimento netto in US e UK e' stato decisamente superiore a quello Italiano, sia in assoluto, sia paragonato al numero di lavoratori o residenti.

4) Prendere a presto soldi dal resto del mondo non e' necessariamente un indicatore negativo, cosi' come prestare al resto del mondo non e' necessariamente un indicatore positivo. Per esempio, non v'e' nulla di patologico nel fatto che un Paese in via di sviluppo prenda a prestito. Il motivo e' che le aspettative di crescita sono piu' altre che nel resto del mondo. Il Giappone fa credito perche' le opportunita' interne di investimento sono scarse.

5) Non v'e' scritto da nessuna parte che gli Stati Uniti debbano ripagare i debiti contratti. L'importante e' che ci siano aspettative ragionevoli che il Paese possa continuare a pagare gli interessi su quei debiti.

...Whoa! MN (non so chi tu sia, ma certamente non vieni da Minnesota), la densita' di minchiate per numero di parole in questo tuo commento e' elevatissima!

1) il PIL non misura il flusso di consumo

2) "senza distinguere qualitativamente su cosa viene consumato": cosa vorresti, che ci fosse una commissione che decide quali sono le spese "meritorie" e quali no? Le attivita' "socialmente utili"... mio Dio!

3) Lo stock di capitale si puo' misurare tranquillamente. Non e' facile, ma viene fatto di routine. Guarda qui, tanto per cominciare.

4) "misurare il valore di un bene/servizio è attività del singolo produttore/consumatore e non è aggregabile". Mai sentito parlare di prezzi? O dobbiamo tornare indietro alla teoria del valore, eccetera?

5) sull'affermazione che US e UK si sono mangiati il capitale e non ripagheranno i debiti non so neanche come cominciare a rispondere.

 

quando il PIL va giù questo non sia un indicatore importante, per intederci tanto noi abbiamo la pizza il Colosseo e le belle donne, mentre se va su, l'Italia guida la ripresa.

Mi viene in mente un possibile dialogo con il nostro superministro i cui chiedo delucidazioni in merito, ma mi viene sempre in mente il seguente proverbio: "Non discutere mai con un idiota, perchè prima ti trascina al suo livello e poi ti batte con l'esperienza"

Mi sia consentito di distinguere i due piani: la critica al Pil come indicatore di benessere (stare-bene (well-being, inglese), sviluppo, standard di vita, felicità supponendo che per un attimo questi sostantivi siano sinonimi) individuale, dall'uso strumentale della critica stessa.

Sostenere che "....basta che ci sta o'sole", importano poco le condizioni materiali del paese e quindi le variazioni negative o nulle del Pil è una sciocchezza detta in maniera strumentale da alcuni che vogliono occultare il fatto che l'Italia è un "paese in via di sottosviluppo" (cit. Toraldo di Francia (1973)).

Viceversa, criticare il Pil come misura sintetica del benessere (e suoi pseudo sinonimi) delle persone è senz'altro meritorio.

Sen (Amartya) ne parla dagli anni Settanta. Le principali critiche, a cui per altro si fa cenno anche nel post di Topa-Brusco, al Pil sono riassunte abbastanza bene ad esempio nell'Introduzione all'Handbook of Economic Development, scritta da Sen (1982) e dal titolo "The concept of development".

Il punto di Sen e di altri non è "criticato l'indicatore Pil, si butta via e si usa un'altra misura", bensì attenzione "il reddito e le sue variazioni costituiscono un indicatore parziale della disuguagliaza indviduale e cioè del suo duale il benessere economico". L'analisi (del benessere e della disuguaglianza, sviluppo, standard di vita ecc.) va quindi estesa da uno spazio unidimensionale (tipicamente il reddito, la spesa in consumi ecc.) ad uno multidimensionale (che includa più caratteristiche individuali allo stesso tempo). tenendo in dovuto conto delle interazioni tra le variabili stesse (di solito chi è ricco ha una buona salute, ha una buona istruzione e se ha una buona salute "funziona" bene e produce ancora più ricchezza ecc.).

Ora l'operazione del passare da un'analisi unidimensionale ad una multivariata non è agevole: gli economisti ( i migliori lavori sono Tsui (Jet 1995 e SCWE 1998) Maasoumi (Econometrica 1986), Gajdos e Weymark (ET, 2005) hanno esteso le classi di indici di disuguagliaza più comuni al caso multidimensionale, ma è probabile, per come sostenuto tra le righe del post Topa-Brusco, non sia la direzione più robusta, ma almeno di questo non possiamo fargliene una colpa.

Grazie mille dei riferimenti riguardo gli indici di disuguaglianza nel caso multidimensionale. Il tema degli indici di disuaguaglianza e' affascinante, e conosco anche le argomentazioni di Sen (fra l'altro, mia moglie ha insegnato queste cose e ne parliamo spesso).

Come abbiamo cercato di chiarire nel post, siamo ben consapevoli dei limiti del PIL come misura. Volevamo solo sottolineare due cose: 1) pur con tutte le sue limitazioni, e' una damn good measure - tanto'e' vero che e' molto correlato con altre misure di benessere, sia quantitative come il UN Human Development Index (che raccoglie un fascio di altre misure), che qualitative come quelle soggettive di felicita' e soddisfazione. 2) come dici tu, l'uso strumentale e propagandistico della critica.

Beh io direi che le critiche che si possono fare al pil sono le stesse che si possono fare ai metodi multidimensionali...figuriamoci poi costruire degli indici con i risultati puntuali di un'analisi statistica che sono quasi sicuro essere inferenziale (quindi intervallare) e quindi basata su una presunta distribuzione che quasi mai corrisponde a quella reale...

Nello specifico che tecniche statistiche venivano utilizzate da Tsoui, Maasoumi e Sen, giusto per curiosità.

Secondo me basterebbe dare un'occhiata solo al pil alla luce delle percentiles della distribuzione del reddito, magari anche in chiave dinamica (sai da anno in anno) per avere la big picture.

Nell'articolo di Marco Fortis, proprio all'inizio, ci viene spiegato che l'Italia ''può'' diventare (ossia, se ne deduce, al momento non è) un importante attore blablabla

 

Ma a patto che, con le riforme, vengano superati i tre limiti strutturali del paese.

l primo limite è oggettivo: l'Italia è un paese di soli 60 milioni di abitanti

 

Tralascio gli altri due, se volete guardate l'articolo ma è roba standard, ma su questo punto la curiosità è grande.

Quali riforme ha in mente Fortis per superare questo terribile limite strutturale? Immigrazione massiccia? Va bene, scherzavo. Viagra gratis per tutti? OK, scherzo anche qui ma già meno. Assoluto divieto di aborto e contraccezione, accompagnato a visite ginecologiche regolari sulle donne in età fertile per evitare che si disfino dei pargoli indesiderati? Vorrei che questo fosse uno scherzo, ma è quello che faceva Ceausescu; a metà anni Sessanta pure lui, a quanto pare, aveva deciso che  la mancanza di forza lavoro fosse un limite strutturale alla crescita del paese e si era preso la briga di porvi rimedio. I risultati si son visti.

Questa cosa dei governanti con la fregola di avere tanti sudditi da opprimere fa veramente paura.

 

 

Nell'articolo di Marco Fortis, proprio all'inizio, ci viene spiegato che l'Italia ''può'' diventare (ossia, se ne deduce, al momento non è) un importante attore blablabla

 

Ma a patto che, con le riforme, vengano superati i tre limiti strutturali del paese.

l primo limite è oggettivo: l'Italia è un paese di soli 60 milioni di abitanti

 

Questa cosa dei governanti con la fregola di avere tanti sudditi da opprimere fa veramente paura.

 

Concordo e rilancio:

  • questa ossessione per la potenza demografica del Belpaese non ricorda le fisime di Mussolini che hanno comportato disastri assortiti sia per i sudditi sia alla fine anche per il Duce stesso?
  • si e' mai posto la domanda Marco Fortis se in Europa stiano meglio (piu' PIL pro-capite, migliore istruzione e migliore sanita') i Paesi piu' piccoli o quelli piu' grandi? Secondo l'indice di sviluppo umano dell'ONU direi che sono i Paesi con meno abitanti quelli dove mediamente si sta meglio. Inoltre nei Paesi piccoli non avviene e appare ne' giustificato ne' difendibile strapagare le posizioni dei vertici politici, i parlamentari e perfino gli amministratori locali come avviene nella popolosa ma povera Italia.

Leggendo le prime righe(per intendersi, le parole al posto di blablabla) pare chiaro che Fortis si riferisca al peso geopolitico dell'Italia e non penso sia completamente sbagliato pensare che i Paesi più popolosi possano avere un peso geopolitco maggiore (ex: tra i paesi osce gli USA sono senza dubbio i geopolitcamente più potenti e al contempo i più popolosi).

 

Tornando al discorso del Pil come indicatore di altro oltre al Prodotto Interno Lordo di una nazione, ho letto (e mi sono trovato molto d'accordo) un articolo su questo argomento scritto da Alesina che diceva in soldoni che il pil anche se ha dei difetti ce lo dobbiamo tenere perchè non c'è una misura migliore.

La parte più interessante diceva inoltre che il pil ha correlazioni alte con gli altri indici ma basse se si guardano i Paesi Osce anche se non fornisce dati precisi. Alla fine critica anche lui Sarkozy e la sua voglia di avere altri indici per non sfigurare con gli americani.

papagna

Il PIL scende del 5%, la produzione industriale del 20% ed il gettito tributario aumenta di 4,2 mld? Qualcosa sfugge, ma l'ottimismo cresce.

Che siano gli introiti dello scudo fiscale ?!?

Recentemente Repubblica TV si e' occupata del problema

download.repubblicatv.it/adv/podcast/rrtv/2010/2010-01-21/2010-01-21-12-00.mp4

invitando a parlare del Pil e della inadeguatezza nel misurare felicita' e benessere un sociologo e un ambientalista. Vagamente esilarante, verso la fine della trasmissione, il tentativo (da parte dell'ambientalista) di spiegare cosa e' il Pil.