La politica economica dell'IdV (I): una introduzione e alcuni fatti.

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Il dibattito di politica economica ruota spesso intorno alle proposte (o alla loro mancanza) dei due principali partiti, il PD e il PdL. Alle ultime elezioni politiche ed europee hanno però acquisito forza, in entrambi gli schieramenti, le forze ''minori'' delle due coalizioni, IdV e Lega.

Ho quindi deciso di guardare più da vicino le proposte di questi due partiti specificamente con riferimento alla politica economica. Inizio con l'IdV.

Introduzione.

Credo di non dire nulla di controverso se affermo che la politica economica non è il tratto distintivo dell'IdV. I principali temi di battaglia del partito sono infatti quelli legati alla giustizia, alla lotta alla corruzione e alla criminalità. È probabile che tali temi continuino a dominare la proposta politica dell'IdV anche nell'immediato futuro, ma è anche chiaro che mantenere un'identità legata principalmente ed esclusivamente alla ''questione giustizia'' può funzionare solo se il partito accetta di mantenere uno status minoritario, sia nel centrosinistra sia nel più ampio panorama politico italiano.

La crisi del PD ha però aperto spazi inaspettati per l'IdV, che può ora puntare a essere, se non la forza dominante, perlomeno un partner paritario con il PD all'interno del centrosinistra. Ma con le opportunità arrivano immancabilmente anche le difficoltà. Se l'IdV desidera mantenere e allargare i livelli di consenso acquisiti alle ultime elezioni europee, presentandosi come una credibile alternativa per la leadership del centrosinistra, sarà per loro necessario elaborare una identità politica più definita. In particolare, sarà necessario formulare una linea riconoscibile di politica economica, o almeno un messaggio di carattere generale da far passare tra i potenziali elettori. L'ambiguità sui temi economici può essere utile per una piccola forza di nicchia che intende cavalcare i temi della giustizia, ma sarebbe penalizzante per una forza che intende discutere alla pari con gli altri grandi partiti. Senza un chiaro messaggio di politica economica l'IdV rischia di restare né carne né pesce, il suo consenso destinato a svanire non appena il PD, o qualcun altro nel centrosinistra, smetterà di comportarsi come un pugile suonato e inizierà a fare politica sul serio.

Non abbiamo notizie riservate su quello che sta avvenendo nel partito, conosciamo solo ciò che è pubblico, ma da alcuni segnali traspare che i vertici del partito siano coscienti dell'opportunità di un approfondimento e rinnovamento programmatico e ideale. Prima delle elezioni c'è stato lo shopping tra gli intellettuali del centrosinistra. Dopo le elezioni c'è stato l'annuncio che il nome di Di Pietro sarebbe stato tolto dal simbolo del partito (vedi però anche questo articolo critico de Il Giornale).

Dove porterà questo cambiamento nei simboli e nei riferimenti culturali è difficile dire. Mi concentrerò pertanto sull'analisi della elaborazione di politica economica. La novità principale qui è la creazione del Centro Studi Folder (Forum liberal-democratico per le riforme), un centro legato al partito che ha prodotto alcuni documenti di un certo interesse. Poiché tali documenti sono importanti per capire quale direzione potrà prendere il partito, dedicherò al FOLDER un post a parte. In questo post invece compio un'analisi preliminare della collocazione ideologica e sociale dell'IdV.

La collocazione ideologica dell'IdV

L'IdV è sempre stato un partito di difficile collocazione ideologica. Nel Parlamento Europeo i membri dell'IdV aderiscono all'ALDE, l'alleanza liberale-democratica. A tale alleanza fanno riferimento, tra gli altri, il partito liberale tedesco e quello britannico. Si tratta quindi, sull'asse tradizionale destra-sinistra, di una collocazione centrista. Va detto comunque che nel precedente parlamento europeo la lista IdV, o Di Pietro-Occhetto, come allora si chiamava, aveva un solo deputato (ne aveva eletti due ma Giulietto Chiesa, alla fine, andò nel gruppo socialista). È solo in questa legislatura quindi che l'IdV potrà mostrare in modo significativo le sue credenziali liberal-democratiche a livello europeo.

La provenienza dei parlamentari IdV è assai varia. È noto a tutti che, nel passato, Di Pietro ha imbarcato nel partito alcuni personaggi che, come dire, gli hanno in seguito dato dispiaceri. Questa varietà è sia una forza sia una debolezza. La debolezza viene ovviamente dal fatto che, al di fuori del tema unificante della giustizia, il partito rischia di apparire ondivago e privo di linea precisa. La forza sta, altrettanto ovviamente, nel fatto che il partito può potenzialmente allargare il proprio consenso al di fuori dei recinti tradizionali del centrosinistra. Un recente articolo di Filippo Facci sul Giornale, significativamente titolato ''Nessuno ha capito quant'è pericoloso Tonino'', sottolinea questo punto. Nell'articolo si afferma:

 

L’Italia dei Valori è un partito di centro la cui espansione elettorale nell’area moderata è stata valutata sino al 30 per cento, questo prima che raddoppiasse o quadruplicasse i voti alle Europee; prima cioè di un eventuale effetto trascinamento, prima che un neo conformismo possa farlo diventare, come fu, volano di se stesso. Il centrosinistra Di Pietro lo sta già divorando a porzioni da camionista, ma punta anche a voi che leggete, amici del Giornale: perché già lo sosteneste. È stato il centro del Paese che gli ha consentito di fare Mani pulite e che poi si è stancato e l’ha spinto a dimettersi; solo l’eterno «centro moderato» in Italia, permette paradossalmente di fare la rivoluzione.

 

In assenza di dati più chiari è difficile dire quanto il pericolo paventato da Facci sia reale e quanto l'IdV possa effettivamente catturare dell'elettorato di centrodestra, ma ciò che è certo è che nessuno si sognerebbe di scrivere che il PD ha qualche speranza, almeno allo stato attuale, di sfondare al centro.

Riassumendo, la situazione sembra essere fluida e le scelte di politica economica saranno probabilmente determinanti nel dare al partito una connotazione ideologica più precisa. L'IdV può cercare di far leva sulla sua collocazione liberale a livello europeo per allargare al centro i propri consensi, oppure può caratterizzarsi, sostanzialmente, come una copia del PD in termini di politica economica. Per capire quali scelte è più probabile vengano compiute è utile guardare al tipo di consenso che l'IdV ha finora raccolto.

La collocazione sociale e geografica dell'IdV

L'IdV è anche difficile da connotare socialmente e territorialmente. Da una lato, la sua crescita è un fenomeno recente e non sappiamo ancora quanto del consenso ottenuto alla scorse elezioni politiche ed europee si trasformerà in consenso stabile. Dall'altro, dalle poche informazioni che abbiamo l'IdV sembra avere un profilo di consensi abbastanza eterogeneo e interclassista. La distribuzione territoriale è ovviamente la più facile da analizzare, visto che possiamo usare i dati elettorali. Dopo le ultime elezione europee ho riportato i dati IdV a livello regionale. A parte il forte consenso in Abruzzo e Molise, chiaramente legato all'effetto ''favorite son'', il consenso all'IdV risulta più omogeneo di quello degli altri partiti, anche se vi è una chiara accentuazione del consenso al Sud (con l'importante eccezione della Sicilia). L'analisi fatta da Demos a livello provinciale, essendo a un livello maggiore di disaggregazione, mostra maggiore variabilità.

Si noti, a conferma della relativamente scarsa eterogeneità territoriale, che vi è una sola provincia (Agrigento) in cui il risultato è inferiore alla metà della media nazionale.

I dati sulla distribuzione sociale sono ovviamente meno buoni. La fonte migliore che ho trovato è un sondaggio IPSOS/Sole 24ore che fotografa le intenzioni di voto all'aprile 2009.

Non ho trovato la numerosità campionaria delle varie sottocategorie, che temo sia ridotta. Comunque, se prendiamo per buoni questi dati, osserviamo che l'IdV soffre al pari del PD di un deficit di consenso tra i lavoratori autonomi. Fa invece comparativamente meglio del PD tra operai e casalinghe: per queste categorie il voto IdV è maggiore o uguale alla media nazionale, mentre è nettamente inferiore per il PD. Nella categoria impiegati/insegnanti sia il PD sia IdV fanno meglio della media, ma per l'IdV il miglioramento è più forte sia in termini assoluti sia in termini relativi. Il PD invece fa comparativamente meglio tra i pensionati, dove supera nettamente la media nazionale, mentre l'IdV è al di sotto (anche se non di molto). Sintetizzando, mi pare di poter dire che l'IdV soffre meno del PD nella raccolta del consenso tra i ceti popolari, mentre soffre al pari del PD tra i lavoratori autonomi.

Interessanti sono anche i dati per livello di istruzione.

Valgono anche qui le cautele sull'ampiezza campionaria e sulla significatività dei dati. Comunque, prendendo per buoni questi numeri, osserviamo nuovamente una notevole omogeneità del consenso tra i diversi livelli d'istruzione, con l'unica differenza dei laureati. Le percentuali ottenute tra coloro che hanno licenza elementare, licenza media o diploma sono tutte molto vicine alla media nazionale. L'IdV si mostra estremamente più forte della media tra i laureati, che comunque è la categoria in cui il centrosinistra nel suo complesso raccoglie i maggiori consensi.

Quali conclusioni si possono trarre da questa analisi? Credo, sostanzialmente, che l'unica conclusione possibile sia che al momento la configurazione del consenso territoriale e sociale non pone grosse restrizioni alla direzione che l'IdV potrà intraprendere in futuro. In altre parole, nel processo di sviluppare una posizione più approfondita e coerente di politica economica l'IdV sembra essere meno vincolata degli altri partiti dalla necessità di mantenere il consenso di particolari ceti sociali o zone geografiche.

Grosso modo, mi pare che l'IdV abbia davanti due strade. La prima è quella di adottare, per quanto riguarda la politica economica, le posizioni e il linguaggio tradizionali della sinistra. Quindi: difesa del settore pubblico, difesa del regime vincolistico nel mercato del lavoro, enfasi sulla riduzione dell'evasione piuttosto che sulla riduzione delle tasse e della spesa, eccetera. Questo servirebbe ad espandere il consenso cannibalizzando il PD e quel che resta della sinistra estrema, in particolare tra i dipendenti pubblici e i pensionati.

La seconda è quella di cercare di espandersi nelle zone e tra i ceti in cui il centrosinistra è attualmente sottorappresentato. Dal punto di vista geografico questo significa soprattutto Lombardia e Veneto, mentre dal punto di vista sociale questo significa soprattutto il mondo del lavoro autonomo e della piccola impresa. Se si persegue tale scelta, l'impostazione di politica economica dovrebbe porre maggiore enfasi sulla riduzione della spesa pubblica e del prelievo fiscale e sulla necessità di liberalizzare i mercati.

Dal punto di vista della stretta convenienza politica per l'IdV, entrambe le alternative hanno vantaggi e svantaggi. Per quanto riguarda la prima alternativa, il principale vantaggio è la sua semplicità e il fatto che può dare risultati immediati, sfruttando lo stato di crisi in cui al momento versano sia il PD sia le formazioni di estrema sinistra. Il principale svantaggio è che tale strategia non allarga il consenso del centrosinistra, quindi non contribuisce alla riconquista del governo. Anche in caso di successo di tale strategia, l'IdV si troverebbe a essere un partito medio-grande ma condannato all'opposizione.

Per quanto riguarda la seconda alternativa, i vantaggi e gli svantaggi sono speculari. Se effettivamente l'IdV riuscisse a sfondare al centro, come paventato da Facci, o più esattamente se riuscisse a sfondare nel mondo dei lavoratori autonomi e della piccola impresa, sarebbe in grado di riconquistare il governo. Non solo, in un futuro governo di centrosinistra l'IdV avrebbe una posizione determinante, dato che otterrebbe il consenso dell'elettore mediano. D'altra parte, questa è una strategia molto più difficile ed incerta della precedente. In primo luogo, non è affatto scontato che i lavoratori autonomi credano a eventuali promesse dell'IdV di riduzione delle tasse. A parte la difficoltà di far credere che queste sono le vere intenzioni del partito, vi è la difficoltà addizionale che deriva dal fatto che, a meno di exploit al momento poco probabili, l'IdV sarà comunque il partner minore in un governo di centrosinistra. Quindi il cittadino che decide di dare consenso all'IdV, deve non solo credere che l'IdV opererà attivamente per una riduzione della pressione fiscale ma anche credere che la sua voce prevarrà all'interno di un governo di centrosinistra che invece ha altre priorità. In secondo luogo, credo vi sia un serio problema di elaborazione culturale. Una scelta di tipo effettivamente liberale in politica economica richiede in molti casi di ripensare e rivedere luoghi comuni e modi di pensare che sono estremante diffusi nel ceto politico italiano, sia di destra sia di sinistra. Questo contribuisce a rendere la scelta più difficile.

Ma cosa sta succedendo nell'IdV in termini di elaborazione di politica economica? Affronto questo tema nel secondo post.

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Commenti

Ci sono 5 commenti

ma siamo sicuri che l'IDV sia un partito di Centro-Sinistra e che il suo elettorato sia di Centro-Sinistra? Per me, di certo, c'è solo che è anti-berlusconiano sia il partito sia l'elettorato.

 

ma siamo sicuri che l'IDV sia un partito di Centro-Sinistra ecc ..

 

Di certo, su nFA, c'è solo la morte (molto futura). Tutto il resto - incluse chiaramente le tasse! - è oggetto di eterna discussione ...

Qualcuno a me non lontano sostiene, da tempo, che il partito che il medesimo qualcuno (che non son io, almeno al momento) voterebbe dovrebbe avere come leaders Fini e Di Pietro ... vedi un po' tu!

Rispondo separatamente per il partito e per l'elettorato.

Il partito.

La collocazione politica attuale dell'IdV è nel centrosinistra. Qui per politica intendo in senso stretto il sistema di alleanze. Di Pietro è sempre stato però un membro riluttante della coalizione. Nel 2001 andò alle elezioni da solo anche per la parte uninominale sia alla camera sia al senato, aiutando in modo determinante la vittoria del centrodestra. D'altra parte, nel 2006 e nel 2008 è stato membro organico dell'alleanza di centrosinistra alle elezioni politiche ed è quasi ovunque alleato al centrosinistra negli enti locali. Ora la situazione è fluida. Quando si è all'opposizione i vincoli di coalizione contano poco e ciascun partito ha interesse ad acquisire visibilità e sottrarre consensi ai propri alleati, che è esattamente quello che Di Pietro cerca di fare costantemente e che farebbe anche il PD se funzionasse come un partito vero e non fosse occupato nelle lotte intestine. Visto che il sistema elettorale resterà quello che è, al momento mi pare che la previsione più sensata sia che alle prossime elezioni PD e IdV  (e probabilmente qualcun altro) si presenteranno coalizzati. Questo a meno che non decidano che tanto perderanno comunque, nel qual caso potrebbero andare separati.

La collocazione ideologica del partito è fluida. Come ho cercato di spiegare nell'articolo, al momento nell'IdV c'è un po' di tutto e sulla politica economica ci sono un sacco di aree di ambiguità. Lascio poi da parte la vexata questio di cosa significhi essere di destra e di sinistra, cosa su cui ho zero certezze, che sennó facciamo notte e non ci leviamo più le gambe.

L'elettorato.

È senza ambiguità di centrosinistra, almeno allo stato attuale. Nelle ultime elezioni europee l'IdV è stata chiaramente la maggiore beneficiaria dei flussi in uscita dal PD. Questo si vede un po' ''a occhio nudo'', semplicemente guardando alle percentuali della somma PD+IdV+Radicali. Ma se vuoi un'analisi più sofisticata ti puoi guardare questa pubblicazione dell'Istituto Cattaneo. Il pezzo di Facci riportato nel post suggerisce che l'IdV abbia potenzialità di espansione oltre il tradizionale elettorato del centrosinistra. Anche la sua eterogenea collocazione sociale ed ideologica suggerisce che questo sia possibile. Però al momento questa espansione oltre il centrosinistra non si è materializzata. Se si materializzerà in futuro dipende, tra le altre cose, dalle decisioni che il partito prenderà.