Uscita dall'euro, svalutazione, ripresa. Riflessioni dopo un week end di dibattiti

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Abbiamo passato (parte de) il week-end 8/9 novembre a Pescara, ospiti di Alberto Bagnai (il quale è stato un molto cortese e grazioso padrone di casa e che ringraziamo qui pubblicamente sia per la disponibilita' al confronto che per l'ospitalita' dataci) per contribuire a due dibattiti sul noto tema "Euro & Europa". Facciamo qui alcune riflessioni su quanto appreso evitando (fino all'ultimo) di "entrare in politica" o di dare opinioni su svariati soggetti coinvolti nell'impresa che Bagnai sembra dirigere. Ci atteniamo, nei limiti del possibile, alla sostanza economica della questione "Benefici per l'Italia dall'uscita da Euro ed Europa". 

Nonostante il tema del meeting di Pescara fosse abbastanza generale si è finiti, almeno nelle due sessioni a cui abbiamo contribuito, a parlar solo di uscita dall'Euro, dei supposti guadagni che questo garantirebbe all'Italia, delle colpe della Unione Europea e così via. Sembrava, in particolare, che tutti i partecipanti (da Bagnai all'ultimo dei seguaci, passando per gli adepti illustri Alemanno-Bertinotti(?)-Fassina-Meloni-Salvini) fossero convinti del fatto che la continua recessione italiana (13 trimestri, and counting) si debba praticamente tutta al "vincolo Euro/Europa". Date le premesse impossibile parlar d'altro che di Euro, purtroppo.

Il modello di Alberto Bagnai e le sue previsioni

Il dibattito a cui ha partecipato Francesco (pomeriggio del giorno 8/11) verteva sulle predizioni del modello econometrico elaborato da Alberto Bagnai (AB  da ora) e collaboratori e che era stato usato, nell'occasione, per simulare gli effetti di una uscita dell'Italia dall'Euro ed un ritorno alla Lira.  ll modello è di media grandezza (una trentina di equazioni stocastiche e un centinaio di identità contabili), simile a quelli utilizzati nei centri studi di banche centrali e ministeri economici sino alla fine degli anni '80. Questi modelli sono spariti dalla ricerca accademica da almeno 30 anni a causa dei limiti metodologici che li affliggono: essi ignorano, infatti, la risposta degli agenti economici (imprese e famiglie) ai cambiamenti di politiche (si legga il commento (c), sotto, per qualche spiegazione in piu). In ogni caso, va riconosciuto ad AB che, almeno, mette per iscritto e in forma trasparente le proprie ipotesi,  il che permette di valutare da cosa egli pensi possa derivare il benefico effetto del ritorno alla lira. Molto meglio questo che le chiacchiere vuote dei politici che ne hanno adottato le teorie o degli sproloqui di alcuni suoi compagni di viaggio.

In sintesi il modello di AB simula una fuoriuscita dell'Italia dall'euro accompagnata da due mosse di politica economica: (i) una svalutazione della rinata lira del 20% rispetto alle valute dei partner commerciali più importanti e, (ii) un aumento della spesa pubblica (consumi intermedi, per circa  1% del PIL) congiunto a un aumento del 5% degli occupati pubblici (che implicherebbe un ulteriore mezzo punto di PIL di spesa). Nella simulazione di AB queste politiche accrescono il PIL di circa l'1,5% nell'anno della svalutazione, per poi ritornare sul trend (terminando quindi lo stimolo alla crescita) nell'arco di circa 3 anni. La crescita del PIL avrebbe un effetto positivo sull'occupazione del settore privato (circa mezzo milione in più di occupati) e un modesto effetto sull'inflazione, che salirebbe del 3% annuo dai suoi valori di stato stazionario. Il rapporto debito/PIL scenderebbe (di circa 10 punti rispetto allo scenario di previsione del FMI) mentre i salari reali si ridurrebbero di circa 5 punti percentuali in 5 anni come conseguenza della maggiore inflazione e dell'accresciuto costo delle importazioni. 

Le osservazioni critiche di Francesco

I commenti di Francesco (FL da ora) sono cosi riassumbili (slides scaricabili qui):

a) La simulazione è condotta sotto l'ipotesi che l'uscita dell'Italia dall'euro non abbia ripercussioni sui tassi di interesse a lunga del debito pubblico (che in termini reali, nella simulazione di AB, addirittura si riducono leggermente). La simulazione postula inoltre che il debito venga ridenominato in (nuove) lire creando di fatto un default parziale (pari alla svalutazione della Lira) per tutti i detentori che vogliano essere rimborsati al valore facciale in euro del debito (la questione giuridica, peraltro complessa, darebbe origine a infinite dispute forensi). Non sono considerate le ripercussioni (potenzialmente micidiali) che tale manovra avrebbe sulla solidità patrimoniale degli intermediari finanziari.

Quanto sono verosimili queste ipotesi? Le recenti esperienze dei nostri vicini in odore di default (Grecia e Portogallo) hanno fatto registrare impennate impressionanti dei tassi di interesse reali. Sarebbe probabilmente più verosimile ipotizzare che l'uscita dall'Euro si accompagnasse a una chiusura del mercato dei capitali verso l'estero (una tassa sui risparmiatori italiani). Un'ulteriore complicazione potrebbe essere l'insorgere di una "crisi finanziaria sistemica'': l'uscita dell'Italia potrebbe scatenare la rottura di tutta l'architettura euro, con conseguenze sul commercio e, soprattutto, sui bilanci degli intermediari finanziari italiani, i cui stati patrimoniali non sono floridi. Un'ulteriore perdita di valore dei titoli sovrani detenuti nel portafoglio delle nostre banche porterebbe, verosimilmente, a un congelamento del credito.  Come discusso altrove in questi casi di solito si manifestano grandi recessioni (intorno al -10% del PIL nell'anno della crisi).   

b)  A parte le ipotesi rosee sul contesto di contorno, i risultati riflettono l'ipotesi di un moltiplicatore fiscale piuttosto alto (intorno a circa 2).  Le stime del moltiplicatore fiscale sono incerte e controverse, ma per la  maggioranza degli studi empirici il valore usato da AB è tra i piu elevati.  Inoltre, nel modello di AB la svalutazione ha effetti atipici: essa riduce i consumi reali ed il PIL (questi gli effetti di una svalutazione dell'euro (senza rottura dell'unione) discussi nella versione preliminare del paper di AB). Nella simulazione tali effetti negativi vengono compensati dalla grande espansione di spesa pubblica finanziata a debito. Interessante anche osservare come la simulazione preveda che la manovra conduca a una netta riduzione dei salari reali. Questa previsione accomuna il modello di AB alla maggioranza dei modelli di commercio internazionale moderni, in cui le conseguenze reali di una svalutazione del cambio nominale possono essere replicate (a saldo di bilancio invariato) da una "svalutazione fiscale'', per esempio riducendo le imposte sul  lavoro e aumentando l'IVA sui consumi dei residenti. I modelli di economia aperta  mostrano che la svalutazione è, nei fatti,  un sussidio all'export  finanziato da una tassa all'import. Il cambio nominale non è l'unico modo per implementarla, se proprio la si desidera (si veda il paragrafo sulle "svalutazioni fiscali", qui).  L'altra caratteristica che accomuna il modello di AB alle analisi moderne è che l'effetto della svalutazione è temporaneo. A differenza delle storie che si raccontano nei comizi, in TV o su Twitter, l'omogeneità nominale del modello richiede che necessariamente l'effetto della svalutazione svanisca nel giro di qualche tempo. Nessuna magia quindi: se svalutare fosse davvero l'unico modo che l'Italia ha per crescere, uscendo dall'euro imboccheremmo la strada delle svalutazioni ripetute.

c) I grandi modelli econometrici  simili a quello discusso da AB sono scomparsi dalla ricerca accademica (e, in quella forma, dalle banche centrali) in seguito ad un grande fallimento empirico: quello di non poter dar conto della stagflazione degli anni '70, e della conseguente "scomparsa" della curva di Phillips.  Le ragioni di questa discrepanza sono note: questo tipo di modelli utilizza relazioni di forma ridotta che non dipendono dal tipo di politica economica adottata. Per esempio, in un mondo in cui l'inflazione è bassa, gli agenti detengono molti titoli nominali e non indicizzano i salari al tasso di inflazione. Ma è ingenuo ipotizzare, come questi modelli fanno, che i comportamenti rimarrebbero gli stessi se  si passasse a un regime di alta inflazione. I modelli macroeconomici costruiti dai primi anni 80 in poi fanno dell'interazione tra politiche e reazioni di consumatori (imprese e banche) il fulcro dell'analisi. Poiché questo comporta un aumento delle esigenze computazionali, la scala dei modelli (numero di equazioni e numero di fattori stocastici coinvolti) è stata drasticamente ridotta a poche equazioni. I modelloni stile AB, comunque integrati da qualche forma di "risposta allla policy da parte degli agenti'',  rimangono in uso presso le istituzioni di policy dov'è necessario fare previsioni coerenti (nel senso della contabilità nazionale) per molti aggregati, come succede al Tesoro quando si prepara la legge di bilancio (a questo servono le molte identità contabili). Ma conoscere questi modelli vuol dire in primis capirne i limiti, e le condizioni di uso appropriato:  essi sono al massimo buoni per previsioni economiche che riguardano piccole variazioni di breve termine intorno alla "norma'', cioe al comportamento e alla politica economica seguite sino ad allora. Utilizzare un modello così fatto per studiare le conseguenze di un grande cambiamento  strutturale, come l'uscita dell'Italia dall'euro e la probabile crisi sistemica descritta al punto (a) equivale, per usare le parole dello stesso AB, a fare ipotesi eroiche. Un po' come assumere che il comportamento degli uccellini sul balcone non dipenda dalla presenza del gatto.

d) Nel preparare la discussione FL ha ricevuto diversi aggiornamenti del lavoro di AB, come spesso succede quando un paper è ancora in fase di preparazione. Piccoli cambiamenti delle politiche economiche ipotizzati nelle diverse versioni parevano implicare grandi differenze nei risultati rispetto alla crescita degli occupati o ale variazioni del rapporto debito/PIL. Tutti i modelli sono per natura incerti. Tuttavia quantificare l'incertezza intorno alle previsioni sarebbe utile, per dare ai lettori un'idea di quanto siano affidabili.

Cercare di valutare con precisione le opzioni sul tavolo, incluso il possibile abbandono dell'euro, o la rinegoziazione del debito pubblico, è un esercizio utile. Sarebbe sbagliato considerare l'attuale situazione come una camicia di forza dalla quale non si può uscire: come i matrimoni, le unioni monetarie nascono con l'idea di durare per sempre ma a volte finiscono anzitempo, ed è utile che esista questa opzione (come nel paper 2006 di Fuchs e Lippi , che formalizza la formazione di un'unione monetaria, e la possibile successiva rottura,  in un modello dinamico). Le risposte che oggi possiamo dare sono parecchio incerte, è bene riconoscerlo. L'analisi degli episodi di default sovrani  (anche parziali)  suggerisce che un'eventuale uscita non sarebbe una passeggiata, come nel modello di AB, ma sarebbe accompagnata da un ulteriore notevole inasprimento della recessione. Potrebbe ancora essere la cosa migliore da fare: se il paese riconosce di poter competere solamente con l'Europa dell'Est è bene adottare subito salari da Europa dell'Est, non vi pare? Due o tre svalutazioni così e, nel giro di un decennio circa, il gioco è fatto.

Quanto, della stagnazione, è dovuto all'euro?

La seconda parte della discussione di FL si chiede quanto sia sensato attribuire al cambio fisso rispetto ai paesi dell'area euro la grave situazione economica dell'Italia di oggi. Innanzitutto l'analisi dei dati sulla crescita mostra che il nostro è un problema strutturale, non ciclico: la bassa crescita italiana comincia nei primi anni 90, quando ha inizio una stagnazione della produttività del lavoro (prodotto su ora lavorata) che da allora non fa che aggravarsi, fino a oggi  (vedere le figure nelle slides).  Un dato straordinario è che la stagnazione  della produttività in Italia si registra  in tutti i settori produttivi, non solo nei servizi, ma anche nel settore  manifatturiero (in questo siamo unici, anche tra i PIIGS). Tra le imprese italiane che fanno meglio in termini di produttività  ci sono proprio quelle che esportano  (e, ovviamente, non a caso esportano).  Ma un'analisi macro coerente, con moltiplicatori sensati, suggerisce che la crescita non può venire solamente dall'export.  Questi dati dovrebbero far nascere seri sospetti sull'ipotesi che il problema dell'Italia origini in gran parte da un vincolo esterno. La recessione legata all'ultima crisi finanziaria globale ha certo peggiorato le cose, ma è stata un'influenza che si è aggiunta a uno stato di salute già parecchio precario. Ne è riprova che mentre oggi molti paesi (europei e non) ricominciano a crescere, l'Italia rimane in recessione (da 13 trimestri).  Anche questi  dati  suggerirebbero di non pensare al cambio (una rigidità nominale), i cui effetti possono al più essere temporanei.  Sebbene l'identificazione delle cause  prime del declino italiano sia impresa ardua, molte analisi  puntano alle pervasive rigidità strutturali che caratterizzano il nostro paese: un sistema avverso all'attività d'impresa, un'inefficiente e pervasiva amministrazione pubblica, un sistema della giustizia che paralizza le controversie civili e ostacola la presenza di attività di ristrutturazione d'impresa, un sistema finanziario fortemente influenzato da cordate politiche e relazioni di scambio (leggi fondazioni bancarie), un cattivo sistema d'istruzione superiore e universitario ed una pessima gestione delle risorse ad esso destinate. La litania è ben nota ai lettori di questo blog, quindi non insisteremo.

Il dibattito tra Michele e  Alberto Bagnai  

D'altro canto, quello delle cause profonde del declino italiano doveva essere il tema del dibattito fra Michele Boldrin (d'ora in poi MB) e AB, avvenuto il giorno dopo, 9 novembre. Un confronto a due, moderato dal giornalista Mario Giordano, sui mali italiani e su cosa bisognerebbe fare per curarli. Riassumerlo è piuttosto complicato (potete vedervelo nella registrazione indicata nel sommario) per cui cercheremo di darne una sintesi, inevitabilmente di parte, per temi. Di temi, alla fine, ce n'è stato uno solo che era ed è quello caro all'ospite: l'Euro ci fa male ed occorre uscirne. L'argomento di AB è semplice e si articola su quattro punti:

Come Bagnai propone di fermare il declino

1) L'Euro impedisce la svalutazione dei prezzi (dei prodotti italiani sui mercati esteri) indipendentemente da quelli degli altri paesi europei, Germania in primis. Le imprese italiane hanno prezzi troppo alti (dati i loro costi, evidentemente) e non potendo svalutare i loro prezzi senza che lo facciano anche le imprese degli altri paesi europei hanno difficoltà a vendere all'estero.

2) L'Euro, via patto di stabilità e il non finanziamento del debito pubblico italiano attraverso l'emissione di moneta di una banca centrale nazionale che non esiste più, impedisce allo stato italiano di fare un deficit maggiore del 3% circa concordato con gli altri partner europei. Questo ostacola la crescita del paese.

3) Uscendo dall'Euro e ritornando alla lira i prezzi dei prodotti italiani all'estero potrebbero ridursi, via svalutazione, quando espressi in monete estere ("Euro-tedesco", Yuan, Yen, Dollaro, eccetera) e questo permetterebbe alle imprese italiane esportatrici di crescere. La loro crescita si trasformerebbe in crescita dell'occupazione e del reddito italiano.

4) Uscendo dall'Euro la spesa pubblica (finanziata in deficit) italiana potrebbe crescere maggiormente di quanto non faccia o abbia fatto sino a ora e questa addizionale "domanda interna" permetterebbe alle imprese che producono per il mercato interndo di accrescere occupazione e valore aggiunto.

Questa la "ricetta AB", crediamo onestamente riprodotta. Che dire?

Due commenti

Ancora una volta solo due commenti sono possibili. Il primo guarda all'esperienza storica italiana e non (senza andare troppo indietro nel tempo basta guardare ai risultati di Abenomics in Giappone) e conclude che la "ricetta AB" non porta da alcuna parte, anzi probabilmente continua ad aggravare i mali profondi che stanno uccidendo il paese. In fin dei conti la ricetta "svalutazione+spesa pubblica" l'abbiamo già vista messa in pratica da, almeno, la metà degli anni '70 in poi. Non serve riprodurre qui i dettagli delle "svalutazioni competitive" che si sono susseguite da allora sino al 1993 né, tantomeno, è il caso di riportare di quanto la spesa pubblica (finanziata in deficit, con conseguente aumento del debito) sia cresciuta da allora. I risultati sono quelli che tutti hanno davanti o, a voler essere fiscali, avevano davanti sino all'adozione dell'euro. Un paese con un debito pubblico enorme ed una crescita del PIL asfittica e senza dubbio incapace di sostenere il peso del debito stesso tanto da arrivare quasi, nel 1992, al default ed alla crisi finanziaria. Dalle orrende conseguenze della quale venne salvata, nel bene e nel male, proprio dalla prospettiva di adottare l'Euro! Questo per quando riguarda ciò che storia e teoria economica insegnano.

Sulla credibilità e fattibilità concreta oggi della proposta di "svalutazione cum spesa extra", il secondo commento possibile, abbiamo già detto a iosa più sopra illustrando la discussione tecnica che FL aveva svolto il giorno precedente. La quale, a nostro avviso, non lascia spazio a dubbi: trattasi, nella migliore delle ipotesi, di cerotto di brevissimo periodo e, nella peggiore, di salto nel buio dalle conseguenze probabilmente drammatiche. 

La probabile contro-risposta di AB

A questa osservazione AB risponderebbe, non ricordiamo lo abbia fatto ma lo facciamo noi, che comunque un minimo di crescita si ottenne durante quegli anni mentre - a partire dalla metà degli anni '90, quando le parità di cambio vennero fissate in preparazione dell'entrata nell'euro qualche anno dopo - le cose sono andate ancora peggio. E questo fatto, incontrovertibile, è il vero oggetto della discussione. Siamo quindi di fronte prima ad un controfattuale:

(i) cosa sarebbe successo in Italia se a partire dal 1995-96 circa non ci si fosse indirizzati ad entrare nell'Euro,

e poi ad una previsione per il futuro:

(ii) cosa succederebbe se, per dire, nel 2015 l'Italia uscisse dall'Euro e ritornasse alla lira e a un finanziamento del deficit pubblico addizionale (e di parte del debito pubblico in scadenza) attraverso l'emissione di lire da parte di una rinata Banca d'Italia. 

Un controfattuale ed un paradosso: tanto peggio tanto meglio?

Esaminiamo qui solo la parte (i) della probabile contro-risposta di AB perché la parte (ii) e' stata discussa attentamente nella sintesi della presentazione di FL ed il verdetto, repetita juvant, è semplice: trattasi non di previsione economica ma di chimera basata su antica numerologia a cui nessuno piu' crede.

Durante il suo intervento, e in conversazioni precedenti, AB ha proposto il seguente argomento, derivato da un articolo di tre economisti spagnoli: Jesus Fernandez-Villaverde, Luis Garicano e Tano Santos. Secondo la loro analisi, l'adozione dell'euro ha "allentato" il vincolo di bilancio che la finanza pubblica dei paesi europei "deboli" (PIIGS) dovevano fronteggiare a metà anni '90. Questo allentamento ha permesso alle classi dirigenti di quei paesi di rinviare sine die le riforme strutturali già allora necessarie. Le mancate riforme hanno poi aggravato l'impatto della crisi finanziaria del 2008 su questi paesi e impedito sino a ora il loro ritorno alla crescita (eccezion fatta per l'Irlanda che alla crescita sostanziale sembra essere ritornata, guarda caso ... ah, sta succedendo anche in Spagna e forse in Grecia? Ma guarda un po' ...). 

L'argomento regge se e solo se si riconosce che questi paesi hanno ricevuto un bonus sostanziale grazie all'adozione dell'euro. Infatti noi concordiamo sia con la premessa dell'argomento (il bonus) sia con le conseguenze (limitandoci all'Italia: riforme strutturali mai fatte, proseguimento e peggioramento delle politiche precedenti) ed è proprio qui il punto che non si vuole intendere. Visto che persino AB (contrariamente a molti suoi seguaci o compari di strada) riconosce che il mega-bonus da euro è esistito (quello che qui ed altrove abbiamo quantificato fra i 500 e gli 800 miliardi di euro di interessi risparmiati) cosa dedurne? Noi ne deduciamo che uscire dall'euro potrebbe implicare l'opposto: i mercati (che, non scordiamocelo, son fatti al 70% da risparmiatori italiani) ci farebbero ripagare quel bonus con salati interessi! E a questo punto torniamo a capo: uscire vuol dire per certo una crisi immane di finanza pubblica e, forse forse, una fiammata di crescita pari a due massimo tre punti di PIL. Poi, a meno di riforme radicali e profonde, si ricomincia a declinare.

Dalla premessa, condivisa, AB deriva invece una predizione controfattuale: se l'euro non si fosse adottato il bubbone italiano sarebbe esploso ben prima, durante la seconda metà degli anni '90, e oggi saremmo in una situazione migliore! Migliore perché? Perché il dramma del default sul debito pubblico e della mostruosa recessione che lo avrebbe accompagnato avrebbero spinto gli italiani a scegliersi una classe politica altra da quella che elessero al tempo e nei due decenni seguenti, una classe politica in grado di fare le riforme mai fatte. Si noti che, anche se purtroppo non lo dice mai in pubblico, pure AB concorda su questo punto: l'Italia non uscirà mai dal suo declino di lungo periodo senza una rivoluzione istituzionale ed economica senza precedenti nella sua storia. Solo che, lui dice, le riforme si farebbero se il vincolo diventasse drammaticamente stringente. E qui diventa evidente il paradosso.

Da un lato si invoca un "tanto peggio tanto meglio" che, declinato al passato ha ovviamente l'effetto psicologico di illudere i fedeli i quali sono portati a sognare una catarsi che, avendo potuto accadere nel passato, riverbera sul presente solo i suoi (improbabili) effetti benefici (le mitiche riforme adottate under duress) permettendo di rimuovere il fatto che da catastrofi economiche di quel tipo è sempre uscito di peggio e non di meglio a meno di interventi esterni (la troika avrebbe dovuto occuparsi ed occupare l'Italia 20 anni fa, AB? Perché certo BS e Prodi quelle riforme tanto agognate non le avrebbero comunque introdotte!). Insomma, una fiaba di espiazione (i cui costi oggi non sono percepibili) e redenzione (tanto improbabile, alla luce della classe politica che l'Italia aveva allora ed ha oggi), quanto comprensibilmente agognata.

Dall'altro si sostiene che fare oggi l'opposto di allora (uscire dall'euro e così via) non avrebbe oggi i costi drammatici che avrebbe avuto allora (rendere il vincolo di bilancio drammaticamente stringente, forzare un default o una monetizzazione massiccia del debito, chiudere il flusso di credito e capitale all'economia nazionale, eccetera) ma solo benefici. I quali benefici, ritorniamo alla discussione di FL, sono tanto imprecisi e di breve periodo quanto altamente improbabili. Stiamo girando in tondo.

Infine ...

A questo punto la discussione fa cortocircuito, come la registrazione del dibattito fra AB ed MB crediamo provi. Perché, ed è qui il dramma, né AB, né chi lo segue, né, soprattutto, chi cavalca politicamente questa fantasia, ha alcuna intenzione di dire chiaramente agli italiani che, svalutazione o no, senza drammatici, dolorosi e lunghi cambiamenti strutturali da questa situazione non se ne esce. E allora diventano rilevanti i tre mali che MB ha elencato in apertura del dibattito rispondendo alla domanda di Mario Giordano. Che sono (1) la profonda ignoranza che permea la società civile italiana, in generale e sulla situazione economica in particolare; (2) la conseguente ed antica tendenza a credere in fantasie, cospirazioni, bugie ed affermazioni tanto roboanti quanto demenziali nello stile "perfida Albione", "posto al sole", "spezzeremo le reni", "un milione di posti di lavoro" ... e, finalmente, (3) lo stato e la classe politica italiana che sul trinomio ignoranza-menzogne-credulita' continua a costruire il proprio potere guidando il paese ad un declino che, occorre cominciare a dire, la grande maggioranza degli italiani sembra essersi scelto. 

It's politics, stupid.

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Commenti

Ci sono 133 commenti

Sul punto che "Bagnai non ha usato i modelli post 70s" la critica è semplice. Quei modelli hanno fallito miseramente nel prevedere la crisi, quindi neanche quelli sono un granché. Detto ciò il resto della critica mi sembra fin troppo fondata. Mi pare di capire peraltro, correggetemi se sbaglio, che il modello non tenga conto del fatto che una parte non piccola dei debiti esteri non è sotto legislazione italiana e quindi non verrebbe rinominata. Le stime divergono ma Nordvig calcola almeno 500 miliardi solo in bond (o forse addirittura 800) di cui la metà in euro. Poi vanno aggiunti i saldi target2 ed eventuali altri debiti di diversa natura. E' per vero che alcuni italiani ci guadagnerebbero, che bisogna vedere la composizione dei portafogli, ecc. ma appunto sono tutte incognite. Certo si potrebbe fare un grande esproprio capitalista (non proletario) ai danni di chi ha speculato bene e a favore di chi ha speculato male, ma la vedo dura... nel frattempo quelli che ci hanno guadagnato temo si saranno messi al sicuro. 
Devo dire che Nordvig è molto più guardingo su questi temi, infatti i suoi paper iniziano dicendo che la fine dell'euro non ha precedenti storici e conclude dicendo che l'uscita di un singolo paese avrebbe l'effetto di "sbucciare la cipolla" dell'eurozona provocando potenzialmente una catastrofe per tutti. La sua soluzione non è "uscire dall'euro" la "ridefinire l'unione monetaria" ovvero tornare allo SME e lasciare una parte di debiti in Euro/ECU il che però ha evidentemente un costo. 

 

Mi pare di capire peraltro, correggetemi se sbaglio, che il modello non tenga conto del fatto che una parte non piccola dei debiti esteri non è sotto legislazione italiana e quindi non verrebbe rinominata. Le stime divergono ma Nordvig calcola almeno 500 miliardi solo in bond (o forse addirittura 800) di cui la metà in euro.

 

marcodivice riporta qui panizza che , citando edlen, indica in circa il 2% del debito l'ammontare emesso sotto giurisdizione estera. cioè non più di 44 miliardi, importo che un qualunque matteorenzi sicuramente  si direbbe capace di maneggiare con facilità. come ordine di grandezza, 500 miliardi potrebbe essere il debito detenuto da soggetti esteri, che è tutt'altra cosa.

ripeto la mia perplessità: il default dell'italia, interno od esterno, parziale o totale, sul capitale o sugli interessi, è cosa di cui preoccuparsi per via dell'aspetto legale? non è che per gli importi in gioco dovrebbero interessare molto di più gli sconvolgimenti economici conseguenti?

  Il poco spazio evidentemente mi ha impedito di spiegarmi.   Nelle scienze, incluse quelle sociali, non si butta un modello quando non prevede bene. Questo accade sempre (pensi al meteo). Si licenziano forse i geologi quando arriva un terremoto? (lasciamo stare ironie su l'Aquila...).  I modelli si cestinano quando si riesce a costruirne uno migliore (sempre imperfetto, ma meno peggio).  Il fatto di usare modelli (tipo pre-70)  in cui le i comportamenti (ovvero le relative equazioni)  non dipendono dalle  politiche,   e'  cosa oggi facilmente risolvibile, e anche assai utile per capire come funziona la politica economica, in cui spesso l' effetto su aspettative (via annuncio e future politiche attese, pensi alla tassazione)  e'  cruciale.   Per questo i vecchi modelli sono  scomparsi. E'  stato un importante  passo avanti del metodo  di analisi.  A differenza di quanto molti  dicono (senza sapere  cio di cui parlano evidentemente) la questione di metodo e' fondamentale e  indipendente da quello  che nel modello risultera  essere  una "buona politica" (esempio: quanta  spesa pubblica,  quante tasse,  quanta  inflazione, etc).  

 

"(la troika avrebbe dovuto occuparsi ed occupare l'Italia 20 anni fa, AB? Perché certo BS e Prodi quelle riforme tanto agognate non le avrebbero comunque introdotte!)." La risposta per me è SI'; se dobbiamo sognare una storia alternativa a quella fattuale, sogno, nel 100° anniversario della grande guerra, che gli americani non sono intervenuti, che non abbiamo "Addio alle armi", che, dopo Caporetto, i tedeschi ci hanno colonizzato e siamo tutt' ora loro colonia, senza nessun organo istituzionale nostro; sogno che la vittoria tedesca abbia tranciato le gambe in sul nascere a quei folli in camicia bruna che hanno fatto altri milioni di morti. Ma perchè un popolo cresciuto servo per secoli, che mai ha fatto una rivoluzione pur avendone avuto mille occasioni, dovrebbe essere diverso da come lo descrive MB ?

Davvero complimenti per l'articolo. Tocca tutti i punti cruciali che, tra incompetenza, faziosità, estremismo ideologico o tornaconto politico, molti persone si ostinano a non voler leggere. In particolare si sottolinea giustamente la distinzione tra crescita strutturale (che è “IL” problema italiano, e con il quale l'euro non c'entra un tubo, e che dovrebbe essere al centro sia del dibattito pubblico sia dell'azione di governo) e crescita ciclica (la cui uscita dall'euro potrebbe nel migliore possibile degli scenari accelerare solo per qualche trimestre, o potrebbe molto piu’ probabilmente trasformare in un ulteriore pesante recessione via stress del sistema finanziario italiano ed europeo). Certo i personaggi in cerca di autore di cui AB si è circondato, e che troviamo una sera si e l’altra pure in TV a raccontare stupidaggini economiche (addirittura accompagnandole con improbabili “guarda che tutti i premi nobel del mondo dicono che è cosi”), di certo non aiuta.

Ancora complimenti e, per quanto immagino abbiate la sensazione di parlare al vento quando venite invitati in convegni come quello di Pescara o in trasmissioni TV, vi prego di non arrendervi..:-)

" per fortuna che vi abbiamo fatto studiare!"  avrebbe detto mio nonno ad entrambe le parti. però usando toni molto diversi :-)

Infatti io continuo a pensare che cercano di risolvere un problema strutturale con la politica monetaria...

E poi mi chiedo ma è davvero possibile azzerare le mie inefficenze agendo solo nominalmente sul cambio ? Posso farlo nel medio-lungo periodo ? Per quanto tempo funzionano le svalutazioni competitive ? 

P.S. chiedo ai grandi capi un post sul giappone e l'attuale situazione... 

P.S. 2 Correva l' anno 2003 le raccomandazioni sono a pagina 9 molto attuale  books.google.it/books?isbn=9264105123



Un rapido commento ad un articolo obiettivamente ben fatto.

 

  1. 1. Le equazioni econometriche moderne non sembrano funzionare un granché meglio, vedi figuracce a ripetizione dei forecast FMI e UE. Lasciamo stare le equazioni quindi.

  2.  2. I politici del Sud Europa ci girano intorno abilmente da anni ma le riforme nelle attese dei mercati devono ottenere solo tre risultati: a) ridimensionare il welfare, b) segare un pezzo di stato e darlo ai privati, c) ridurre i salari. Il tutto in funzione dell'aumento di business opportunities. Il resto è poesia.

  3. 3. Mi pare si giri intorno alla questione principale: i cittadini hanno uno spiccato senso della giustizia e punirebbero duramente qualunque scelta di riforma non sostenuta da una crisi pesante. In questo senso stiamo temporeggiando da anni, l'energia potenziale si accumula, a breve temo un violento redde rationem con attacco speculativo scatenato dal Soros di turno.

4. Parlare di euro-exit è fuorviante e sinceramente puzza di straw-man. Solo un irresponsabile puo' parlare seriamente di saltare fuori da soli dalla barca, ci massacrerebbero a morte sia gli ex-amici che i nemici. Sarebbe un gang-bang storico. La sola soluzione ragionevole in discussione è l'euro-dissoluzione consensuale e programmata su un arco di tempo ragionevole (anni). E prima o poi ci arriveremo, imho.

 

 

Cordialità,

Gallus

 

non ho mai sentito parlare gli euro-exit delle conseguenze POLITICHE dell'uscita dall'euro. cioè, si pensa veramente che dopo avere svalutato e non pagato il debito con tutto ciò che questo comperterebbe sui mercati finanziari, alle imprese e banche estere ecc. in termini di default, salvataggi, aumento dei deficit e dei debiti per finanziarli i nostri partner commerciali continuerebbero comodomante a farci esportare i nostri beni nei loro mercati con la moneta svalutata? dico: a me sembra pura follia

1)Quando si parla di tasso di cambio reale ha senso vederlo nel breve periodo  ?

2) quando Bagnai parla del tasso reale di cambio, si riferisce al REEF o al tasso di cambio bilaterale Italia-Germania ? Perchè il REEF mostra chiaramente un miglioramento del tasso da parte nostra con l'azdozione dell' Euro... mentre abbiamo perso sulla germania con olanda e francia mi pare una patta, tranne che loro (francesi sub-judice) non sono crollati la differenza possono essere i consumi interni ? 

3) "Uscendo dall'Euro e ritornando alla lira i prezzi dei prodotti italiani all'estero potrebbero ridursi, via svalutazione, quando espressi in monete estere ("Euro-tedesco", Yuan, Yen, Dollaro, eccetera) e questo permetterebbe alle imprese italiani esportatrici di crescere. La loro crescita si trasformerebbe in crescita dell'occupazione e del reddito italiano." Ma questo dipende molto dall'elasticità della domanda e sopratutto dal fatto che la tua svalutazione porti ad un deprezzamento reale del cambio.

4)La questione debito svalutazione e spesa pubblica, mi sembra molto pericolosa... Se dovessimo abbandonare il 3% c'è da chiedersi, quanto bisognerebbe crescere per diminuire il rapporto debito/PIL (ammesso che ci sia l'intenzione di diminuirlo)? cosa farebbero tasso d'interesse sui titoli e inflazione? non inizierebbe una corsa persa in partenza ? se iniziamo a stampare e spendere inevitabilmente il tasso d'interesse aumenterebbe, allora AB mi pare di capire utilizzerebbe la BC per tenere bassi i rendimenti stampando altra moneta e comprando Titoli di Stato continuando a versare liquidità per la motivazione sbagliata iniziando una rincorsa impossibile ora non c'è il rischio che la speculazione ti freghi ? se ti metti l'obbiettivo di un certo rendimento sui titoli se io lo so ti demolisco no ?

Prima di arrivare ad argomentare sugli effetti della svalutazione, che leggo anche Bagnai riconosce siano al max temporanei, bisognerebbe prima affrontare il lato tecnico: come uscire dall'euro senza uscire dalla UE e la gestione del transitorio (controllo deflusso capitali, impedire al sistema bancario di collassare, leggersi gli ultimi AQR, debito in valuta estera delle imprese, ecc.ecc,ecc.). da quel che leggo ancora una volta i no€  non hanno pronunciato una sola parola al riguardo. Forse danno per scontata una dissoluzione dell'euro, cosa che se risolve il primo punto non lo fa certo col secondo che continuerebbe ad essere un probabile bagno di sangue per noi.

Leggo che accanto alla svalutazione, si vorrebbe anche un aumento della spesa pubblica. Tralasciando quisquilie quali l'alto tasso di corruzione , dato lo stato altamente disfunzionale del sistema chi assicura che una accresciuta domanda interna non si trasformi in inflazione invece che in aumento di offerta e occupazione? Perchè non cominciamo ad affrontare i problemi strutturali che sono noti da tempo? (ok, domanda retorica)

Da qualche tempo mi frulla per la testa una domanda su questa questione che provo a fare dato che sfiora l'argomento.

La cosa che si dice a riguardo della stagnazione economica dell'Italia e` che da 20 anni circa la produttivita` del lavoro e` rimasta piu` o meno la stessa. La svalutazione del 1993 (e il conseguente periodo di grande svalutazione della Lira, nel '94 un Marco arrivo` a valere quasi 1300 Lire...) ridonarono un breve impulso di crescita all'economia italiana negli anni da '95 al '98 quando appunto si entro` nell'Euro.

Da questo punto in poi sostanzialmente tutto e` rimasto fermo e quel poco che il PIL italiano e` riuscito a crescere e` stato sostanzialmente per l'aumento del numero degli occupati, in parte anche immigrati con mansioni a basso reddito. Non posso citare fonti, la mia e` piu` che altro una sintesi mentale di tante cose lette in giro in questi anni, forse sono giunto a conclusioni sbagliate.

Ora, l'Italia molto spesso ha basato parte della sua fortuna di paese manifatturiero sulle svalutazioni, come si e` detto, sfruttando il meccanismo per adeguare gli stipendi alla produttivita` che stentava a crescere, e questo e` uno degli argomenti principali dei fautori dell'Eurexit i quali sostengono che questo arresto di produttivita` sia dovuto proprio all'Euro (quando sono poco economisti) o e` dovuto ad un quando piu` complesso in cui rientra l'Euro come concausa o come come aggravante a qualche titolo.

Ma in che modo si puo` far crescere la produttivita`? Fra le varie cose mi viene in mente che servano investimenti per attivita` produttive piu` evolute tecnologicamente, con processi produttivi migliori. Certo gli investimenti non bastano, serve anche un sistema educativo che formi personale adatto (e questo non ce l'abbiamo), un sistema istituzionale e una giustizia che non scoraggino la libera impresa, infrastrutture adeguate con costi ragionevoli per supportare tutta la logistica dei vari modi di fare impresa e industria (e sappiamo dei costi dell'energia...).

Credo comunque che spostare la produzione verso attivita` ad alta intensita` di capitale e bassa intensita` di manodopera non qualificata sia sempre un fattore chiave e per fare questo servono investimenti (per definizione).

Ora, l'ingresso nell'Euro e` stato fatto anche per questo: una moneta unica e stabile rende piu` facile e piu` sicuro fare investimenti, magari internazionali, e quindi puo` coadiuvare un miglioramento della produttivita` e quindi della crescita.

Insomma, si voleva uscire dal meccanismo kafkiano delle svalutazioni che ci impedivano di poter costruire i presupposti per investimenti seri di lungo periodo in modo da rendere l'Italia un po' meno cinese e un po' piu` tedesca, ma se vediamo il risultato, nonostante i bassi interessi del primo decennio dell'Euro, sembra proprio che non si sia ottenuto quello che ci si aspettava e l'economia e` entrata in un vicolo cieco proprio dopo l'ingresso nell'Euro.

Come si potrebbe rispondere ad una tale obiezione? Come anche accennato in questo articolo, una prima osservazione e` che l'economia italiana ha iniziato ad andare male prima del '98 (e per questo si e` arrivati al quasi-default del '92). Tutto sommato quindi Euro o Lira sempre male siamo andati quindi forse non e` l'Euro il problema, ma mi pare una risposta troppo parziale.

dal 1950 al 1963 crescevamo a ritmi cinesi, e prima del 1968-69 sempre di un rispettabile 4-5% annuo. Ogni inferenza è di responsabilità dei lettori....

 

Ma in che modo si può far crescere la produttività? Fra le varie cose mi viene in mente che servano investimenti per attività produttive più evolute tecnologicamente, con processi produttivi migliori. Certo gli investimenti non bastano, serve anche un sistema educativo che formi personale adatto (..), un sistema istituzionale e una giustizia che non scoraggino la libera impresa, infrastrutture adeguate con costi ragionevoli per supportare tutta la logistica dei vari modi di fare impresa e industria.

 

:-)

 

Ora, l'ingresso nell'Euro è stato fatto anche per questo: una moneta unica e stabile rende più facile e più sicuro fare investimenti, magari internazionali, e quindi può coadiuvare un miglioramento della produttività e quindi della crescita. Insomma, si voleva uscire dal meccanismo kafkiano delle svalutazioni che ci impedivano di poter costruire i presupposti per investimenti seri di lungo periodo in modo da rendere l'Italia un po' meno cinese e un po' più tedesca, ma se vediamo il risultato, nonostante i bassi interessi del primo decennio dell'Euro, sembra proprio che non si sia ottenuto quello che ci si aspettava.

 

:-)

 

[giovanni federico, sotto] Se è per questo, dal 1950 al 1963 crescevamo a ritmi cinesi, e prima del 1968-69 sempre di un rispettabile 4-5% annuo. Ogni inferenza è di responsabilità dei lettori....

 

:-)

Proviamo dunque un'inferenzina.

Dal 1950 al 1965 nella maggior parte delle famiglie italiane ogni donna faceva 10 figli, e fino al 1969 ancora 5-8 (sarebbe interessante un grafico comparato tra la crescita economica e quella demografica, nel mezzo secolo 1950-2000. Mi aspetto una correlazione elevatissima).
E' facile avere crescita, in queste condizioni. Poi però il benessere stesso e l'alfabetizzazione hanno compresso questi trend demografici da terzo mondo, e per fortuna dico io.
Che è successo allora? Finché avemmo "sovranità monetaria", l'unico modo di essere un pochino competitivi furono le svalutazioni competitive. Non fummo capaci di spostare la produzione verso forme ad alta intensità di capitale, come bene dice lei. Il nostro tessuto di imprese rimase incentrato sulle PMI del modello italiano familiare-padronale (quello del capo-padrone-AD-CEO-tuttoio, con moglie e figli nel CDA) ultra-frammentatissimo come da età comunale. E questo ovunque, nel terziario nell'industria nel manufatturiero ma anche nei settori primario e secondario. Ancora oggi il fatturato medio annuo di una impresa AGRICOLA italiana è 37k€, contro i 184k€ delle imprese agricole tedesche (!). Come risultato, le imprese AGRICOLE tedesche realizzano complessivamente esportazioni doppie di quelle delle italiane (!!).
L'ho sentita stamani alla radio questa, non so da chi. La stupisce?
Perché? La colpa di questo eterno nanismo era della disponibilità di una via facile, si disse allora: la svalutazione competitiva prometteva risultati facili ed immediati, anche se di breve periodo, e per questo fu sempre preferita dai governi, impedendoci di imboccare l'atra via.
Poi fu l'Euro, voluto tra le altre cose proprio per creare i presupposti per l'altra via. Proprio per essere un po' meno cinesi e un po' più tedeschi, dice lei. Niente più svalutazioni competitive, quindi niente più scorciatoie per nascondere le proprie inefficienze; e tassi di interesse bassi, che agevolano gli investimenti a lungo termine.
Risultato? Nessuno. Anzi, si invoca il ritorno alla lira per ricominciare col giochino di prima.

Come si può fare dunque per "far crescere la produttività"? Per diventare un po' più tedeschi? Una domandina non da poco, la sua.
Ché evidentemente non era il marco, a fare tedeschi i tedeschi, e non era la lira a fare italiani gli italiani. Era piuttosto il contrario. Per somigliare di più ai tedeschi non serve avere la stessa moneta, la stessa banca centrale e la stessa politica monetaria dei tedeschi, ne abbiamo avuto la prova, con l'Euro.
Servono allora, forse, le stesse infrastrutture, la stessa giustizia civile, lo stesso sistema di istruzione? Bah. Io credo di no.
Io credo che servirebbe la stessa mentalità.

Si lo so che sto dicendo una banalità. Ma di fronte a tutte queste analisi, tutti questi modelli, e variabili stocastiche o deterministiche, e tutte queste equazioni, e curve di Phillips e curve di Laffer.. noto sempre che nessuno osa mai chiamare in causa quasto argomento.
Sarà forse perché non si riesce a metterlo dentro alle equazioni?
Non lo sappiamo affrontare? Oppure ne siamo spaventati?

Se diamo per buono un moltiplicatore fiscale pari a 2, nella condizione attuale di spesa pubblica/PIL>50% un aumento di spesa ha l'effetto di ridurre il rapporto spesa/PIL.

Infatti il FMI calcola che avendola tagliata (con Monti) abbiamo peggiorato la situazione.

Quello che mi ha colpito del professor AB e' stata la cortesia (quello che una volta si chiamava un gran signore) e il desiderio di esporre le sue tesi ad accademici seri, donde l'invito a FL e MB.  Molto diverso dai suoi seguaci, almeno quelli che ho visto e cerco di evitare su Tuitter etc.

Francesco ed io abbiamo scritto un lungo pistolotto su alcuni temi molto precisi. Ora vedo che v'e' un grande desiderio di parlare d'altro e di ripetere le proprie convinzioni sui moltiplicatori fiscali pari a 2 (minchia, in giappone devono avere avuto una sfiga mostruosa ultimamente, per non parlare di Irlanda ed Inghilterra, dove invece hanno avuto un culo della madonna, o in Spagna dove hanno avuto un culito moderado pero interesante ...), sulle radici culturali della crisi, sulla demografia and what not.

Temi, alcuni, interessanti e cruciali, altri speciosi, noiosi e straconsunti ma, in ogni caso, diversi da quelli che Francesco ed io abbiamo provato a illustrare con un minimo di rigore.

Potete tranquillamente usare questi commenti per chiacchierare di cio' che piu' vi aggrada, anche della coppia demente del momento, la bandwidth e' abbondante e costa poco quindi fate come se foste a casa vostra.

Solo una cosa, non aspettatevi contro-commenti o risposte da parte mia sui temi che non sono legati al post. Ecco quello non me lo potete proprio chiedere. Grazie e buon divertimento moltiplicato.

Scusate la domanda, forse non ho aperto tutti i link, ma nell'articolo si parla di un paper. Chiedo conferma se è quello a questo link

www.asimmetrie.org/wp-content/uploads/2014/07/APB2014-01.pdf

Grazie

Non e' quello, ma sono parenti, nel senso che le da un'idea del  "tipo" di modello. Il paper che ho discusso era preliminare, non mi pare sia disponibile online.   

Che sia questo?

(pagina 19)

Non e' certo mia intenzione ne' solito costume suggerire al prossimo mio come agire: piuttosto e' la curiosita' di capire a spingermi, di capire come si possa anche solo dare a credito ad AB. A parte l' ilare tentativo di prevedere con un "modello" anche solo gli ordini di grandezza degli effetti macroeconomici della possibile uscita unilaterale dall' Euro  mi chiedo davvero se serva ragionamento alcuno per capire che AB e' o in malafede o non domina alcuni aspetti di logica elementare, in chissa' quale perversa combinazione. Come si fa anche solo a rispondere ad AB, dopo tutte le bestialita' che ha messo nero su bianco, dopo il rifiuto triennale di parlare seriamente prima del' essersi munito di un gregge di sufficiente massa, come fa l' ubriaco con le caraffe di vino,  e' per me mistero.
M. Boldrin fece un' osservazione secondo me assai calzante durante il dibattito con AB, qualcosa sul tono di "allora qui si parla di ritornare a Craxi" o simile. Nel migliore dei casi (si badi bene, il migliore!) AB parla di politica, di politica!, qualunque cosa essa sia stata o si sia ridotta ad essere oggi. Per quanto vada male siamo ancora in Italia: a soli 200 chilometri le cose vanno di molto, ma di molto peggio, e da li' in poi non c'e' fondo che molti di noi riescano solo ad immaginare. Non giochiamo per cortesia alle soluzioni "geniali", abbiamo solo da perdere, e tantissimo. E finisco come ho iniziato: che ognuno faccia come crede per carita', ma qua stiamo parlando di un ciarlatano della peggior razza , gia' seguito fideisticamente da un bel po' di pecoroni, un "professore" che, come e' oggi usanza,  alle riviste ha sostituito un blog. Pare che l' Italia sia oggi un terreno fertile per simili personaggi.  Ma la statistica va rispettata, e' infatti ben di piu' di quella pantomima di matematica cui la riducono certi professoruncoli: e  prima o poi arriva anche il ciarlatano a cui la fortuna sorride un po' di piu'.

Va dato atto ad AB di non essersi mai sottratto al confronto (al contrario di altri). Io non credo sia in mala fede, ne' mancanza di logica. Ha anche il merito di aver voluto mettere nero su bianco le sue idee adottando un modello che le supporta, il che semplifica il lavoro di chi vuole criticare le ipotesi su cui si basa il ragionamento.  AB avanza  una posizione che Francesco e Michele hanno sviscerato e semplificato, nel dibattito e sopra, per permettere a chiunque di farsi un'opinione. 

Non ho letto il paper di Bagnai ma i vantaggi ipotizzati sembrano minuscoli

 

Nella simulazione di AB queste politiche accrescono il PIL di circa l'1,5% nell'anno della svalutazione, per poi ritornare sul trend (terminando quindi lo stimolo alla crescita) nell'arco di circa 3 anni

 

e ampiamente compensati dagli effetti di reddito

 

i salari reali si ridurrebbero di circa 5 punti percentuali in 5 anni come conseguenza della maggiore inflazione e dell'accresciuto costo delle importazioni.

 

Vale la pena di rischiare una crisi finanziaria internazionale per avere l'1.5% di crescita in un anno? In Europa non si usano OGM, con grave danno per l'agricoltura, la ricerca e la bilancia dei pagamenti, sulla base del principio di precauzione (http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_precauzione).  In sostanza, perchè non esiste prova scientifica che siano innocui, anche se non esiste prova scientifica che non lo siano. Se si applicasse lo stesso principio, l'uscita dall'euro sarebbe esclusa a priori.

 Il calo dei salari, secondo AB,  implicherebbe una redistribuzione molto forte dai lavoratori dipendenti e pensionati a lavoratori autonomi ed imprenditori, che dovrebbe ridurre l'appeal dell'uscita.

In altre parole, il modello di Bagnai è un ottimo argomento contro l'uscita dall'euro: bisogna farlo conoscere di più invece di criticarlo  :-)

Perche' sarebbe sbagliata e/o nociva una redistribuzione da pensionati e lavoratori dipendenti (che hanno conservato il posto dal 2007 a oggi) a favore di lavoratori autonomi, imprenditori (e presumo anche disoccupati) che hanno sofferto molto di piu' la crisi?
Per come la vedo io il vincolo dell'euro avvantaggia il lavoratori protetti (e pensionati) che non sono esposti alla competizione internazionale e danneggia imprenditori, lavoratori autonomi e chi esposto alla concorrenza internazionale perde il lavoro. Togliendolo si avrebbe un riequilibrio. Personalmente lo giudico positivo, come riequilibrio, cio' che serve comunque per valutare l'uscita dall'euro dovrebbe essere l'eventuale guadagno nel PIL complessivo. 

Discutere con qualcuno implica riconoscerne la dignita'. Discutere con lo Scemo del Villaggio ottiene il solo risultato di conferire rispettabilita' alla scemenza. Non getta discredito sullo Scemo, ma su chi si perita con dotti argomenti di confutarne le tesi.

Quindi in generale è un'operazione mediaticamente disastrosa, soprattutto se dovesse estrinsecarsi in dibbbattttiti (di fronte ad una clacque di dementi e disgustosi politicanti) gestiti da un volgarissimo servo che ha fatto del succhiare la pompetta del padrone la sua cifra intellettuale e carrieristica.

Se Carl Sagan avesse discusso con il Mago Otelma a chi avrebbe fatto male? Solo a sé stesso. E altrettanto dicasi per il chirurgo che discute con il santone della foresta amazzonica e per il biologo che discute con Vanna Marchi.  Ancora peggio per l'economista che si illude di discutere di critica di Lucas ai modelli macroeconometrici, con uno squiternato a capo di una setta di schizofrenici disadattati, scorie tossiche della legge Basaglia. 

Insomma spero che per il futuro si lascino gli asini a ragliare nelle loro stalle senza condividerne la biada, il fieno e senza imbrattarsi con i loro escrementi. Il fallimento della richiesta di referendum sul fiscal compact, nonostante l'appoggio incondizionato delle truppe cammellate della Camusso e di Landini, dimostra che non rappresentano nessuno, se non le proprie turbe psichiatriche.
 



 

fabio

non mi convince. Primo, ovviamente nessuno di noi e' Carl Sagan. Secondo consideriamo il csoto opportunita. Ero abbastanza vicino,   ho  quindi sotratto qualche ora  a leggere altri paper di Michele (sulla differenziabilita' della policy function, che continuo a non capire....)  per discutere con persone generalmente poco informate ma tante delle quali  interessate ad ascoltare ed in buona fede. (cosi mi e' parso, e ex ante non ne ero sicuro).   Il costo?  qualche ora del mio tempo. Il beneficio?  magari a qualcuno viene un dubbio.  Il beneficio e' piccolo?  mah,   anche il costo lo era .....

Ho ascoltato gli interventi di MB e FL con molto interesse. Ho una certa passione per l'econometria e debbo dire che mi piacerebbe vedere il modello, le ipotesi fatte e come sono state costruite le equazioni (FL fa un breve accenno all'uso di equazioni lineari (o linearizzati) di fatto denotando una certa semplicità del modello - ma non dice che è da buttare - come tutti i sistemi "black box") Veniamo al titolo del mio post: si AB ha anche i suoi meriti. Al di la del suo parterre, compagni di merende di dubbia valenza, politici che di dubbio hanno tutto, AB ha spostato la discussione su basi accademiche (seppure in maniera soft). Ha fatto approcciare molte persone per la prima volta all'economia con sistemi di divulgazioni semplici (anche se poi i risultati a volte sono scoraggianti con estremismi e lotte tra ultras). Su questo bisogna lavorare: educazione economica e finanziaria. NFA ha dato il via ad un nuovo modo di vedere la politica con il suo oramai famoso Voltremont (http://www.ibs.it/code/9788883252792/tremonti-istruzioni-per.html Tremonti istruzioni per il disuso... e continuano a chiamarlo Voltremont ), andiamo avanti così. Come giustamente ha detto in principio del suo intervento MB: l'Italia vive di bugie. Non diamogli più alibi allora.

Parto dalle considerazioni finali (contrappasso: goofynomics dice che ogni salita è una discesa, se vista dall'altro lato), poichè già avevo avuto modo di leggere le teorie di Bagnai, non argomentate a livello di paper, ma in modo più generale, e le ho ritenute sconclusionate sin dal primo momento.

Quindi partiamo dalle "riforme strutturali" di cui l'Italia ha bisogno, e, senza paura, dico che il problema (come scritto) è assolutamente culturale, manca nell'italiano  e nelle elites quel senso civico e del vivere comune che anima le altre comunità, personalmente ritengo questo paese "iriformabile", salvo non intervenga un qualche reset formidabile, per cui poi si facciano i conti con la dura realtà, ovvero occorrerebbe uno schock esterno al sistema, visto che quello del 2008 è stato mal interpretato, complici dei mass media cialtroni e ignoranti.

Da questo punto di vista, stranamente, l'uscita dall'euro (o semplicemente il suo annuncio) potrebbe essere quello schock esterno che sarebbe necessario, ce ne sono altri (sul punto non concordo con MB, che la vede diversamente), fra cui una vittoria del M5S, che potrebbero apportare quello schock necessario, oppure, l'altra soluzione, è un lento percorso culturale, in forte salita, peraltro.

Esempio: la professoressa di mia figlia di Geografia (IIa media) spiega il PIL alla classe (lo si studia alle medie, ci son politici che manco sanno cos'è..), poi spiega il PIL pro-capite e dice "In Italia la media è falsata, visto che ci sono pochi molto ricchi e tanti molto poveri, creando una forte ingiustizia". Sul libro di testo la posizione è meno netta, ma il succo non cambia (libro di testo: Livingstone 2), adesso provate voi a fare la "rivoluzione culturale" senza schock. In bocca al lupo.

È che date le condizioni culturali di elites e popolazione in generale, che sono appunto quelle che hanno portato il paese allo stato attuale, non vedo perché di fronte ad uno shock non si risponderebbe con politiche ancora più populiste.

In Argentina ad esempio non mi sembra che dopo il 2001 le cose siano migliorate, e son passati più di dieci anni. Nel nostro piccolo idem, non mi sembra che dopo il '92 si sia invertita la rotta.

Piuttosto, una possibile ( forse l' unica)  quanto improbabile soluzione è secondo me una sorta di populismo illuminato. Possibile perché per riforme etc serve consenso e probabilmente in questo paese è ottenibile solo per vie populiste, improbabile per la natura stessa del populismo.

Sono molto perplesso davanti alla riproposizione del famoso dividendo dell'euro, che da fonti rispettabili quanto le vostre viene stimato tra zero (Piga) e 170 miliardi (Cattaneo) piuttosto che i 500-800 citati qua sopra.

Senza tacere che questa storia del dividendo dell'euro sprecato ha strarottissimo i maroni, sono i classici argomenti di lana caprina che non portano da nessuna parte.

E per finire, come direbbe un mio amico l'argomento è un post hoc ergo propter hoc. Il dividendo della riduzione degli interessi c'è stato, piccolo o grande, ma attribuirne i meriti all'euro è una fallacia logica. Bye

Lasciamo stare i gradi di rispettabilita', non vorrei diventare cattivo. Non so chi sia "Cattaneo" e se "Piga" e' Gustavo allora so per certo che, titoli o meno, ha una tendenza pericolosa e sgradevole a dire e scrivere cose improbabili per puri fini politici. Ma transeat.


Dammi i calcoli delle fonti in questione ed io ti do i miei, che sono stati messi per iscritti decine di volte. Ripeto l'algoritmo

1) Calcola di quanto lo spread REALE del debito italiano su quello tedesco si abbassa negli anni in cui diventa chiaro che l'Italia entrera' nell'euro. Per essere precisi, sino al 1995 non e' ovvio e nel 1998 lo e'. Lascia fuori questi tre anni e fai la differenza fra spread medio dei tre o quattro anni precedenti il (escluso) 1995 e analogo nei tre o quattro anni seguenti il 1998 (incluso). 

2) Anno per anno, dal 1998 al 2008 (e mi fermo li' per carita' di patria, che se aggiungi gli anni post 2008 ed un minimo di buon senso il valore cresce eccome) moltiplica quello spread per il valore del debito outstanding o (se hai dei problemi con la teoria economica ed il significato di marking to market) per quando veniva rifinanziato ogni anno.

3) Somma.

Credo ci sia un articolo da qualche parte su nFA dove spiego questa cosa in dettaglio per quelli che l'economia fanno finta di saperla ma solo finta. 

Nel periodo 2000-2013 la produzione manifatturiera a livello globale ha registrato un aumento del 36% a prezzi costanti, con un picco di oltre il 100% nel caso dell’industria elettronica. I settori che seguono nella graduatoria dei tassi di crescita sono computer e macchine per ufficio e mezzi di trasporto pesante (aerei, treni, navi), entrambi con variazioni superiori al 70%.

...

 

Guardando alla posizione dell’Italia, emergono due differenze sostanziali rispetto alla dinamica globale. La prima consiste nella perdita netta di produzione manifatturiera, legata alla crisi economica che nel Paese si è protratta più a lungo e con effetti più distruttivi che altrove. In particolare, a fronte di un aumento della produzione industriale mondiale che nel periodo 2007-2013 è stato di quasi il 10% (a prezzi costanti), in Italia c’è stato contemporaneamente un crollo del 25,5%: la crisi ha coinvolto tutti i comparti industriali. Rispetto al 2000, i picchi negativi maggiori si registrano nell’industria dei computer e macchine per ufficio (dove la produzione è praticamente azzerata) e in quella dei tabacchi, entrambi comparti che si caratterizzavano per trend in caduta libera già prima della crisi; la produzione si è più che dimezzata nell’elettronica e nel comparto automobilistico ed è prossima al 50% di quella di inizio periodo nel tessile, nella pelletteria e nel legno (esclusi i mobili).

 

 

 

Qs è quanto si legge in SCENARI INDUSTRIALI del CSC (giu 2014). Quindi: non solo l'Italia regredisce nei settori dove la crescita della produzione (domanda) internazionale non è brillante  (tessile, pelletteria, legno) ma perde quote di mercato perfino nei settori in crescita dove scompare dall'industria dei computer e arranca pesantemente nell'auto. In altri termini l'Italia ha sofferto a) sia perchè alla fine degli anni '90 era specializzata nei settori che stavano per essere invasi dal commercio cinese e asiatico (fattore rilevente: costo del lavoro) e b) perchè non è riuscita a sfruttare la crescita di altri settori manifatturieri dove anzi è peggiorata (fattore rilevante: R&D).

 

Non credo che la lira, a meno di svalutazioni insostenibili, avrebbe consentito di mantenere le quote di mercato nel tessile, di fronte alla montante marea asiatica. Ciò vale anche per un eventuale abbandono dell'euro: così come il dentifricio non rientra nel tubetto così anche per l'industria non è possibile riportare in vita attività che sono state chiuse da tempo. Per recuperare il terreno perduto servono anni e non basta una svalutazione. Inoltre con l'innovazione tecnologica credo che l'euro c'entri poco.

 

 

Ciò scritto mi sembra di capire che i teorici dell'uscita dal'euro e del ritorno alla lira abbiano in mente gli enormi problemi che si incontrano in Italia quando si vuole intervenire sull'entità di certe spese che, l'azione congiunta di lobbies e altri poteri, nonchè le protezioni di natura legale/giudiziale)  non permette di intaccare nel loro entità nominale: penso soprattutto alle pensioni, che  nessun politico vuole ridurre ma sarebbe felice  se 'il lavoro sporco' fosse eseguito da un aumento del tasso di inflazione.

Ovviamente se  il sistema economico fosse perfettamente flessibile il problema non si porrebbe nemmeno.    La realtà è che il sistema è assi poco flessibile e ciascuno cerca di difendere le proprie rendite di posizione.

                                                                                                                                             

 

L'articolo è molto bello ed ha il pregio di mostrare ancora una volta che, una volta eliminato ogni "rumore", le cause della stagnazione italiana rimangono sempre quelle più e più volte denunciate negli anni da chi guarda al Paese con occhio oggettivo: alte tasse, rigidità del mercato del lavoro, basso grado di apertura di molti mercati (professioni, SPL, servizi a rete eccetera), giustizia con tempi così lunghi da essere di fatto inservibile in una grande quantità di casi, bassa qualità dell'istruzione, alta burocrazia, servizi pubblici di qualità medio-bassa rispetto ai costi, mercato del credito bancocentrico e dominato dalla politica, basso livello tecnologico sia del pubblico sia del privato, criminalità organizzata che deprime l'iniziativa imprenditoriale in molti territori (ok, alcune di queste cose sono sia cause sia conseguenze di altre cause).

Da ciò si deduce che l'unica soluzione reale alla malattia italiana siano riforme strutturali che vadano a cambiare profondamente istituzioni e regole della vita italiana.

Quello che mi angoscia è che temo che le condizioni per fare queste riforme non siano visibili nell'orizzonte di molti anni. Prima di tutto le riforme, anche quelle congegnate meglio, comportano costi di transizione; costi che possono essere espressi in termini monetari e che devono essere sostenuti da qualcuno: lo Stato, le imprese o i cittadini. In questo senso le riforme sono come gli investimenti: prima si sostiene un costo, dopo qualche anno si vedono i benefici che poi perdurano nel tempo.

Dopo 13 trimestri di recessione e una flessione delle possibilità economiche di tutte e tre le categorie, in che modo possiamo finanziare le riforme? Fare deficit non solo non ci è permesso ma ci espone al rischio di moral hazard dei politici oltre che a tensioni sul nostro debito (quindi comporta costi non sostenibili). Tagliare la spesa dato il contesto attuale sarebbe recessivo nel breve periodo; visto l'altrettanto breve orizzonte elettorale dei Governi pare politicamente infattibile per chi è in carica, e di difficile presa sull'elettorato da parte di chi lo propone in campagna elettorale (visto che la spesa pubblica a molti elettori entra in tasca). Alzare temporaneamente le tasse oltre ad essere ancora più recessivo sarebbe idiota dato che le tasse alte sono appunto uno dei principali problemi, e poi al temporaneamente non ci crede nessuno (al tax push invece ci credo eccome).

Poi ai costi da sostenere, che nella congiuntura attuale sono un fattore ostativo già abbastanza grosso, si aggiungono le epiche resistenze al cambiamento di un Paese in cui se si parla anche solo di cose come valutazione del personale e controllo di gestione nelle pubbliche amministrazioni si levano grida di "fascismo alle porte" e "ci volete tutti schiavi". E in cui una fetta significativa della popolazione crede che il cambiamento sia un evento (X vince le elezioni, Y se ne va) e non un processo (che comporta costanza e fatica).

E a tutto questo si aggiungono ancora le difficoltà oggettive delle riforme: ad esempio, ultimamente ho lavorato molto con gli uffici giudiziari. L'ultimo concorso per il personale amministrativo (cancellieri, funzionari ecc.) si è tenuto mi pare nel 98: ergo, l'età media dei non togati è molto alta (50+), non c'è nessuno sotto i 40 anni. Immaginate cosa può voler dire provare a informatizzare un ufficio giudiziario in queste condizioni: il PC lo sanno usare in pochi, e anche i più bravi logicamente hanno di rado quella dimestichezza con il mezzo che possono avere i 25-30enni, e comunque sono isolati. Chi non lo sa usare non ha nè il tempo, nè la voglia, nè alcun incentivo ad imparare ad usarlo a 55-60 anni di età. E se anche avesse voglia e fosse motivato, non ha il tempo perchè gli organici si riducono per via del blocco del turn-over e il carico di lavoro aumenta di anno in anno. Assumere 30enni non si può perchè non ci sono i soldi (ed è per per questo che c'è il blocco del turn-over). Prepensionare aggiunge solo altri costi ed è pure ingiusto verso il settore privato. In pratica bisogna aspettare che abbastanza gente arrivi naturalmente alla pensione per poter fare finalmente un nuovo concorso e sostituire le piante organiche con giovani che sanno usare molto bene il PC e la rete e tutte le sue potenzialità. Ora questo è solo un piccolo esempio, ma dà l'idea del fatto che in diversi settori, prima di avere libertà di movimento (progetti di informatizzazione e quant'altro), c'è da "smaltire l'arretrato". Provare a forzare questo smaltimento con i licenziamenti non si può per legge, e cambiare la legge incontrerebbe molto probabilmente il blocco della Corte Costituzionale (senza contare che i "vecchi" non sapranno usare il PC, ma hanno l'esperienza, e quindi sarebbero comunque fondamentali per insegnare ai giovani il mestiere).

Ecco, in questo angosciante quadro, più che il leniniano "che fare?" (la risposta c'è: le riforme), io mi chiedo: COME fare?? Ha forse ragione Seminerio quando profetizza che "torneremo poveri"? Non c'è altra via realisticamente percorribile che quella inerziale del declino, fino a raggiungere il fondo e poi finalmente cominciare a risalire?

Non sono un economista, ma ha speso sei anni della mia vita a martellare milioni di righe di codice C++ di un sistema concettualmente parzialmente simile a quello che usano Moodys o Fitch.

Nei modelli che usa il Sig. Bagnai, o in quelli che invece vengono usati più frequentemente ai giorni nostri, quale importanza viene assegnata alla struttura demografica?

Recentemente ho avuto occasione di discutere approfonditamente con un economista che ha progettato e mantiene un modello usato da chi gestisce decine di miliardi e cerca di fare previsioni, o comunque dare indicazioni, ultra decennali, e non mi è parso che la struttura demografica fosse esattamente al centro delle sue preoccupazioni.

Approfitto per una domanda su una questione correlata: se io dovessi chiedere un parere su un modello, a chi mi dovrei rivolgere? Sia in generale, cosa mi dovrei aspettare nel CV dell'economista a cui chiedere la valutazione, sia in particolare, suggerireste qualcuno a Londra e dintorni?

P.S.: ovviamente non intendo pro bono! :)

Interesserebbe anche a me. Ma visto che spesso qui umili osservazioni come questa vengono prese come attacchi personali, e visto che si invocano sempre i numeri.. chiedo (umilissimamente) agli autori di nFA un link per andare a vederli direttamente, questi modelli. Va bene anche un codice C++. Non passatemi titoli di libri cartacei da comperare però, ché la Scienza viaggia in fibra ottica.

Capisco che il vantaggio di svalutare è ridurre il salario quindi il costo etc. etc.  bla bla. In Italia però ci sono chiaramente salari e pensioni oltre la media europea sia netti che lordi (parlamentari, alte cariche politiche, alte cariche nella giustizia, diplomatici ,manager partecipate, alta burocrazia, esercito, pensionati d'oro che non hanno pagato i contributi (sindacalisti) etc. ) mentre ci sono salari che sono sopra la media europea o nella media solo quando sono considerati al lordo.  La svalutazione con l'uscita dall'euro colpirebbe tutti  ma rimarrebbero le differenze tra salari relativi. E' per mantenere questi salari sopra la media e per darli a molti (troppi) per voto di scambio che i salari lordi nei settori esposti alla concorrenza sono così alti  mentre sono bassi quelli netti. Non è che le imprese italiane  non sarebbero competitive se il costo del lavoro fosse il salario netto, chiaro?

Uscire dall'euro significherebbe abbassare si il salario a tutti ma colpirebbe tutti in maniera proporzionale. Ma sai quanto soffre il manager pubblico strapagato che magari si vota subito un aumento in CDA o si inventa un  premio produttività inesistente? La prenderebbero in quel posto sempre gli stessi. Insomma svalutare è una tassa per la competitività che è certamente iniqua stanti i salari relativi in certi settori della PA. 

 Non sarebbe meglio riformare la P.A. , tagliare gli stipendi oltre soglia europea, tagliare i posti nella PA oltre la soglia europea  e ridurre le tasse  per poter competere? (senza parlare ovviamente della  crisi finanziaria di cui parlava Michele)

Se devo essere onesto questa è la parte che meno capisco di tutta l'attenzione che viene prestata alla ''proposta'' di uscita dall'euro.

A me pare che le cose che dice Luciano siano di buon senso e mi pare siano anche abbastanza condivise tra chiunque cerchi di analizzare il problema con certa imparzialità. Uno però può ragionevolmente dire: hai ragione, andrebbero complessivamente rivisti i salari nel settore pubbliico così come l'organizzazione del settore pubblico nel suo complesso, bisognerebbe abbassare le tasse sul lavoro, riformata la giustizia etc. etc.. Però tutto questo è politicamente molto difficile e richiede tempo. Quindi, intanto che avviamo il processo e per evitare di restare in recessione tutto il tempo delle riforme (che magari vuol dire una decina d'anni, quindi mica tanto breve come periodo) diamo una bella botta di svalutazione e sosteniamo un po' la domanda. E a questo punto si può rispondere che la svalutazione rischia di disancorare le aspettative, o causare una guerra commerciale, o whatnot. Non so dove si finirebbe, ma sarebbe un dibattito che si può fare e che a dir la verità si è fatto molte volte in passato, per l'Italia o per altri paesi.

Ma l'uscita dall'euro NON è una svalutazione, o perlomeno non è solo quello. È un evento enorme e traumatico, con gigantesche conseguenze sul sistema finanziario e sui rapporti politici e commerciali tra stati. Se lo si fa in modo unilaterale sarebbe ancora più drammatico, e mi pare che finalmente anche i noeuro con un minimo di cognizione inizino a rendersene conto. E se lo si fa in modo consensuale richiede una quantità di tempo più o meno simile a quella delle riforme strutturali.  Da qui la mia impressione che questa sia veramente una distrazione abbastanza inutile.

Il fatto è che la sinistra keynesiana propugnando l'uscita dall'euro sta dando le munizioni alla destra populista da un lato e difende indirettamente e inconsapevolmente (spero) le rendite di posizione della casta politica e clientelare dall'altro. Credo che sia lo stesso meccanismo perverso che ha fatto esplodere il debito. Ho paura.

Secondo me sarebbe piu' corretto e utile ridurre i compensi eccessivi dei livelli apicali dello Stato e del parastato alle medie europee in modo da curare la distorsione esistente in Italia. La vera disparita' comunque piu' che tra salari apicali e protetti e quelli dei non protetti, sta tra chi ha conservato il lavoro e chi l'ha perso. I veri perdenti nella crisi e in generale nella perdita di competitivita' dell'Italia sono quelli che hanno perso e non trovano lavoro.
Poi negli anni passati si e' visto bene che c'e' una resistenza mostruosa a diminuire i compensi eccessivi ai vertici dello Stato e parastato italiano. Un esempio a caso ma recente, i vertici di Bankitalia (che ritengo una delle istituzioni meno disastrate dello Stato italiano) si sono auto-ridotti i compensi, ma mantenendoli superiori del 10% almeno a quelli dei corrispondenti tedeschi, anche se la Germania ha 80 milioni contro 60 milioni di abitanti e anche se il PIL tedesco pro-capite sara' immagino il 30% superiore a quello italiano e quello totale il 65% superiore (giusto per mettere dei numeri, volendo si possono fare i conti per bene).
La svalutazione piallerebbe ogni resistenza: verrebbero ridotti anche i salari apicali. Tuttavia concordo che rimane da vedere che la accresciuta competitivita' nelle esportazioni dopo una svalutazione faccia crescere i salari di chi lavora in settori esposti alla concorrenza piu' velocemente di chi sta in settori protetti e oggi eccessivamente pagati.
 

Qui si discute di come uscire dalla crisi, no?

Un dibattito accademico e' un dibattito accademico, ma poi cio' che fa notizia e' in genere altro. Mi sono imbattuto in una proposta su FB che mi ha lasciato allibito: "Chi più dello Stato può offrire garanzie reali ? Lo Stato italiano possiede uno dei territori più belli del mondo e la stragrande maggioranza del patrimonio artistico mondiale. Quanto valgono le Alpi, il Lago di Garda o il Colosseo ?". Ho provato a discuterne, vista la caratura del cognome dell'autore, un Sylos Labini. Che e' un fisico, mi pare, ma che si occupa molto di economia (Tv, radio, giornali, ecc.).

Discussione difficile, come si puo' immaginare. Ho cominciato con "Via, su", riposta immediata, "che stai a di' ??", io, "Le Alpi", "e il Colosseo ?? Quanto vale il Colosseo ??", a questo punto ho precisato...

Vedo che c'e' qui Iodice, che spesso commenta SL.

Mi piacerebbe capire che cosa vuol dire oggi keynesiano, e sinistra keynesiana, che presuppone almeno evidentemente una destra, e probabilmente un immancabile centro di sutura.

E anche se per ribaltare la situazione bisogna emettere titoli con certe garanzie reali dentro l'euro o in concomitanza con l'uscita dall'euro, o sempre, perche' poi dai modelli (che leggero' se mi raccapezzo come si deve fare senza starci dietro una giornata) si deve passare alla proposta, e ci sono anche queste, con gli autori che sono su persino su Repubblica.

 

Qui il commento caustico del Secolo d'Italia (di cui ignoro l'attuale proprieta'), che evoca Hitler e Schacht (ma il presupposto, negli autori delle proposte, e' che evidentemente l'ideatore di una soluzione, temporanea o finale che sia, non ne determinata ne' l'efficacia, ne' la condivisione):

www.secoloditalia.it/2014/11/se-moneta-complementare-sinistra-radical-chic-copia-adolf-hitler/

 

P.S.: Bossi mi pare pero' che fosse iscritto, ai tempi, al Pci.

il lago di Garda e il Colosseo sono beni demaniali e come tali inalienabili. Nessun creditore li accetterebbe come garanzia.

Bagnai e' alla ricerca di una "accettazione" da parte della comunita', gli economisti, di cui si sente parte integrante, non c'e' dubbio, e non mi sembra neppure un fatto deprecabile. Che lo faccia con un modello vecchiotto o all'ultima moda e' secondario. Prendere un voto basso e' stato un rischio messo evidentemente nel conto.

Il problema e' che i modelli in genere non funzionano. Ne feci qualcuno (un paio) anch'io nei mitici (proprio cosi') anni Novanta, avevano dentro diversa roba, e lavoravano sul medio/lungo. Funzionavano bene finche' qualcosa di importante diventava inspiegabile lì dentro, e allora potevi metterlo in vetrina, come si fa con le vecchie cose cui si e' affezionati. Non ho capito, leggendo solo il post e qualche commento, se c'e' un modello nFA, esplicito o implicito, contrapposto a quello di Bagnai, ma mi riprometto di dare un'occhiata piu' attenta ed eventualmente scoprirlo. Non si sa mai.

Qualcosa pero' mi sembra che andrebbe meglio chiarito:

1. cosa sono le "svalutazioni ripetute"? Mistero. Non e' spiegato.
2. le "orrende conseguenze" dalle quali venne salvata l'Italia, grazie alla prospettiva(?) di adottare l'Euro, dopo la svalutazione del '92, quali sarebbero?
3. l'idea di Bagnai che la crisi ("bubbone"), senza l'Euro sarebbe arrivata prima, e ora ci troveremmo meglio, e' senza fondamento alcuno, innanzitutto sul "prima".
4. fare calcoli sul risparmio, fra i 500 e gli 800 mld di euro di interessi, per via dei tassi bassi, e' il solito calcolo da casalinga. Fuori dall'euro si sarebbe mosso tutto, e non ha senso questo calcolo.

Ci sarebbe da commentare quasi ogni passo, ma qui non si puo' fare.

Il caso vuole che negli anni Novanta, un decennio straordinario, vero laboratorio di idee, io c'ero, e potevo guardare le cose non dal buco della serratura. E' un'altra storia rispetto a quella che spesso si racconta, anche qui. Ma quel che piu' mi ha angustiato in questi ultimi quindici anni, e' che quel patrimonio di idee ed esperienze e' passato, per forza di cose, forse, in second'ordine, fino a diventare inutile. E ora e' andato perduto, probabilmente per sempre. Perche' quel che conta, prima dei modelli e dei paper, e' l'esperienza, che nasce dagli errori. Il Ciampi di quei tempi ne e' un esempio clamoroso, di errori commessi a ripetizione, e su cui imparammo qualcosa. Tutto andato perduto, appunto, come si puo' vedere dalle riflessioni che circolano, anche in quelli che sono animati dalle migliori intenzioni. Non cosi' in America o in Inghilterra, dove la continuita' ha permesso l'accumulo di conoscenze che ha permesso a sua volta di fronteggiare con efficacia le varie crisi.

Ecco, io credo che la mancanza di questo accumulo (il che vuol dire strutture, uomini, una scuola) sia il nostro problema piu' grande. Non si sa attualmente chi possieda le "conoscenze", di che qualita' siano, e neppure quali fini siano perseguiti. E la Bce non e' una vera banca centrale, nonostante gli aggiustamenti di Draghi.

E' facile dire, ma qui in Italia e' sfascio, uomini non ce ne sono mai stati all'altezza. Il fatto e' che invece negli anni Novanta, dopo il '92, si stava formando una cultura, dell'esperienza preziosa, tutto spazzato via nel giro di pochi anni. E ora ne paghiamo le conseguenze, qualsiasi scelta si fara'.

In effetti spiace che quella cultura, quell'esperienza preziosa che ci avrebbero regalato anni piu' tardi perle come questa e questa siano andate perdute. A me invece continuano a mancare di più i Nirvana, gli Alice in Chains e gli scazzi tra Oasis e Blur, ma nei '90 facevo il liceo (ovviamente classico) ed è scientificamente provato (dal Prof. A. Venditti) che quelli siano gli anni migliori della vita.

... davvero si aspetta di ricevere risposta o anche solo essere letto in questo luogo?

E' gia' tanto che non chieda al Webmaster di bannarti, pagliaccio.

Volevo solo evitare tu avessi anche solo un epsilon di dubbio sulla (S)considerazione di cui godi, qui ed altrove. Fine delle comunicazioni.
P.S. Vedo ora che Vincenzo ha gia' provveduto a rendere noto chi tu sia e come ti guadagni il tuo vivere.

Basic Maths For Dummies by Colin Beveridge (Paperback, 2011)

£13.43

Le 'giaculatorie' di bagnai mi ricordano processi stocastici.

en.wikipedia.org/wiki/Stochastic_process


  1. °  Struttura demografica
  2. ° ignoranza crassa
  3. ° barriere all'ingresso
  4. ° casta politica da barzelletta
  5. ° si vive di rendita dal Rinascimento
  6. ° R&D, internazionalizzazione dei distretti di eccellenza, sistema scolastico RISIBILE

E' da im.....predicare boiate sulla svalutazione. Ed ancora meno viable pretendere d trovare modelli matematici per simili boiate.

Con buona pace della netiquette. In qualunque parte del resto del Mondo si metterebbero a ridere oggi, e finirebbero domani.

Svalutazione: si pronuncia polmone artificiale (3/4 annetti di vita artificiale pre-adjustment). Ammesso che funzioni.

E ne dubito

PS

Quanti anni ha il PDR?

spiace (un po') per i toni.   errori madornali della cosiddetta classe dirigente, mancanza di challenge della cosiddetta base elettorale; incapacita' di innovare, di ristrutturare economia ed istituzioni, di ascoltare i segnali provenienti dall’ester(n)o e,

 

 'classe' - etimologia stocastica - dirigente - come prima-  che saccheggia da decenni: cfr. Pasolini, Montanelli, ecc.

As said, i modelli matematici servono solo per istruire e formare la gente.

quanti conoscono l'Inglese? non parliamo di equazioni...

Ciao, da tutto questo potremmo guardare anche quanto le imprese pagano al fisco. Secondo voi è normale? Alexander www.4minuti.it/news/ontiziano-motti-fisco-imprese-pagano-2488-miliardi-anno-0075720.html

E se non sbaglio rende meno bond Usa.

Magari merito della finanziaria...

 

Ps : non si fosse capito sono ovviamente ironico

Rendimenti

BTPS 2.5 2024 1.985%

USTR 2.25 Nov 2024 2.296%

prima dell'unione monetaria che introdusse la Lira in Italia avevamo ben 236 diverse monete metalliche che diventano addirittura 282 se si aggiungono quelle delle province venete e romane al momento del loro ingresso nel Regno.Baiocco, carantano, carlino, doppia, ducato, fiorino, franceschino. Ma anche francescone, lirazza, marengo, onza, paolo, papetto, piastra, quattrino, scudo. E pure soldo, svanzica, tallero, testone fino agli zecchini che Pinocchio, su consiglio del gatto e della volpe, sotterrò nel campo dei miracoli, al paese dei Barbagianni. Qualcuno degli utilizzatori delle valute sopramenzionate avrà avuto probemi con la "moneta LIRA unica"? Sicuramente. Nel tempo tuttavia l'esperimento parrebbe ruscito tanto che si è pensato ad un aggiornamento introducendo l'Unione Monetaria 2.0(Euro). Mi chiedo se sia razionale pensare di tornare a 282 monete diverse nel caso, tornando alla Lira, le cose non dovessero andare bene.

 

Gran parte di quanto sopra è qui www.repubblica.it/economia/2011/03/21/news/monete_unit-13890742/ e darei non so che per ascoltare una risposta sensata.

al netto della propaganda di cui e' intriso l'articolo , che per altro si rifa' ad una propaganda ancora precedente sul mito del risorgimento italiano , l'autore dell'articolo colpevolmente omette il fatto che nel 1861 l'italia non divenne per decreto un'area valutaria ottimale , l'italia divenne uno stato 

l'analogia con la nascita dell'euro e' quindi , oltre che fuorviante profondamente errata dal momento che la nascita dell'euro non e' stata conseguenza della nascita dello stato europa

tra l'altro mi pare la fed assomigli al burbero mazzaro' piu' di quanto l'articolo lasci intendere:

 

spero la risposta abbia abbastanza senso