Prima di tutto è meglio definire “autonomia”, perlomeno come la intende Zaia. Non stiamo parlando dell’autonomia di un cantone svizzero o di uno stato americano, dove una buona parte della politica fiscale, tipo l’IVA, viene decisa a livello locale. Stiamo parlando di un’autonomia come quella dell’Alto Adige: cioè con le decisioni sulla pressione fiscale prese a Roma e con la gestione di buona parte della spesa pubblica di competenza regionale. Questo è quanto riportato dall’Ansa il 17 marzo 2016 sul pensiero di Zaia: “Il modello di autonomia ideale è quello delle province autonome di Trento e Bolzano, che trattengono in loco il 90% delle tasse.”
Ma quanto costerebbe alle casse dello stato italiano se il Veneto iniziasse a trattenere il 90% delle tasse che versa? La prima volta che guardai i dati sul residuo fiscale regionale, ossia la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica per regione, era il 2010 e la banca dati del Ministero del Tesoro, i Conti Pubblici Territoriali, al tempo era aggiornata fino al 2007, l’ultimo anno prima della crisi economica. I conti erano piuttosto tondi: dal Veneto le entrate fiscali erano 70 miliardi di euro e la spesa pubblica verso il Veneto era 50 miliardi. Mancavano all’appello 20 miliardi, e se solo ci fosse stata un’autonomia in stile altoatesino l’amministrazione regionale di Giancarlo Galan (eh sì) avrebbe potuto gestire 13 miliardi di euro in più.
Il 2007 è però anni luce dalla situazione attuale. Gli ultimi dati disponibili sono per il 2014, e il totale delle entrate fiscali provenienti dal Veneto nel 2014 era 71 miliardi e 356 milioni di euro. È un aumento misero rispetto al 2007, e considerando che sono dati nominali, togliendo quel poco di inflazione le entrate sono rimaste piatte se non addirittura diminuite. Invece la spesa pubblica è lievitata fino ad un valore di 59 miliardi e 651 milioni di euro nel 2014. In sostanza il residuo fiscale veneto nel 2014 si è ridotto a 11 miliardi e 705 milioni di euro rispetto ai 20 di 7 anni prima.
Come è possibile un dimezzamento del residuo nel giro di solo sette anni? Da un lato c’è senz’altro la crisi economica. Il Pil è crollato con la grande recessione e ultimamente, se si intravede un minimo di crescita, questa è di un zero virgola. Se crolla il reddito regionale calano anche le entrate fiscali dal Veneto, e così è stato. I dati regionali per il 2015 non sono ancora disponibili, ma sapendo di quanto non è cresciuto il Pil italiano possiamo già stimare con abbastanza certezza quali possano essere le entrate fiscali in Veneto per il 2015 e per l'anno corrente. Possiamo anche sbilanciarci per il 2017 e 2018 utilizzando le attuali previsioni di crescita del governo.
Riguardo la spesa pubblica fare una previsione oltre il 2014 è ancora meno incerto. Il grosso della spesa pubblica (quasi la metà) riguarda la voce “previdenza e integrazioni salariali”, e cioè soprattutto pensioni. In questi ultimi anni la spesa pubblica per il Veneto sta crescendo in media di oltre un miliardo e 300 milioni all’anno, e questo è dovuto all’invecchiamento della popolazione. È un trend demografico simile a quello del resto d’Italia e non dissimile da quello della maggioranza dei paesi industrializzati. I numerosi baby boomers stanno andando in pensione e non sono rimpiazzati da generazioni successive altrettanto numerose. Sappiamo già quanta gente potrà andare in pensione nei prossimi anni, perciò possiamo stimare con abbastanza sicurezza a quanto ammonterà la spesa pubblica per gli anni correnti e allungandoci, con un po’ d’azzardo, anche fino al 2018.
Il tutto può essere meglio riassunto con un paio di grafici.
Nota: Dati Conti Pubblici Territoriali (2007-2014), stima Pizzati (2015-2018)
In sintesi, nel 2007 il residuo fiscale veneto era di 20 miliardi: i veneti pagavano 70 miliardi di tasse e ricevevano sotto forma di servizi pubblici 50 miliardi, il 71% del versato. Nel 2014, l’ultimo anno con dati al momento disponibili, i veneti pagano 71 miliardi di tasse e ricevono 60 miliardi sotto forma di servizi pubblici, l’84% del versato. Dato il trend demografico e alcuni altri anni previsti di crescita anemica, possiamo sbilanciarci e stimare che nel 2018 il residuo fiscale diminuirà ulteriormente a 8 miliardi scarsi, e la spesa pubblica aumenterà a 65 miliardi, e cioè il 90% di quanto sarà versato in tasse tra un paio d’anni.
In sostanza il tanto auspicato 90% di tasse trattenute nel territorio si avvererà per inerzia tra due anni. Non esiste più il Veneto locomotiva degli anni ’90 e per questo Renzi può permettersi di concedere l’autonomia veneta tanto auspicata da Zaia senza temere conseguenze negative per il bilancio dello stato italiano. Però l’autonomia altoatesina non è solo una questione di residui fiscali. In Alto Adige non solo hanno un residuo fiscale minimo, ma si gestiscono autonomamente una larga fetta della loro spesa pubblica. In Veneto, e in tutte le altre regioni ordinarie, l’ente regionale e i comuni gestiscono solo una frazione della totalità della spesa pubblica dedicata al territorio. Il resto viene gestito direttamente da Roma.
Sempre secondo gli ultimi dati disponibili per il 2014, dei quasi 60 miliardi di spesa pubblica per il Veneto, 10 sono gestiti dalla Regione Veneto, 5 dai 580 comuni veneti, e i rimanenti 45 miliardi scarsi sono gestiti direttamente da Roma. Solo un 25% (15 miliardi su 60) viene gestito da enti pubblici veneti. Per fare un paragone degli 8,7 miliardi di spesa pubblica totale per l’Alto Adige, 3,5 miliardi vengono gestiti dalla provincia autonoma di Bolzano, 1,2 miliardi dai vari comuni altoatesini, e 4 miliardi da Roma. Perciò secondo i Conti Pubblici Territoriali un 54% della spesa pubblica per l’Alto Adige è gestita da enti pubblici altoatesini, mentre il resto viene gestito direttamente da Roma. E, per la cronaca, il totale delle entrate fiscali dall’Alto Adige è di 9,6 miliardi: quindi gli altoatesini ricevono in servizi pubblici un 90% scarso di quanto versano in tasse.
Ricapitolando, Zaia vuole il Veneto alla pari con l’Alto Adige, con un 90% di tasse venete che finanzino spesa pubblica per il Veneto, e di questa spesa pubblica almeno il 54% gestito da enti pubblici veneti. Questa perlomeno è la situazione altoatesina da replicare. Benissimo, per il 90% abbiamo già visto che il Veneto ci arriverà per inerzia tra un paio d’anni per via dell’invecchiamento della popolazione e l’economia sempre al palo. Per raggiungere il 54% di gestione in loco di risorse pubbliche basta aggiungere un 30% perché abbiamo visto che un 25% è già gestito tra Regione e comuni veneti.
Dove trovare un 30% di spesa pubblica per il Veneto (un 20 miliardi) da trasferire come gestione da Roma a Venezia? La scelta più diretta è di muovere la voce più predominante sui conti dello stato, e cioè la previdenza, ossia le pensioni. Stiamo parlando di 25 miliardi per il Veneto (dati 2014), ovvero un 40% abbondante della spesa pubblica veneta. Se la gestione delle pensioni venete passasse da Roma a Venezia, il Veneto si amministrerebbe in totale circa due terzi della propria spesa pubblica, ben oltre il 54% altoatesino.
Le pensioni sono una spesa di lungo termine già programmata che comunque non lascerebbe alcun spazio di manovra anche se in mano ad un ente regionale. Sarebbe solo un passaggio di competenza da Roma a Venezia. Ma anche questo passaggio non sarebbe una cosa drastica, perché non stiamo parlando di migliaia di statali a Roma che perdono il lavoro per chiusura di reparti dell’INPS e apertura di nuovi enti pubblici in Veneto. L’apparato statale per gestire le pensioni è già radicato sul territorio, e ci sono 37 sedi INPS in Veneto sparpagliate per le varie province. Le pensioni sono una spesa che non lascia margini di manovra (almeno a legislazione vigente) e dichiararla sotto gestione regionale cambierebbe poco o nulla.
In conclusione Renzi può serenamente annunciare che entro il 2018 concederà l’autonomia al Veneto e l’unica cosa che deve fare è stabilire che la previdenza sociale sarà di competenza della Regione Veneto. Per i cittadini veneti non cambierebbe nulla ma, su carta, due terzi della spesa pubblica verrebbe gestita da enti pubblici veneti, quando di fatto è già così con le varie sedi locali dell’INPS. Et voilà, ecco a voi l’autonomia del Veneto.
Caro Lodovico, onestamente, tu pensi che i politici non veneti abbiano l'anello al naso?
I trasferimenti tra le regioni italiane é da lungo tempo che non sono più perequativi, ma sono essenzialmente previdenziali.
Le varie regioni italiane che pagano più di quanto ricevono essenzialmente contribuiscono a chiudere i buchi dell'INPS.
Tra l'altro, trasformare un sistema previdenziale che è sempre stato congegnato come nazionale in regionale non è semplice.
La gestione potrebbe benissimo passare ad essere regionale, ma gli impegni di spesa per decenni futuri sono già stati fatti.
Io ho versato i miei contributi italiani ad un ente previdenziale nazionale, e sinceramente mi aspetto che un giorno siano tutti i contribuenti italiani a pagarmi una quota della pensione. Non sono certo interessato a sapere se risiedono in Veneto o altrove.
Esempio ancora più calzante: mia madre vive in Sicilia, ma ha lavorato per metà della propria vita lavorativa in Veneto. Qualora il Veneto secedesse previdenzialmente dall'Italia, chi dovrebbe pagarle la pensione?
devi aver letto tra le righe cose che non ho scritto. Per risponderti, a tua madre che vive in Veneto la pensione la paghera' sempre l'INPS. Se tua madre va all'ospedale riceve un servizio come residente in Veneto anche se la sanita' e' gestita a livello regionale. Non e' che la sanita' veneta manda meta' del conto alla regione Sicilia perche' lei ha vissuto la prima meta' della sua vita in un'altra regione. Stessa cosa sarebbe con la pensione. Stiamo parlando di autonomia all'italiana, mica di "secessione previdenziale" come l'hai chiamata tu.