Dove sta andando la riforma elettorale?

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Le speranze di migliorare l'attuale 'porcellum' sono esigue ma non nulle.

Il sistema elettorale partorito dal centrodestra nell'autunno del 2005 è stato rapidamente definito 'una porcata' da uno degli autori della legge, e si è quindi meritato il soprannome di porcellum. Questo non significa che vi sia una grande spinta in Parlamento per cambiare la legge elettorale. Il problema, come ben si sapeva, è che entrambe le maggiori coalizioni sono spaccate al loro interno. Data l'importanza che il sistema elettorale riveste per le elites politiche, tutti i partiti sono timorosi di affrontare un tema che potenzialmente può condurre alla rottura delle attuali alleanze e ad un loro rimescolamento.

Le acque sono però state smosse dalla presentazione di una proposta referendaria sorretta da personalità di entrambi gli schieramenti maggiori. Le speranze di una modificazione dell'attuale legge sono quindi legate alla possibilità di riuscita del referendum. Cosa dice il referendum, quali sono gli schieramenti in campo e quali sono le possibilità di successo?


La proposta referendaria


Come abbiamo detto, nel comitato referendario sono presenti personalità di entrambi gli schieramenti. Molti appartengono all'area dell'Ulivo, ma non mancano esponenti di Forza Italia (ad esempio gli onorevoli Stefania Prestigiacomo e Gianfranco Miccichè) e di AN (ad esempio Adriana Poli Bortone). Sono invece assenti, per quel che ne so, leghisti e sinistra rifondarola.

Dato che il referendum può essere solo abrogativo, non si può disegnare una legge elettorale nuova e radicalmente diversa solo attraverso questo strumento. La speranza dei promotori è che la prospettiva di una vittoria del SI, che trasformerebbe l'attuale legge in senso fortemente maggioritario, induca il Parlamento ad affrontare per tempo la materia producendo una più organica legge elettorale maggioritaria. Anche se probabilmente non esiste totale unanimità tra i promotori del referendum su quale sia il sistema migliore, vari esponenti del comitato promotore si sono espressi con chiarezza a favore del doppio turno (si veda qui e qui per posizioni di area DS, e qui per un articolo di area Margherita). Per quel poco che conta, il doppio turno è visto con favore anche da politologi come Sartori (il link è un po' vecchio) e da economisti come Bordignon e Tabellini.

I referendum proposti sono due. Il primo punta a sostituire i singoli partiti alle coalizioni come soggetti recipienti il premio di maggioranza, mentre il secondo elimina la possibilità di candidarsi in collegi multipli. Il testo completo della proposta referendaria si trova qui. Ci limiteremo ad analizzare il primo referendum, che è quello di maggiore impatto sugli incentivi delle forze politiche.

Ricordiamo che l'attuale legge garantisce 340 deputati alla coalizione di partiti che ottiene il maggior numero di voti. Per determinare quali partiti appartengono a una coalizione è necessaria una dichiarazione esplicita anteriore al voto da parte dei partiti stessi. Se passasse il SI al referendum tale meccanismo diverrebbe inutile, dato che il premio di maggioranza verrebbe assegnato unicamente al partito che ottiene più voti. In via illustrativa, con il sistema modificato i 340 seggi sarebbero stati assegnati alle ultime elezioni unicamente alla lista dell'Ulivo, che è risultato il partito più votato con il 31,3% dei voti, anziché all'intera coalizione di centrosinistra. Si tratta ovviamente solo di un esempio, dato che con il sistema modificato è molto probabile che gli schieramenti in campo sarebbero stati differenti. Una riforma analoga è prevista per l'assegnazione dei premi di maggioranza regionali nelle elezioni per il Senato.

Una vittoria del SI al referendum fornirebbe un incentivo molto forte incentivo ad aggregare forze presentando un numero limitato di liste. Si noti che, visto che resterebbe comunque una forte componente proporzionale, per un partito minore sarebbe comunque possibile ottenere rappresentazione parlamentare, ma diverrebbe impossibile essere pivotale alla Camera dei Deputati (tale possibilità esisterebbe in via teorica al Senato, anche se richiede una configurazione abbastanza peculiare dei voti). La fonte di potere principale dei partiti minori con il sistema attuale è esattamente questa possibilità di risultare determinanti ex post per la formazione delle maggioranze parlamentare. Togliere questa possibilità equivale ad azzerare il potere di negoziazione di tali partiti dopo le elezioni, che si troverebbero obbligati ad aggregarsi prima delle elezioni con i partiti più forti. È quasi certo quindi che, se la probabilità di una vittoria del SI fosse alta, anche le forze più ostinatamente proporzionaliste sarebbero costrette a venire a compromessi, accettando una legge a impianto maggioritario.


Gli schieramenti


Per comprendere gli atteggiamenti delle forze politiche nei confronti dei sistemi elettorali è utile analizzare gli incentivi delle elites dominanti di tali partiti. In soldoni: un partito tende a favorire il sistema che più è percepito fare l'interesse immediato di chi comanda nel partito. Il caso italiano presenta però alcune peculiarità.

Per quanto riguarda il centrosinistra Rifondazione, Pdci, Verdi e Udeur sono per il proporzionale, come ci si aspetta da forze minori che sperano di mantenere il proprio potere di negoziazione. DS e Margherita sono per il maggioritario, e anche questo è cosa che ci si può aspettare. Le cose sono in verità un po' complicate dal fatto che il dibattito sul sistema elettorale si incrocia con quello sul Partito Democratico. Le fazioni favorevoli all'unificazione sono ovviamente entusiasticamente a favore di un sistema maggioritario, mentre le fazioni contrarie (soprattutto la sinistra DS) sono assai più tiepide, se non addirittura ostili. Di Pietro è a favore del maggioritario; il suo caso è diverso da quello dei partiti minori, dato che la sua fama personale gli garantirebbe comunque una posizione di prominenza. Discorso simile vale per i radicali, con Pannella e la Bonino al posto di Di Pietro. Per completare il quadro, confesso la mia ignoranza sulla posizione dello SDI.

Nel centrodestra l'UDC afferma chiaramente che vorrebbe rendere il sistema elettorale maggiormente proporzionalista al fine di perseguire più agevolmente la costruzione di una forza centrista slegata dai poli, attirando anche pezzi del centrosinistra (principalmente Mastella e alcuni settori della Margherita). L'idea è quella di diventare partito permanentemente al governo, alleandosi con gli uni o con gli altri a seconda delle possibilità e delle convenienze. Niente di strano, e in verità perfettamente comprensibile. Alleanza Nazionale è invece nettamente in favore del maggioritario, probabilmente perché teme che un sistema elettorale proporzionalista con un forte centro permanentemente al governo la farebbe ritornare alla situazione di opposizione permanente che ha storicamente caratterizzato il MSI. Anche qui niente di strano.

Forza Italia e la Lega Nord sono le peculiarità di cui parlavo prima. Quale sia la posizione della Lega io non lo capisco. Se guardiamo ai suoi interessi di partito direi che la Lega potrebbe beneficiare enormemente o da un sistema proporzionale o da un sistema a doppio turno. Con un sistema proporzionale avrebbe la possibilità di fare lo stesso giochino dei centristi, alleandosi ora con gli uni ora con gli altri e cercando di spuntare i massimi benefici per le forze sociali e geografiche che rappresenta. Questo è stato, per esempio, il comportamento di CiU, il partito nazionalista catalano, che negli ultimi 20 anni ha partecipato al governo spagnolo sia con i socialisti sia con i popolari. Anche con il doppio turno a livello di collegio la Lega otterrebbe probabilmente dei benefici, dato che viene vista come il male minore sia a sinistra che a destra. Nei collegi in cui si presentano tre forze (sinistra, destra e Lega) il candidato leghista sarebbe probabilmente eletto ogni qualvolta riuscisse a raggiungere il secondo turno. Rispetto al sistema proporzionale, credo che il doppio turno presenti per la Lega due vantaggi. Primo, il meccanismo del 'male minore' probabilmente genererebbe più seggi leghisti che un sistema proporzionale. Secondo, il doppio turno è meno favorevole per i centristi e ne ridurrebbe quindi la concorrenza al momento di contrattare l'appoggio a una coalizione o all'altra.

Perché la Lega non si dia più da fare per la riforma elettorale è difficile da capire, e dopo aver passato in rassegna tutte le altre spiegazioni possibili mi sono ridotto a ipotizzare che i dirigenti della Lega siano semplicemente poco svegli. D'altra parte, come classificare un Calderoli che prima firma una legge elettorale e poi la definisce una 'porcata'? Inoltre, la loro gestione della riforma costituzionale nella passata legislatura credo denoti un preoccupante grado di immaturità politica. Prima hanno prodotto una riforma limitata e confusa, e poi hanno fatto una rumorosa propaganda presentandola come il trionfo del Nord sul Sud. L'ovvia e predicibile conseguenza è stata la sconfitta al referendum confermativo (che era assolutamente certo ci sarebbe stato), con il voto contrario di una buona fetta degli elettorali meridionali del centrodestra.

Il caso di Forza Italia è più complesso. Come partito ha chiaramente interesse a un sistema maggioritario, e infatti diversi suoi esponenti si sono chiaramente espressi in tale senso, sia ora che nel passato. Ma FI è un partito anomalo, in cui gli interessi di un leader-proprietario vengono prima di tutto il resto. L'interesse primario di Berlusconi sembra essere quello di garantirsi sufficiente potere, al governo o all'opposizione, per evitare di essere sottoposto a giudizio per le sue malefatte. Non pare abbia ancora deciso quale sistema elettorale più gli convenga. In passato Berlusconi ha boicottato il referendum elettorale del 2000, ma non si è ancora espresso su questo. È possibile che il timore di una rinascita del grande centro lo spinga a favorire l'iniziativa refendaria, e qualche dichiarazione in questo senso c'è stata, ma al momento la confusione regna sovrana.


I numeri


Quali sono le possibilità che il referendum abbia successo? In breve: raggiungere il quorum sarà in ogni caso molto difficile, e praticamente impossibile se Forza Italia non si schiera con decisione a favore del SI.

Sulle riforme elettorali gli elettori non seguono sempre le indicazioni dei propri partiti di riferimento; in media, quando hanno votato nei referendum elettorali precedenti, si sono mostrati chiaramente più favorevoli al maggioritario di quanto lo siano i partiti che li rappresentano. Al tempo stesso è abbastanza chiaro che l'interesse per le riforme elettorali, e per le riforme istituzionali più in generale, si è andato riducendo nel tempo. Detto questo a mo' di cautela, proviamo a ragionare sulle forze elettorali dei partiti e su ciò che esse implicano.

I numeri sono i seguenti. All'ultima consultazione referendaria del giugno 2006 c'erano 49.760.264 elettori. Il numero sarà simile al prossimo referendum, il ché significa che per ottenere il quorum occorrerà portare alle urne circa 25 milioni di persone. È possibile raggiungere tale cifra? Dipende da qual è l'astensionismo che possiamo chiamare `naturale', determinato dall'interesse della popolazione rispetto al tema trattato, e dall'astensionismo strategico delle forze politiche che desiderano far fallire il referendum.

Se guardiamo alla storia recente dei referendum abrogativi i dati non sono incoraggianti. Tutti, senza eccezione, i referendum abrogativi proposti negli ultimi 10 anni non hanno raggiunto il quorum. Il referendum elettorale del 1999 ha raggiunto la partecipazione più alta, mancando il quorum per un soffio, ma la partecipazione fu assai più bassa nel successivo referendum del 2000 (qui trovate tutti i risultati).

Un punto di riferimento naturale per avere un'idea di quale può essere la dimensione dell'astensionismo naturale è la percentuale dei votanti al referendum costituzionale del giugno 2006, quando il quorum non era richiesto per la validità del referendum e nessuna forza politica fece campagna per l'astensione. In tale occasione la partecipazione al voto fu solo del 52,3%. Se la sensibilità dell'elettorato ai temi della riforma elettorale risulta simile a quella della riforma costituzionale allora il fallimento del referendum è praticamente assicurato. Le forze proporzionaliste dell'Unione (Rifondazione Comunista, Pdci, Verdi, Udeur) hanno avuto alle ultime politiche 4.442.174 voti, a cui si aggiungono le forze proporzionaliste del centrodestra (Udc, DC-PSI e le due liste fasciste Alternativa Sociale e Fiamma Tricolore) che hanno ottenuto 3.425.553 voti. Anche se tutti gli altri partiti si schierassero decisamente a favore, l'astensionismo attivo anche solo di una parte degli elettori di tali forze sarebbe sufficienti a impedire il raggiungimento del quorum.

Facciamo quindi l'ipotesi più ottimistica che l'interesse per le riforme elettorali sia più alto. Un limite superiore è sicuramente rappresentato dalla partecipazione alle elezioni politiche dell'aprile 2006. Quanti elettori sono in grado di portare alle urne le forze favorevoli al cambiamento? Al momento, le uniche forze che quasi certamente daranno battaglia a favore del SI sono i DS e la Margherita nel centrosinistra, e AN nel centrodestra. In prima battuta possiamo guardare ai voti della lista dell'Ulivo, pari a 12.353.313, e a quelli di AN, 4.780.415, per avere una indicazione. Il totale è di 17.133.728 voti, per cui anche se Ulivo e AN riuscissero a portare alle urne tutti i propri elettori delle politiche mancherebbero ancora quasi 8 milioni di voti per raggiungere il quorum. Nessuna delle forze minori è in grado di colmare tale divario. Nel centro-sinistra Italia dei Valori e Rosa nel Pugno, che sono forze almeno non pregiudizialmente antiproporzionaliste, hanno avuto 900.000 e un milione di voti rispettivamente. Nel centro-destra la Lega Nord ha avuto 1.767.957 voti. Anche sommando tutto non si colma nemmeno la metà del divario. I numeri quindi suggeriscono in modo stringente che Forza Italia, che alle ultime politiche ottenne 9.251.383 voti, è la forza pivotale per determinare il risultato del referendum.

Ricapitolando: se l'interesse per il referendum sarà simile o poco superiore a quello del referendum costituzionale dello scorso giugno non c'è alcuna speranza per il SI; se invece l'interesse per il tema e la mobilitazione saranno maggiori allora il risultato sarà determinato dalla scelta di Forza Italia.

 

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