Arrivo buon ultimo. I venti minuti spesi su Google mi hanno confermato che il pamphlet di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi ha già creato la valanga di reazioni che, credo, i due autori andavano cercando con il loro titolo. Quel poco che ho letto, però, non m'ha soddisfatto.
Da un lato perché, al solito, il 90% dei commenti guarda alla tattica politica immediata: il posizionamento del PD nello spettro politico italiano, la lotta interna all'attuale coalizione per cercare di fare qualcosa e sopravvivere nei prossimi quattro anni, il desiderio (vero o presunto) di F&A di diventare i maîtres à penser del PD medesimo o per lo meno della sua ala "liberale", ed altre inezie ancora. Non escludo che uno, o anche due, dei motivi precedenti possa esistere ma vorrei spezzare una lancia a favore del lavoro intellettuale: quanto hanno scritto essi lo pensano davvero, al di la della congiuntura politica. Ed è qui, appunto, che io dissento e trovo i loro argomenti alquanto debolucci, oltre che scarsamente originali. È facile provare che l'idea non è particolarmente nuova: l'ho avuta persino io venticinque anni fa, e l'ho sentita ripetere negli ambienti degli economisti accademici europei da quando ho cominciato a frequentarli. Toni Blair ci ha costruito la carriera e chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la Spagna post-franchista sa benissimo che Felipe era molto più liberista sia di Suarez che di Fraga, che Solchaga (il super-liberista) fece il ministro dell'economia con il PSOE e che, dopo trent'anni d'evoluzione ideologica, non è per nulla ovvio che il PP sia oggi complessivamente più liberista del PSOE, anzi.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque. Peccato che sia una tesi erronea. Avendo iniziato il paragrafo precedente con il retorico "Da un lato ...", aggiungo che, dall'altro, la discussione svolta sui giornali e sui blogs italiani risulta intellettualmente insoddisfacente - unica quasi-eccezione: Oscar Giannino su Libero Mercato, il cui testo trovate qui; la cosa m'imbarazza perché su LM ho accettato da poco di scriverci, gratis, e disprezzo i paraculi. Discussione intellettualmente insoddisfacente perché non affronta la tesi cruciale di A&F, cosa che invece vorrei provare a fare qui. Lo farò a modo mio, ovviamente, quindi spero abbiate del tempo da perdere perché l'argomento non è per nulla banale ed io me la son presa comoda. Se il tempo non ce l'avete, amen. Discutere da solo a voce alta è uno dei miei passatempi preferiti.
Caveat No 1: Nel caso che fra i lettori vi siano quelli che ricordano il nostro pezzo sul Cavaliere Bianco aggiungo, in appendice, una chiarificazione che spiega (spero) perché non vi è contraddizione alcuna fra i due scritti e perche il liberismo non possa essere, anche in Italia, che di destra, mentre il Cavaliere Bianco che cerca d'attuarlo debba venire da sinistra.
Tesi erronea di Alesina e Giavazzi: il liberismo è di sinistra perché in un sistema economico basato sulla libera iniziativa individuale e la competizione vi è maggiore mobilità sociale, la condizione delle classi economicamente più svantaggiate è migliore (possono acquistare più beni e servizi a parità di sforzo lavorativo) e, grazie all'abolizione dei privilegi di casta e monopolio, vi è una maggiore uguaglianza fra individui.
Questa tesi di fondo è corredata da argomenti succedanei che servono o da supporto o da ampliamento della tesi stessa. Alcuni di questi argomenti non si ritrovano negli articoli di A&F e sono stati offerti, in guisa varia, da altre persone che condividono la teoria de "il liberismo è di sinistra"; essi ricorrono frequentemente anche qui su nFA. Non sto facendo una recensione del pamphlet di Alesina e Giavazzi; sto cercando di dimostrare che la loro tesi di fondo è sbagliata. Vediamo gli argomenti succedanei.
Argomento succedaneo 1: Il cambiamento è di sinistra, la conservazione è di destra. Oggi il liberismo implica cambiamento e, infatti, vi è ragione di sostenere che il cambiamento può solo venire dall'adozione di modelli economici e di organizzazione sociale di stampo liberista. Se sinistra implica cambiamento e cambiamento implica liberismo allora la proprietà transitiva deve farci concludere che sinistra implica liberismo.
Argomento succedaneo 2a: Nella situazione storica in cui viviamo i partiti di destra sono difensori di posizioni di monopolio e privilegio. Essi favoriscono l'intervento statale al fine di favorire i gruppi che ad essi fanno riferimento ed adottano politiche economiche stataliste con frequenza. Poiché il liberismo è contrario a tali politiche il liberismo non può non essere di sinistra.
Argomento succedaneo 2b: Il medesimo di prima, solo applicato a questioni non strettamente economiche, ossia alle libertà individuali, all'uguaglianza fra i sessi, le razze e le religioni. La destra è allineata con ideologie conservatrici che ritengono vi siano verità morali rivelate di tipo assoluto. Ne consegue che essere di sinistra (ossia, contro la destra) diventa necessario per coloro i quali non credono nell'esistenza di verità morali rivelate ed immutabili.
Argomento succedaneo 3: In Italia la destra è culturalmente ostile a politiche economiche liberali. Infatti, quando e dove arriva al potere non le attua e non manifesta alcun interesse ad attuarle in futuro: l'esperienza sia del primo che del secondo governo Berlusconi, che delle amministrazioni locali targate CdL che l'involuzione reazionaria della Lega ne sono le prove più ovvie. Al contrario, dai partiti di sinistra sorgono sempre più frequentemente proposte ed idee d'impronta liberale. Ancor più (e qui ritorniamo all'erronea tesi fondamantale): se si adottassero delle politiche economiche liberiste alcuni gruppi sociali (che tendono a votare a destra) ne soffrirebbero mentre altri (che tendono a votare a sinistra) ne trarrebbero vantaggio.
Riformulazione della Tesi erronea: Poichè il liberismo conviene solo alla sinistra esso non può essere adottato che dalla sinistra, la qual cosa implica che il liberismo in Italia è di sinistra.
Come vedete ho mischiato, come mischiano anche A&F oltre che i molti che la loro tesi condividono, argomentazioni empiriche ed argomentazioni teoriche o dottrinali. Alcune, come ho detto, non sono nemmeno esplicitamente articolate nello scritto di F&A ma non credo di far loro torto sospettando che in sostanza le condividano. Questi argomenti sono sbagliati.
Errori nell'argomento 3. Trattasi di un argomento empirico, quindi guardiamo i dati. Non che A&F ne producano molti, ma non importa: sono abbastanza noti a tutti e questa non è Econometrica, anzi. In Italia i gruppi sociali che guadagnerebbero da politiche liberiste sono divisi (per ragioni ideologiche in primis, di clientele storiche in secundis) fra destra e sinistra: questo è il vero dramma. I dipendenti pubblici, che ci perderebbero, tendono a votare a sinistra. I piccoli commercianti e professionisti mediamente inefficienti ed evasori, che pure ci perderebbero, a destra. Il parassitismo meridionale, dai finti invalidi ai portieri delle porte che non esistono, oscilla a seconda del vento che tira (vedasi Sicilia vs Campania) anche se tende a favorire la destra, specialmente quella d'origine fascista. Il parassitismo settentrionale (operai, impiegati e proprietari delle grandi aziende private sussidiate, sindacalizzate e protette) vota da sempre a sinistra; incazzosa, tipo Rifondazione, quella degli operai, moderata e molto elegante quella dei proprietari, ma sempre sinistra è. Anche questi ci perderebbero se il liberismo arrivasse: magari non tanti ma qualche anno di lacrime, sangue e licenziamenti dovrebbe passare prima che la riduzione delle tasse e la maggiore crescita economica migliorassero le loro condizioni di vita. Consideriamo ora i gruppi sociali che dal liberismo ci guadagnerebbero. I giovani, non mi pare abbiano una chiara predisposizione per la sinistra; anzi le inchieste sociologiche dicono che quelli che hanno un capitale umano più alto votano a destra. I piccoli imprenditori ed i loro dipendenti, i professionisti competenti e giovani, i quadri o i dirigenti altamente professionalizzati e super-tassati: questi stanno nella loro grande maggioranza a destra, magari confusamente, ma ci stanno. Una fetta, specialmente quella che vive ed opera nelle grandi città, vota a sinistra: sono quel 5-8% che avevo in mente nella mia ultima filippica anti-Berlusconi. Insomma, il conto della base sociale ci dà al più un 50-50 con, a nasometria, un solido vantaggio per la destra. Il liberismo non conviene al popolo che oggi vota a sinistra. Che infatti non lo vuole, come la nostra inchiesta dimostra e come credo Antonio Mele argomenterà a giorni, sulla base anche di quei dati, su Epistemes. Se poi guardiamo ai partiti, andiamo a rotoli. Le radici ideologiche di tutti i partiti italiane sono antiliberiste. Spazio per una storia delle teorie politiche italiche non ce l'ho proprio, ma andiamo con il residuo: di politici esplicitamente liberali e liberisti in Italia, da quando la chiamano Repubblica ma anche quando era Regno dei Savoia, ve ne son stati pochissimi. E quando vi son stati, Einaudi, Malagodi, Carli, La Malfa senior (sto già tirando la coperta alquanto) son sempre stati o a destra o nei paraggi. L'unico partito che esplicitamente, anche se ipocriticamente, si "fonda" su affermazioni liberiste è Forza Italia - ed una parte della Lega prima maniera, quella di Mimmo Pagliarini, per capirsi. A sinistra non riesco a trovare assolutamente nessuno, nessuno. Anzi, quelli che da quelle parti sanno tener in mano una penna quando l'hanno usata è stato per scrivere dotti ed incoerenti trattati che spiegavano perchè il libero mercato e la concorrenza non funzionano e fanno male al popolo. Spero non abbiate bisogno di citazioni per convincervi. Questi i fatti, per quanto riguarda le basi sociali dei due schieramenti.
Errori negli argomenti 2a e 2b. La parte fattuale - relativa alla storia, l'ideologia e le politiche concrete dei partiti italiani che qualche storia hanno - mi sembra coperta da quanto detto prima. Nessuno dei due schieramenti brilla per la sua strenua difesa del liberalismo politico ed economico. Forcaiolo ed amico di dittatori fu il PCI dalle sue origini all'altro giorno, come forcaiola risulta essere AN ed il suo antenato MSI. Prona all'inquisizione fu la DC, sia di destra che di sinistra, dai tempi di Scelba a quelli di Bodrato passando per Donat-Cattin. Ravvedimenti recenti, diciamo dalla seconda meta degli anni '80 in poi, son certo avvenuti in entrambi gli schieramenti, e son benvenuti. Ma non avvantaggiano la sinistra che conserva al proprio interno - perchè, nel caso qualcuno se lo stia scordando, in Italia la sinistra include anche Mussi, Salvi, Bertinotti, Ferrero e tutti gli altri che, appunto, una cosa chiamata La Sinistra stan fondando - elementi che nemmeno l'autocritica sul socialismo ed il comunismo son arrivati a fare. Concludiamo, più modestamente, che il liberalismo politico è in Italia pianta ancor giovane e gracile. Queste le teorie e le pratiche politiche. Per quanto poi riguarda la protezione di privilegi economici, gruppi d'interesse ed altre lobbies, direi che qui la sinistra perde alla grande. Per enormi ed offensivi che siano i conflitti d'interesse di Berlusconi e la sua difesa politica del proprio impero mediatico ed economico, dal punto di vista quantitativo, ossia dal punto di vista di quanti punti di PIL tali interessi si mangiano o riducono, essi sono irrilevanti a fronte dei danni economici che la triplice CGIL-CISL-UIL infligge al popolo italiano. La triplice è e sta a sinistra. Se sul piatto della bilancia volete tirarci i monopoli parassitici della destra (Alitalia, le follie sicule, l'agricoltura sussidiata pugliese, i commercianti protetti ovunque) il risultato non cambia (sempre in termini di punti di PIL). Correttezza vorrebbe, a quel punto, che cominciaste anche a calcolare il costo per il paese di un sistema ferroviario gestito dalla CGIL, delle poste gestite dalla medesima in cooperazione con CISL ed UIL, delle cooperative bianche o rosse protette e sussidiate in centro Italia ... senza parlare, poi, dei milioni di pensionati cinquantenni o bassosessantenni che tali non dovrebbero essere ma sono, grazie all'azione dell'onnipresente triplice. Qui forse sta il "fondamentale" (nel senso in cui si usa nella teoria dei prezzi dei titoli finanziari) che A&F, avendo frequentato poco le interiora della sinistra politica, tendono a scordare: il sindacato costituisce la forza dominante e raggruppa il nocciolo della base sociale della sinistra. Questi i fatti, per quanto riguarda le politiche effettivamente attuate e gli interessi in campo.
Errori nell'argomento 1. Qui possiamo o guardare alla storia o rifugiarci nel nostro specialismo, ossia nelle teorie economiche. In entrambi i casi, l'argomento lascia a desiderare. La questione nominalistica ora conta: se ri-definiamo come "sinistra" i "buoni" della storia (ossia, quelli che alla fine hanno vinto) allora magari qualcosa ci ricaviamo, ma sarebbe un trucco e basta: Robespierre, per non parlare di Stalin, era uno di sinistra. Se non facciamo questa riclassificazione arbitraria, sono guai: le ideologie di sinistra si ispirano, piaccia o meno, ad ideali e teorizzazioni di tipo socialista se non marxista che, dalla metà del 1800 ad oggi han prodotto ben poco progresso economico per le masse proletarie. Lasciamo stare l'URSS, la Cina ed i soliti argomenti stile Berlusconi. Son certo che anche A&F ritengano una fatica improba argomentare che il laburismo inglese sia stato di grande ausilio allo sviluppo economico di quel paese. Ugualmente improbo da sostenersi è l'argomento secondo cui alle radici delle condizioni di vita, senza dubbio gradevoli, di scandinavi e tedeschi vi siano gli ideali liberisti dei loro partiti di sinistra. La sinistra socialdemocratica del nord Europa ha inventato ed edificato lo stato del benessere: questo il suo grande contributo (positivo o negativo, qui non conta) al benestare di quelle società, non il liberismo. Il liberismo, nel Nord Europa, ce l'han messo i partiti di destra. Che poi i partiti di sinistra l'abbiano accettato, come quelli di destra hanno accettato lo stato del benessere, non elimina le radici storiche del liberismo nordeuropeo, che non sono a sinistra. Anche perchè, se dovessimo usare il pseudo-sillogismo secondo cui (a) il socialdemocratici hanno accettato il liberismo, (b) i socialdemocratici sono di sinistra, ergo, (c) il liberismo è di sinistra, dovremmo concludere pure che, avendo accettato i liberali tedeschi lo stato del benessere, allora lo stato del benessere è di destra! Visto che ci troviamo temporaneamente in Germania, le vacche di Hegel comincerebbero a quel punto a pascolare indisturbate nel nostro oscurato cervello, ed io non ho grande passione per i latticini grigi. Veniamo poi alla teoria economica: era di sinistra Adam Smith? Dico Adam Smith, ma potrei dire David Ricardo, Alfred Marshall, Leon Walras o il compaesano Pareto. La risposta è solo parzialmente ovvia: siccome Marx era chiaramente di sinistra (o no?) e diceva che AS e DR erano dei confusi lacchè della borghesia capitalistica, dovremmo a rigor di logica dedurre che erano di destra e chiudere il caso. Il liberismo sarebbe quindi di destra. A questo punto, però, l'intellettuale di ampie, se non necessariamente buone, letture comincia ad agitarsi perchè molti - si veda per esempio il notevole libro di Emma Rothschild, Economic Sentiments: Adam Smith, Condorcet, and the Enlightenment, Cambridge, MA: Harvard University Press, 2001 - sostengono che dipende e che AS, ed altri meno noti amici e colleghi erano di "sinistra" perchè erano contro il sistema di potere stabilito allora, erano contro l'establishment, erano per il cambiamento, la mobilità sociale, l'uguaglianza degli esseri umani. Tutto giusto: l'analisi della Rothschild - e di altri, ma non serve citare: basta leggiucchiare gli originali e si capisce al volo che questi erano contro il potere di allora, ed alla grande - l'analisi dell'Emma Rothschild in Sen, dicevo, non solo è dotta e brillante ma è anche convincente. Ma da questo non segue quanto Francesco ed Alberto teorizzano, per nulla. La ragione è semplice: TUTTI gli -ismi economici che sono stati inventati dal 18esimo secolo in avanti (forse anche da prima ma non sono esperto), erano contro lo stato di cose esistente e volevano offrire ricette più o meno salvifiche per modificare tale stato di cose e migliorare le condizioni delle masse. Forse che il falangismo non voleva il bene del popolo spagnolo ed il fascismo quello dell'italiano a botte (non metaforiche) di corporativismo? Ma certo che sì! Erano di sinistra, anche solo ideologicamente? (Qualcuno, affetto dall'erroneo -ismo secondo cui tutti i dementi sono di sinistra, ci ricorderà immediatamente che Mussolini socialista era e che il Paco, figlio della Bahamonde, lo era certamente di nascosto ... ma ora sto discutendo con A&F quindi ignorerò la demenza in questione.) Non solo: TUTTI gli -ismi spiegano che se le loro ricette verranno propriamente messe in pratica ne guadagneranno le masse popolari, l'uomo medio, i poveri, i proletari, gli esclusi, l'uomo qualunque, la collettività. TUTTI gli -ismi hanno una definizione appropriata di popolo ed uguaglianza che li rende compatibili con la felicità del primo e la realizzazione della perfetta seconda; persino il pazzo con l'orrendo baffetto riusciva a sostenerlo riclassificando coloro i quali alla razza ariana non appartenevano come cosa altra dal popolo stesso. Quindi?
Quindi, riconosciamo il banale fatto secondo cui - dal 1800 in poi, ossia da quando l'assolutismo politico ha cominciato ad evaporare dando un senso alla presenza di visioni politiche fra loro in concorrenza - l'essere di destra o di sinistra sul piano politico si definisce proprio e primariamente in relazione all'essere a favore o contro il liberismo economico! Dittature ci son state sia di destra che di sinistra, massacri e genocidi lo stesso, oppressione delle donne e delle minoranze etniche o religiose o sessuali pure, violazioni delle libertà individuali più elementari entrambi ne hanno prodotto a bizzeffe, per non parlare della censura, dell'assenza di libertà d'espressione o della coltivazione di sentimenti nazionalisti e guerrafondai. Non trovo nessuna dimensione concreta lungo la quale si possa ancora attribuire un qualche significato alla contrapposizione destra-sinistra (per questo spesso uso le virgolette) se non questa:
se credi che il primo teorema del benessere sia una buona approssimazione alla realtà, usabile sul piano pratico e nel disegno di politiche economiche, sei di destra; se credi l'opposto sei di sinistra.
Questa bipartizione non ha nessun valore intrinseco, nel senso che non rende automaticamente migliore la destra alla sinistra o viceversa, ma costituisce un semplice dato di fatto dal quale mi sembra appropriato non prescindere quando si discute di politica economica e di teoria politica. Almeno fra persone, diciamo così, edotte. Dal 1800 in poi coloro i quali ritengono che il mercato, la concorrenza, la meritocrazia, la proprietà privata di quante più cose possibile, NON fanno bene al progresso dell'umanità ed all'uguaglianza degli esseri umani si definiscono di sinistra. Queste persone ritengono che la collettività, lo stato, l'assemblea del popolo, la parrocchia, l'amministrazione comunale o regionale, il vescovado, l'assemblea degli studenti fumati, gli intellettuali benevolenti e sapienti, gli organismi internazionali nei quali i loro studenti meno brillanti percorrono carriere brillanti nondimeno, i ministeri ed i consigli di questo e di quello, siano le entità a cui va delegata non solo la gestione di una quantità sempre maggiore di Prodotto Interno Lordo ma anche la proprietà dei mezzi di produzione che tale lordo prodotto producono. Il che mi conduce all'argomento principale.
Critica della Tesi Fondamentale di Alberto e Francesco. F&A sono ottimi economisti, conoscono il primo teorema del welfare ed hanno appreso (dai dati statistici, dalla teoria e dall'esperienza storica) che i sistemi economici di tipo liberista (nelle loro varie gradazioni, ma dentro limiti dai quali l'Italia odierna trascende alquanto) massimizzano non solo il PIL aggregato, non solo quello medio pro-capite ma anche quello dei gruppi sociali meno avvantaggiati. Per le medesime ragioni sanno anche che il sistema economico liberale massimizza l'innovazione tecnologica, l'efficienza della produzione, il tasso di crescita del benessere economico e di quello sociale in generale. Inoltre, tale sistema permette a, e stimola, gli individui che sanno fare cose utili e le vogliono fare di farle e di riceverne dei benefici sostanziali. Non solo, tale sistema economico massimizza anche i benefici che, da tali attività individuali, ricevono gli altri membri della società, una cosa che nel gergo chiamiamo surplus del consumatore. Insomma, F&A sanno che, fra tutti gli -ismi che hanno promesso il paradiso in terra il liberismo è quello che racconta meno balle: non realizza il giardino incantato, ma rende la valle di lacrime in cui trascorriamo la nostra esistenza meno brulla di quelle realizzate da altri -ismi ancor più fallaci. Concludono da questo che il liberismo dev'essere di sinistra perché la sinistra dice che tale risultati vorrebbe ottenere. Si scordano, come abbiamo visto, che anche la destra sostiene che tali risultati vorrebbe ottenere, e quindi l'argomento non regge. Ma vi è di più: l'uguaglianza che il liberismo e la concorrenza prometteno di realizzare e realizzano è di possibilità di competere, non di vincere. Nel sistema concorrenziale quelli che non sanno competere, che non producono, che non meritano, rimangono indietro rispetto agli altri e vivono peggio degli altri. Non vivono, e qui stá il trucco quindi facciamo attenzione, peggio di quanto vivrebbero in altri -ismi: gli operai di fabbrica stanno molto meglio con il liberismo che con il socialismo. Ma, relativamente ai loro dirigenti, stanno peggio con il liberismo che con il socialismo perché quest'ultimo tende ad eguagliare non la possibilità di concorrere ma i premi, e li eguaglia al ribasso: tutti prendono pochissimo. Lo stesso vale per la mobilità sociale: il liberismo massimizza la possibilità individuale di migliorare la propria condizione di vita, di guadagnare soldi, di fare ciò che piace fare, insomma di vincere. Ma per ognuno che sale nella scala relativa (nota bene, relativa) qualcuno deve per forza scendere: trattasi di proprietà banale di relazioni d'ordine strettamente monotone su insiemi finiti. A fronte dell'opportunità di vincere e muoversi in sù sta il rischio di perdere e muoversi in giù, relativamente parlando ovviamente. La concorrenza che il liberismo induce tende ad erodere ed eliminare le rendite di posizione ed i poteri monopolistici, i privilegi acquisiti senza competere e a mezzo di quelle attività che gli economisti chiamano di "rent seeking" e che io non so ben tradurre. Così facendo, però, il liberismo pone a repentaglio ed elimina le posizioni di sicurezza, tranquillità e quieto vivere (o dolce far nulla) che molte persone tentano di acquisire e sovente acquisiscono in ogni sistema sociale. Il liberismo, insomma, rimescola continuamente le carte perché, se non lo facesse, si fermerebbe l'innovazione tecnologica ed economica che costituisce al tempo stesso il suo motore e la sua benzina. Perché il creativo mercato crei il nuovo occorre che il distruttivo mercato distrugga il vecchio. Mi fermo qua, credo che il punto sia chiaro.
Questa mobilità, questa uguaglianza, questa meritocrazia ed innovazione continua NON sono di sinistra. Sono di destra? Se una classificazione occorre dare, lo sono: sono di destra perché è la cultura di destra che - storicamente individualista e restìa ad accettare "collettivi" di qualsiasi natura come entità di riferimento - definisce questo tipo di uguaglianza, meritocrazia e mobilità come desiderabili. L'uguaglianza alla quale la sinistra aspira è altra da quella che il mercato concorrenziale ed il liberismo promettono ed offrono. La sinistra, chiedere in giro per credere, vuole l'uguaglianza dei premi finali non del diritto di competere. La sinistra vuole la mobilità collettiva e comune verso l'alto, non la mobilità relativa ed individuale che può essere anche verso il basso. La sinistra non vuole l'efficienza ma una cosa che chiamano "equità" e che, non sapendo io ben definire, non definisco. Credo abbia, l'equità della sinistra, lo stesso grado di realizzabilità empirica del moto perpetuo, o dell'Araba Fenice, a seconda del liceo che uno ha frequentato. Queste cose il liberismo non solo non le dà, nemmeno le promette. Il socialismo le promette, però non le dà. La sinistra è socialista e quindi confusa ed auto-contradittoria? Ebbene, lo è ed io non so cosa farci: non sono di sinistra.
Che senso ha, quindi, continuare a dibattere in termini di destra verso sinistra? Personalmente credo non ne abbia nessuno e lo sostengo da tempo: preferisco l'approccio di Deng Xiaoping e cerco il gatto che mangia il topo, fregandomene del suo colore. Son consapevole d'essere in una posizione altamente minoritaria, quindi scomoda; evidentemente da piccolo sognavo di fare il fachiro senza esserne cosciente. Nei due chats serali sopra destra e sinistra fra Andrea Moro ed il sottoscritto - Chat I e Chat II; dovevano essere quattro i dialoghi, e forse sarebbe il caso che lo diventassero: il problema sembra essere d'attualità - questo tema abbiamo provato a sviscerarlo, ed ad essi rinvio. Non per una conclusione, 'chè non abbiamo raggiunto nessuna conclusione, ma per comprendere quanto complesso il problema sia e per provare ad intendere che, forse, vale la pena provare a pensare fuori dalla famosa scattoletta ideologica dove ci hanno infilato circa due secoli fa. Facciamo nFA anche per questo, almeno per quanto mi riguarda.
Ritorniamo al cielo della teoria, e vediamo di concludere. Per farlo invocherò l'esempio ed il conforto d'un grande economista di sinistra, Kenneth Arrow. Il mio vecchio amico Ken, la testa più brillante che abbia pensato a questioni economiche da almeno un secolo a questa parte, si considera senza problemi uno di sinistra. Ed a lui, persona intellettualmente integerrima, i teoremi del benessere (che ha provato per primo nella loro forma moderna coerente) non vanno proprio giù tanto che, per sua ammissione, se li tenne nel cassetto per mesi. Gli sembrava moralmente scandaloso aver provato che un sistema di liberi individui operanti su mercati organizzati in modo concorrenziale potesse raggiungere l'ottimo di Pareto sotto condizioni che, a suo vedere, erano molto generali e, quindi, potenzialmente rilevanti per la politica economica. Ken per questo si considera di sinistra: perchè non trova che il liberismo economico possa realizzare, neanche tendenzialmente o in prima approssimazione, il bene dell'umanità ed il tipo di uguaglianza fra gli uomini (e le donne) che egli ritiene intuitivamente "giusta". Lo stesso vale per molti altri, meno geniali di lui ma senz'altro ottimi economisti. La teoria economica tutta, da almeno un secolo a questa parte, attorno a questa banale divisione s'articola e con essa la politica economica e la politica tout-court. Trattasi di divisione un po' sciocca, se volete, ma trattasi anche dell'unica divisione che ancora attribuisce un minimo di significato al giochetto destra-sinistra. Dire quindi che "il liberismo è di sinistra" mi sembra faccia solo confusione intellettuale, oltre che un pastrocchio politico come lo sgoverno catto-comunista del professor Prodi dimostra ogni giorno da 15 mesi a questa parte. Quindi?
Quindi evitiamo di fare confusione intellettuale, che non mi sembra difetti nel Bel Paese, e vediamo se si riesce poi ad eliminare anche i pastrocchi politici. Essere contro lo stato di cose presente e volerlo abolire, aspirare all'eguaglianza (comunque definita) degli esseri umani ed altre utopiche e deliziose cose non mi risulta essere né di destra né di sinistra, semplicemente è. Ma se abolire lo stato di cose presente costituisce il nostro topo da mangiare, non sarebbe il caso di cercare semplicemente un gatto che effettivamente lo mangi invece di dibattere sul suo colore?
A mò di conclusione, e cercando di guardare in avanti, permettetemi un nanetto che forse suggerisce una diversa interpretazione dell'intera questione destra-sinistra. Da qualche parte nei giorni scorsi devo aver letto che fra psicologi e neurologi stan cercando di trovare se esistono differenze cerebrali misurabili ed obiettive fra coloro che si dichiarano di sinistra e coloro che si dichiarano di destra. L'idea di fondo essendo che coloro i quali si dichiarano di sinistra sono istintivamente proni al cambiamento e lo riconoscono più facilmente, mentre per quelli di destra vale l'opposto: essi cercano la conservazione ed il permanere dello stato di cose presente. Gli esperimenti in questione, al momento, si stanno svolgendo negli USA ed il risultato - come potrebbe essere altrimenti? - conferma l'ipotesi: coloro i quali si definiscono di sinistra sono anche quelli che, negli esperimenti psico-neurologici, riconoscono il cambiamento o la variazione più facilmente e frequentemente degli altri. QED?
Controfattuale: quali risultati vi sareste aspettati se il medesimo esperimento fosse stato condotto nella Russia di Leonid Breznev o nella Polonia di Woichech Jaruzelski? Quale risultati pensate si otterrebbero se l'equipe di simpatici psicologi si traferisse oggi al Malecon de la Habana, en lo de la Cuba feliz de nuestro lider Fidel?
Postilla sul Cavaliere Bianco. Sarò breve :-): la chiarificazione sembra ovvia viste le premesse. Si può riassumere così: "da sinistra" non è la stessa cosa che "di sinistra". Poichè nell'Italia di oggi il liberismo implica cambiamento la tesi che Alberto ed io abbiamo sostenuto, secondo cui il Cavaliere Bianco che costruisce il Partito Liberale Vero deve venire da sinistra, è coerente sia con la piccola evidenza empirica appena menzionata che con le argomentazioni più generali relative alle radici culturali della dirigenza politica della destra italiana. Se leggete il pezzo in questione noterete che parliamo sempre e sistematicamente del personale politico e non degli schieramenti o delle politiche che essi attuano. Argomentiamo che, data la cultura della dirigenza politica della destra italiana, un leader liberista non può emergere dalla medesima: essa non vuole il liberismo e non cerca il cambiamento ma la conservazione dell'esistente, o peggio. Mi dispiace sia così? Ovviamente, ma non posso farci niente. Posso solo continuare ad insistere che quella borghesia professionalmente capace che oggi sta cercando le riforme liberali a sinistra (rendendosi da sola ostaggio di Bertinotti e dei sindacati senza ottenere nulla in cambio, a parte qualche poltrona ministeriale) dovrebbe togliersi la secolare e comoda puzza sotto il naso uscendo allo scoperto su posizioni esplicitamente liberali, ossia di destra. Ma questa è storia vecchia e purtroppo non succederà, come anche questo ultimo pamphlet conferma: quindi Berlusconi e soci non hanno di che preoccuparsi.
Cerchiamo un leader da sinistra per una politica ed un partito di destra: una causa persa, appunto.
in questo lungo post che mi sono letto con molto interesse noto la mancanza delle "lenzuolate" di Bersani. Nell'intento, e ripeto nell'intento, sono chiaramente liberiste! o no? Però quello che voglio argomentare non è nè l'intento nè il risultato effettivo delle liberalizzazioni. Del primo si potrebbe dire che Bersani ha una storia che non è propriamente liberale, del secondo si potrebbe dire che alla fine chi realmente ci ha rimesso (o goduto?) dalle liberalizzazioni sono veramente i panettieri e qualche taxista.
Ma voglio far presente un altro punto. Con queste lenzuolate di intento liberale, Bersani ha acquisito un tale consenso nel popolo di Sinistra che se si fosse presentato alle primarie l'esito (la vittoria di Veltroni) non sarebbe stato così certo. Cioè quello che voglio dire è che una larga parte del popolo di Sinistra si mostra più liberale dei suoi politici. E quindi, io penso, che un'analisi sul fatto se il liberismo sia di Sinistra o di Destra debba partire primaditutto dall'elettorato più che dagli eletti.
E poi sulla teoria economica citata vorrei aggiungere il contributo di Ronald H. Coase, il cui teorema è forse il vero discrimine tra Destra e Sinistra. Chi crede nel teorema sic et simpliciter è di Destra chi crede che è fallibile (non fallito!!! fate attenzione) è di Sinistra. O meglio, chi di Coase (1960) legge con più diletto le prime 20/30 pagine è di Destra, chi inizia dalle ultime 30 è di Sinistra.
Io penso che il mercato può fallire, in termini di efficienza (e poco mi interessa in termini di equità), ma la cui fallibilità può essere meno costosa (in termini ancora efficientistici) alla fallibilità di istituzioni più gerarchizzate. Solo un'analisi comparativa tra le istituzioni può stabilire in un certo contesto, in un certo momento e date alcune condizioni quale istituzione funziona meglio. Questa regolettà è di Destra o di Sinistra? Io penso di Sinistra
Circa l'opera di Giavazzi e Alesina, cito Pareto:
“gli autori non cercano quasi mai quale è la verità, ma cercano argomenti per difendere ciò che già credono la verità, e che è per loro articolo di fede […] La maggior parte degli economisti studiano ed espongono la materia loro avendo in mente di giungere ad una determinata meta […] Infiniti sono i pregiudizi e i concetti a priori dipendenti dalla religione, dalla morale, dall’amor patrio, ecc., che tolgono di ragionare scientificamente delle materie sociali”(Pareto, 1906:117-8)