Il liberismo non è di sinistra.

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Per quanto ci si sforzi di tirare la coperta dei fatti ed il lenzuolo delle teorie, stravolgere l'uso corrente del vocabolario non cambia nulla: il liberismo economico non è di sinistra.

Arrivo buon ultimo. I venti minuti spesi su Google mi hanno confermato che il pamphlet di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi ha già creato la valanga di reazioni che, credo, i due autori andavano cercando con il loro titolo. Quel poco che ho letto, però, non m'ha soddisfatto.

Da un lato perché, al solito, il 90% dei commenti guarda alla tattica politica immediata: il posizionamento del PD nello spettro politico italiano, la lotta interna all'attuale coalizione per cercare di fare qualcosa e sopravvivere nei prossimi quattro anni, il desiderio (vero o presunto) di F&A di diventare i maîtres à penser del PD medesimo o per lo meno della sua ala "liberale", ed altre inezie ancora. Non escludo che uno, o anche due, dei motivi precedenti possa esistere ma vorrei spezzare una lancia a favore del lavoro intellettuale: quanto hanno scritto essi lo pensano davvero, al di la della congiuntura politica. Ed è qui, appunto, che io dissento e trovo i loro argomenti alquanto debolucci, oltre che scarsamente originali. È facile provare che l'idea non è particolarmente nuova: l'ho avuta persino io venticinque anni fa, e l'ho sentita ripetere negli ambienti degli economisti accademici europei da quando ho cominciato a frequentarli. Toni Blair ci ha costruito la carriera e chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la Spagna post-franchista sa benissimo che Felipe era molto più liberista sia di Suarez che di Fraga, che Solchaga (il super-liberista) fece il ministro dell'economia con il PSOE e che, dopo trent'anni d'evoluzione ideologica, non è per nulla ovvio che il PP sia oggi complessivamente più liberista del PSOE, anzi.

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque. Peccato che sia una tesi erronea. Avendo iniziato il paragrafo precedente con il retorico "Da un lato ...", aggiungo che, dall'altro, la discussione svolta sui giornali e sui blogs italiani risulta intellettualmente insoddisfacente - unica quasi-eccezione: Oscar Giannino su Libero Mercato, il cui testo trovate qui; la cosa m'imbarazza perché su LM ho accettato da poco di scriverci, gratis, e disprezzo i paraculi. Discussione intellettualmente insoddisfacente perché non affronta la tesi cruciale di A&F, cosa che invece vorrei provare a fare qui. Lo farò a modo mio, ovviamente, quindi spero abbiate del tempo da perdere perché l'argomento non è per nulla banale ed io me la son presa comoda. Se il tempo non ce l'avete, amen. Discutere da solo a voce alta è uno dei miei passatempi preferiti.

Caveat No 1: Nel caso che fra i lettori vi siano quelli che ricordano il nostro pezzo sul Cavaliere Bianco aggiungo, in appendice, una chiarificazione che spiega (spero) perché non vi è contraddizione alcuna fra i due scritti e perche il liberismo non possa essere, anche in Italia, che di destra, mentre il Cavaliere Bianco che cerca d'attuarlo debba venire da sinistra.

 

Tesi erronea di Alesina e Giavazzi: il liberismo è di sinistra perché in un sistema economico basato sulla libera iniziativa individuale e la competizione vi è maggiore mobilità sociale, la condizione delle classi economicamente più svantaggiate è migliore (possono acquistare più beni e servizi a parità di sforzo lavorativo) e, grazie all'abolizione dei privilegi di casta e monopolio, vi è una maggiore uguaglianza fra individui.

Questa tesi di fondo è corredata da argomenti succedanei che servono o da supporto o da ampliamento della tesi stessa. Alcuni di questi argomenti non si ritrovano negli articoli di A&F e sono stati offerti, in guisa varia, da altre persone che condividono la teoria de "il liberismo è di sinistra"; essi ricorrono frequentemente anche qui su nFA. Non sto facendo una recensione del pamphlet di Alesina e Giavazzi; sto cercando di dimostrare che la loro tesi di fondo è sbagliata. Vediamo gli argomenti succedanei.

 

Argomento succedaneo 1: Il cambiamento è di sinistra, la conservazione è di destra. Oggi il liberismo implica cambiamento e, infatti, vi è ragione di sostenere che il cambiamento può solo venire dall'adozione di modelli economici e di organizzazione sociale di stampo liberista. Se sinistra implica cambiamento e cambiamento implica liberismo allora la proprietà transitiva deve farci concludere che sinistra implica liberismo.

Argomento succedaneo 2a: Nella situazione storica in cui viviamo i partiti di destra sono difensori di posizioni di monopolio e privilegio. Essi favoriscono l'intervento statale al fine di favorire i gruppi che ad essi fanno riferimento ed adottano politiche economiche stataliste con frequenza. Poiché il liberismo è contrario a tali politiche il liberismo non può non essere di sinistra.

Argomento succedaneo 2b: Il medesimo di prima, solo applicato a questioni non strettamente economiche, ossia alle libertà individuali, all'uguaglianza fra i sessi, le razze e le religioni. La destra è allineata con ideologie conservatrici che ritengono vi siano verità morali rivelate di tipo assoluto. Ne consegue che essere di sinistra (ossia, contro la destra) diventa necessario per coloro i quali non credono nell'esistenza di verità morali rivelate ed immutabili.

Argomento succedaneo 3: In Italia la destra è culturalmente ostile a politiche economiche liberali. Infatti, quando e dove arriva al potere non le attua e non manifesta alcun interesse ad attuarle in futuro: l'esperienza sia del primo che del secondo governo Berlusconi, che delle amministrazioni locali targate CdL che l'involuzione reazionaria della Lega ne sono le prove più ovvie. Al contrario, dai partiti di sinistra sorgono sempre più frequentemente proposte ed idee d'impronta liberale. Ancor più (e qui ritorniamo all'erronea tesi fondamantale): se si adottassero delle politiche economiche liberiste alcuni gruppi sociali (che tendono a votare a destra) ne soffrirebbero mentre altri (che tendono a votare a sinistra) ne trarrebbero vantaggio.

Riformulazione della Tesi erronea: Poichè il liberismo conviene solo alla sinistra esso non può essere adottato che dalla sinistra, la qual cosa implica che il liberismo in Italia è di sinistra.

Come vedete ho mischiato, come mischiano anche A&F oltre che i molti che la loro tesi condividono, argomentazioni empiriche ed argomentazioni teoriche o dottrinali. Alcune, come ho detto, non sono nemmeno esplicitamente articolate nello scritto di F&A ma non credo di far loro torto sospettando che in sostanza le condividano. Questi argomenti sono sbagliati.

Errori nell'argomento 3. Trattasi di un argomento empirico, quindi guardiamo i dati. Non che A&F ne producano molti, ma non importa: sono abbastanza noti a tutti e questa non è Econometrica, anzi. In Italia i gruppi sociali che guadagnerebbero da politiche liberiste sono divisi (per ragioni ideologiche in primis, di clientele storiche in secundis) fra destra e sinistra: questo è il vero dramma. I dipendenti pubblici, che ci perderebbero, tendono a votare a sinistra. I piccoli commercianti e professionisti mediamente inefficienti ed evasori, che pure ci perderebbero, a destra. Il parassitismo meridionale, dai finti invalidi ai portieri delle porte che non esistono, oscilla a seconda del vento che tira (vedasi Sicilia vs Campania) anche se tende a favorire la destra, specialmente quella d'origine fascista. Il parassitismo settentrionale (operai, impiegati e proprietari delle grandi aziende private sussidiate, sindacalizzate e protette) vota da sempre a sinistra; incazzosa, tipo Rifondazione, quella degli operai, moderata e molto elegante quella dei proprietari, ma sempre sinistra è. Anche questi ci perderebbero se il liberismo arrivasse: magari non tanti ma qualche anno di lacrime, sangue e licenziamenti dovrebbe passare prima che la riduzione delle tasse e la maggiore crescita economica migliorassero le loro condizioni di vita. Consideriamo ora i gruppi sociali che dal liberismo ci guadagnerebbero. I giovani, non mi pare abbiano una chiara predisposizione per la sinistra; anzi le inchieste sociologiche dicono che quelli che hanno un capitale umano più alto votano a destra. I piccoli imprenditori ed i loro dipendenti, i professionisti competenti e giovani, i quadri o i dirigenti altamente professionalizzati e super-tassati: questi stanno nella loro grande maggioranza a destra, magari confusamente, ma ci stanno. Una fetta, specialmente quella che vive ed opera nelle grandi città, vota a sinistra: sono quel 5-8% che avevo in mente nella mia ultima filippica anti-Berlusconi. Insomma, il conto della base sociale ci dà al più un 50-50 con, a nasometria, un solido vantaggio per la destra. Il liberismo non conviene al popolo che oggi vota a sinistra. Che infatti non lo vuole, come la nostra inchiesta dimostra e come credo Antonio Mele argomenterà a giorni, sulla base anche di quei dati, su Epistemes. Se poi guardiamo ai partiti, andiamo a rotoli. Le radici ideologiche di tutti i partiti italiane sono antiliberiste. Spazio per una storia delle teorie politiche italiche non ce l'ho proprio, ma andiamo con il residuo: di politici esplicitamente liberali e liberisti in Italia, da quando la chiamano Repubblica ma anche quando era Regno dei Savoia, ve ne son stati pochissimi. E quando vi son stati, Einaudi, Malagodi, Carli, La Malfa senior (sto già tirando la coperta alquanto) son sempre stati o a destra o nei paraggi. L'unico partito che esplicitamente, anche se ipocriticamente, si "fonda" su affermazioni liberiste è Forza Italia - ed una parte della Lega prima maniera, quella di Mimmo Pagliarini, per capirsi. A sinistra non riesco a trovare assolutamente nessuno, nessuno. Anzi, quelli che da quelle parti sanno tener in mano una penna quando l'hanno usata è stato per scrivere dotti ed incoerenti trattati che spiegavano perchè il libero mercato e la concorrenza non funzionano e fanno male al popolo. Spero non abbiate bisogno di citazioni per convincervi. Questi i fatti, per quanto riguarda le basi sociali dei due schieramenti.

Errori negli argomenti 2a e 2b. La parte fattuale - relativa alla storia, l'ideologia e le politiche concrete dei partiti italiani che qualche storia hanno - mi sembra coperta da quanto detto prima. Nessuno dei due schieramenti brilla per la sua strenua difesa del liberalismo politico ed economico. Forcaiolo ed amico di dittatori fu il PCI dalle sue origini all'altro giorno, come forcaiola risulta essere AN ed il suo antenato MSI. Prona all'inquisizione fu la DC, sia di destra che di sinistra, dai tempi di Scelba a quelli di Bodrato passando per Donat-Cattin. Ravvedimenti recenti, diciamo dalla seconda meta degli anni '80 in poi, son certo avvenuti in entrambi gli schieramenti, e son benvenuti. Ma non avvantaggiano la sinistra che conserva al proprio interno - perchè, nel caso qualcuno se lo stia scordando, in Italia la sinistra include anche Mussi, Salvi, Bertinotti, Ferrero e tutti gli altri che, appunto, una cosa chiamata La Sinistra stan fondando - elementi che nemmeno l'autocritica sul socialismo ed il comunismo son arrivati a fare. Concludiamo, più modestamente, che il liberalismo politico è in Italia pianta ancor giovane e gracile. Queste le teorie e le pratiche politiche. Per quanto poi riguarda la protezione di privilegi economici, gruppi d'interesse ed altre lobbies, direi che qui la sinistra perde alla grande. Per enormi ed offensivi che siano i conflitti d'interesse di Berlusconi e la sua difesa politica del proprio impero mediatico ed economico, dal punto di vista quantitativo, ossia dal punto di vista di quanti punti di PIL tali interessi si mangiano o riducono, essi sono irrilevanti a fronte dei danni economici che la triplice CGIL-CISL-UIL infligge al popolo italiano. La triplice è e sta a sinistra. Se sul piatto della bilancia volete tirarci i monopoli parassitici della destra (Alitalia, le follie sicule, l'agricoltura sussidiata pugliese, i commercianti protetti ovunque) il risultato non cambia (sempre in termini di punti di PIL). Correttezza vorrebbe, a quel punto, che cominciaste anche a calcolare il costo per il paese di un sistema ferroviario gestito dalla CGIL, delle poste gestite dalla medesima in cooperazione con CISL ed UIL, delle cooperative bianche o rosse protette e sussidiate in centro Italia ... senza parlare, poi, dei milioni di pensionati cinquantenni o bassosessantenni che tali non dovrebbero essere ma sono, grazie all'azione dell'onnipresente triplice. Qui forse sta il "fondamentale" (nel senso in cui si usa nella teoria dei prezzi dei titoli finanziari) che A&F, avendo frequentato poco le interiora della sinistra politica, tendono a scordare: il sindacato costituisce la forza dominante e raggruppa il nocciolo della base sociale della sinistra. Questi i fatti, per quanto riguarda le politiche effettivamente attuate e gli interessi in campo.

Errori nell'argomento 1. Qui possiamo o guardare alla storia o rifugiarci nel nostro specialismo, ossia nelle teorie economiche. In entrambi i casi, l'argomento lascia a desiderare. La questione nominalistica ora conta: se ri-definiamo come "sinistra" i "buoni" della storia (ossia, quelli che alla fine hanno vinto) allora magari qualcosa ci ricaviamo, ma sarebbe un trucco e basta: Robespierre, per non parlare di Stalin, era uno di sinistra. Se non facciamo questa riclassificazione arbitraria, sono guai: le ideologie di sinistra si ispirano, piaccia o meno, ad ideali e teorizzazioni di tipo socialista se non marxista che, dalla metà del 1800 ad oggi han prodotto ben poco progresso economico per le masse proletarie. Lasciamo stare l'URSS, la Cina ed i soliti argomenti stile Berlusconi. Son certo che anche A&F ritengano una fatica improba argomentare che il laburismo inglese sia stato di grande ausilio allo sviluppo economico di quel paese. Ugualmente improbo da sostenersi è l'argomento secondo cui alle radici delle condizioni di vita, senza dubbio gradevoli, di scandinavi e tedeschi vi siano gli ideali liberisti dei loro partiti di sinistra. La sinistra socialdemocratica del nord Europa ha inventato ed edificato lo stato del benessere: questo il suo grande contributo (positivo o negativo, qui non conta) al benestare di quelle società, non il liberismo. Il liberismo, nel Nord Europa, ce l'han messo i partiti di destra. Che poi i partiti di sinistra l'abbiano accettato, come quelli di destra hanno accettato lo stato del benessere, non elimina le radici storiche del liberismo nordeuropeo, che non sono a sinistra. Anche perchè, se dovessimo usare il pseudo-sillogismo secondo cui (a) il socialdemocratici hanno accettato il liberismo, (b) i socialdemocratici sono di sinistra, ergo, (c) il liberismo è di sinistra, dovremmo concludere pure che, avendo accettato i liberali tedeschi lo stato del benessere, allora lo stato del benessere è di destra! Visto che ci troviamo temporaneamente in Germania, le vacche di Hegel comincerebbero a quel punto a pascolare indisturbate nel nostro oscurato cervello, ed io non ho grande passione per i latticini grigi. Veniamo poi alla teoria economica: era di sinistra Adam Smith? Dico Adam Smith, ma potrei dire David Ricardo, Alfred Marshall, Leon Walras o il compaesano Pareto. La risposta è solo parzialmente ovvia: siccome Marx era chiaramente di sinistra (o no?) e diceva che AS e DR erano dei confusi lacchè della borghesia capitalistica, dovremmo a rigor di logica dedurre che erano di destra e chiudere il caso. Il liberismo sarebbe quindi di destra. A questo punto, però, l'intellettuale di ampie, se non necessariamente buone, letture comincia ad agitarsi perchè molti - si veda per esempio il notevole libro di Emma Rothschild, Economic Sentiments: Adam Smith, Condorcet, and the Enlightenment, Cambridge, MA: Harvard University Press, 2001 - sostengono che dipende e che AS, ed altri meno noti amici e colleghi erano di "sinistra" perchè erano contro il sistema di potere stabilito allora, erano contro l'establishment, erano per il cambiamento, la mobilità sociale, l'uguaglianza degli esseri umani. Tutto giusto: l'analisi della Rothschild - e di altri, ma non serve citare: basta leggiucchiare gli originali e si capisce al volo che questi erano contro il potere di allora, ed alla grande - l'analisi dell'Emma Rothschild in Sen, dicevo, non solo è dotta e brillante ma è anche convincente. Ma da questo non segue quanto Francesco ed Alberto teorizzano, per nulla. La ragione è semplice: TUTTI gli -ismi economici che sono stati inventati dal 18esimo secolo in avanti (forse anche da prima ma non sono esperto), erano contro lo stato di cose esistente e volevano offrire ricette più o meno salvifiche per modificare tale stato di cose e migliorare le condizioni delle masse. Forse che il falangismo non voleva il bene del popolo spagnolo ed il fascismo quello dell'italiano a botte (non metaforiche) di corporativismo? Ma certo che sì! Erano di sinistra, anche solo ideologicamente? (Qualcuno, affetto dall'erroneo -ismo secondo cui tutti i dementi sono di sinistra, ci ricorderà immediatamente che Mussolini socialista era e che il Paco, figlio della Bahamonde, lo era certamente di nascosto ... ma ora sto discutendo con A&F quindi ignorerò la demenza in questione.) Non solo: TUTTI gli -ismi spiegano che se le loro ricette verranno propriamente messe in pratica ne guadagneranno le masse popolari, l'uomo medio, i poveri, i proletari, gli esclusi, l'uomo qualunque, la collettività. TUTTI gli -ismi hanno una definizione appropriata di popolo ed uguaglianza che li rende compatibili con la felicità del primo e la realizzazione della perfetta seconda; persino il pazzo con l'orrendo baffetto riusciva a sostenerlo riclassificando coloro i quali alla razza ariana non appartenevano come cosa altra dal popolo stesso. Quindi?

Quindi, riconosciamo il banale fatto secondo cui - dal 1800 in poi, ossia da quando l'assolutismo politico ha cominciato ad evaporare dando un senso alla presenza di visioni politiche fra loro in concorrenza - l'essere di destra o di sinistra sul piano politico si definisce proprio e primariamente in relazione all'essere a favore o contro il liberismo economico! Dittature ci son state sia di destra che di sinistra, massacri e genocidi lo stesso, oppressione delle donne e delle minoranze etniche o religiose o sessuali pure, violazioni delle libertà individuali più elementari entrambi ne hanno prodotto a bizzeffe, per non parlare della censura, dell'assenza di libertà d'espressione o della coltivazione di sentimenti nazionalisti e guerrafondai. Non trovo nessuna dimensione concreta lungo la quale si possa ancora attribuire un qualche significato alla contrapposizione destra-sinistra (per questo spesso uso le virgolette) se non questa:

se credi che il primo teorema del benessere sia una buona approssimazione alla realtà, usabile sul piano pratico e nel disegno di politiche economiche, sei di destra; se credi l'opposto sei di sinistra.

Questa bipartizione non ha nessun valore intrinseco, nel senso che non rende automaticamente migliore la destra alla sinistra o viceversa, ma costituisce un semplice dato di fatto dal quale mi sembra appropriato non prescindere quando si discute di politica economica e di teoria politica. Almeno fra persone, diciamo così, edotte. Dal 1800 in poi coloro i quali ritengono che il mercato, la concorrenza, la meritocrazia, la proprietà privata di quante più cose possibile, NON fanno bene al progresso dell'umanità ed all'uguaglianza degli esseri umani si definiscono di sinistra. Queste persone ritengono che la collettività, lo stato, l'assemblea del popolo, la parrocchia, l'amministrazione comunale o regionale, il vescovado, l'assemblea degli studenti fumati, gli intellettuali benevolenti e sapienti, gli organismi internazionali nei quali i loro studenti meno brillanti percorrono carriere brillanti nondimeno, i ministeri ed i consigli di questo e di quello, siano le entità a cui va delegata non solo la gestione di una quantità sempre maggiore di Prodotto Interno Lordo ma anche la proprietà dei mezzi di produzione che tale lordo prodotto producono. Il che mi conduce all'argomento principale.

Critica della Tesi Fondamentale di Alberto e Francesco. F&A sono ottimi economisti, conoscono il primo teorema del welfare ed hanno appreso (dai dati statistici, dalla teoria e dall'esperienza storica) che i sistemi economici di tipo liberista (nelle loro varie gradazioni, ma dentro limiti dai quali l'Italia odierna trascende alquanto) massimizzano non solo il PIL aggregato, non solo quello medio pro-capite ma anche quello dei gruppi sociali meno avvantaggiati. Per le medesime ragioni sanno anche che il sistema economico liberale massimizza l'innovazione tecnologica, l'efficienza della produzione, il tasso di crescita del benessere economico e di quello sociale in generale. Inoltre, tale sistema permette a, e stimola, gli individui che sanno fare cose utili e le vogliono fare di farle e di riceverne dei benefici sostanziali. Non solo, tale sistema economico massimizza anche i benefici che, da tali attività individuali, ricevono gli altri membri della società, una cosa che nel gergo chiamiamo surplus del consumatore. Insomma, F&A sanno che, fra tutti gli -ismi che hanno promesso il paradiso in terra il liberismo è quello che racconta meno balle: non realizza il giardino incantato, ma rende la valle di lacrime in cui trascorriamo la nostra esistenza meno brulla di quelle realizzate da altri -ismi ancor più fallaci. Concludono da questo che il liberismo dev'essere di sinistra perché la sinistra dice che tale risultati vorrebbe ottenere. Si scordano, come abbiamo visto, che anche la destra sostiene che tali risultati vorrebbe ottenere, e quindi l'argomento non regge. Ma vi è di più: l'uguaglianza che il liberismo e la concorrenza prometteno di realizzare e realizzano è di possibilità di competere, non di vincere. Nel sistema concorrenziale quelli che non sanno competere, che non producono, che non meritano, rimangono indietro rispetto agli altri e vivono peggio degli altri. Non vivono, e qui stá il trucco quindi facciamo attenzione, peggio di quanto vivrebbero in altri -ismi: gli operai di fabbrica stanno molto meglio con il liberismo che con il socialismo. Ma, relativamente ai loro dirigenti, stanno peggio con il liberismo che con il socialismo perché quest'ultimo tende ad eguagliare non la possibilità di concorrere ma i premi, e li eguaglia al ribasso: tutti prendono pochissimo. Lo stesso vale per la mobilità sociale: il liberismo massimizza la possibilità individuale di migliorare la propria condizione di vita, di guadagnare soldi, di fare ciò che piace fare, insomma di vincere. Ma per ognuno che sale nella scala relativa (nota bene, relativa) qualcuno deve per forza scendere: trattasi di proprietà banale di relazioni d'ordine strettamente monotone su insiemi finiti. A fronte dell'opportunità di vincere e muoversi in sù sta il rischio di perdere e muoversi in giù, relativamente parlando ovviamente. La concorrenza che il liberismo induce tende ad erodere ed eliminare le rendite di posizione ed i poteri monopolistici, i privilegi acquisiti senza competere e a mezzo di quelle attività che gli economisti chiamano di "rent seeking" e che io non so ben tradurre. Così facendo, però, il liberismo pone a repentaglio ed elimina le posizioni di sicurezza, tranquillità e quieto vivere (o dolce far nulla) che molte persone tentano di acquisire e sovente acquisiscono in ogni sistema sociale. Il liberismo, insomma, rimescola continuamente le carte perché, se non lo facesse, si fermerebbe l'innovazione tecnologica ed economica che costituisce al tempo stesso il suo motore e la sua benzina. Perché il creativo mercato crei il nuovo occorre che il distruttivo mercato distrugga il vecchio. Mi fermo qua, credo che il punto sia chiaro.

Questa mobilità, questa uguaglianza, questa meritocrazia ed innovazione continua NON sono di sinistra. Sono di destra? Se una classificazione occorre dare, lo sono: sono di destra perché è la cultura di destra che - storicamente individualista e restìa ad accettare "collettivi" di qualsiasi natura come entità di riferimento - definisce questo tipo di uguaglianza, meritocrazia e mobilità come desiderabili. L'uguaglianza alla quale la sinistra aspira è altra da quella che il mercato concorrenziale ed il liberismo promettono ed offrono. La sinistra, chiedere in giro per credere, vuole l'uguaglianza dei premi finali non del diritto di competere. La sinistra vuole la mobilità collettiva e comune verso l'alto, non la mobilità relativa ed individuale che può essere anche verso il basso. La sinistra non vuole l'efficienza ma una cosa che chiamano "equità" e che, non sapendo io ben definire, non definisco. Credo abbia, l'equità della sinistra, lo stesso grado di realizzabilità empirica del moto perpetuo, o dell'Araba Fenice, a seconda del liceo che uno ha frequentato. Queste cose il liberismo non solo non le dà, nemmeno le promette. Il socialismo le promette, però non le dà. La sinistra è socialista e quindi confusa ed auto-contradittoria? Ebbene, lo è ed io non so cosa farci: non sono di sinistra.

Che senso ha, quindi, continuare a dibattere in termini di destra verso sinistra? Personalmente credo non ne abbia nessuno e lo sostengo da tempo: preferisco l'approccio di Deng Xiaoping e cerco il gatto che mangia il topo, fregandomene del suo colore. Son consapevole d'essere in una posizione altamente minoritaria, quindi scomoda; evidentemente da piccolo sognavo di fare il fachiro senza esserne cosciente. Nei due chats serali sopra destra e sinistra fra Andrea Moro ed il sottoscritto - Chat I e Chat II; dovevano essere quattro i dialoghi, e forse sarebbe il caso che lo diventassero: il problema sembra essere d'attualità - questo tema abbiamo provato a sviscerarlo, ed ad essi rinvio. Non per una conclusione, 'chè non abbiamo raggiunto nessuna conclusione, ma per comprendere quanto complesso il problema sia e per provare ad intendere che, forse, vale la pena provare a pensare fuori dalla famosa scattoletta ideologica dove ci hanno infilato circa due secoli fa. Facciamo nFA anche per questo, almeno per quanto mi riguarda.

Ritorniamo al cielo della teoria, e vediamo di concludere. Per farlo invocherò l'esempio ed il conforto d'un grande economista di sinistra, Kenneth Arrow. Il mio vecchio amico Ken, la testa più brillante che abbia pensato a questioni economiche da almeno un secolo a questa parte, si considera senza problemi uno di sinistra. Ed a lui, persona intellettualmente integerrima, i teoremi del benessere (che ha provato per primo nella loro forma moderna coerente) non vanno proprio giù tanto che, per sua ammissione, se li tenne nel cassetto per mesi. Gli sembrava moralmente scandaloso aver provato che un sistema di liberi individui operanti su mercati organizzati in modo concorrenziale potesse raggiungere l'ottimo di Pareto sotto condizioni che, a suo vedere, erano molto generali e, quindi, potenzialmente rilevanti per la politica economica. Ken per questo si considera di sinistra: perchè non trova che il liberismo economico possa realizzare, neanche tendenzialmente o in prima approssimazione, il bene dell'umanità ed il tipo di uguaglianza fra gli uomini (e le donne) che egli ritiene intuitivamente "giusta". Lo stesso vale per molti altri, meno geniali di lui ma senz'altro ottimi economisti. La teoria economica tutta, da almeno un secolo a questa parte, attorno a questa banale divisione s'articola e con essa la politica economica e la politica tout-court. Trattasi di divisione un po' sciocca, se volete, ma trattasi anche dell'unica divisione che ancora attribuisce un minimo di significato al giochetto destra-sinistra. Dire quindi che "il liberismo è di sinistra" mi sembra faccia solo confusione intellettuale, oltre che un pastrocchio politico come lo sgoverno catto-comunista del professor Prodi dimostra ogni giorno da 15 mesi a questa parte. Quindi?

Quindi evitiamo di fare confusione intellettuale, che non mi sembra difetti nel Bel Paese, e vediamo se si riesce poi ad eliminare anche i pastrocchi politici. Essere contro lo stato di cose presente e volerlo abolire, aspirare all'eguaglianza (comunque definita) degli esseri umani ed altre utopiche e deliziose cose non mi risulta essere né di destra né di sinistra, semplicemente è. Ma se abolire lo stato di cose presente costituisce il nostro topo da mangiare, non sarebbe il caso di cercare semplicemente un gatto che effettivamente lo mangi invece di dibattere sul suo colore?

A mò di conclusione, e cercando di guardare in avanti, permettetemi un nanetto che forse suggerisce una diversa interpretazione dell'intera questione destra-sinistra. Da qualche parte nei giorni scorsi devo aver letto che fra psicologi e neurologi stan cercando di trovare se esistono differenze cerebrali misurabili ed obiettive fra coloro che si dichiarano di sinistra e coloro che si dichiarano di destra. L'idea di fondo essendo che coloro i quali si dichiarano di sinistra sono istintivamente proni al cambiamento e lo riconoscono più facilmente, mentre per quelli di destra vale l'opposto: essi cercano la conservazione ed il permanere dello stato di cose presente. Gli esperimenti in questione, al momento, si stanno svolgendo negli USA ed il risultato - come potrebbe essere altrimenti? - conferma l'ipotesi: coloro i quali si definiscono di sinistra sono anche quelli che, negli esperimenti psico-neurologici, riconoscono il cambiamento o la variazione più facilmente e frequentemente degli altri. QED?

Controfattuale: quali risultati vi sareste aspettati se il medesimo esperimento fosse stato condotto nella Russia di Leonid Breznev o nella Polonia di Woichech Jaruzelski? Quale risultati pensate si otterrebbero se l'equipe di simpatici psicologi si traferisse oggi al Malecon de la Habana, en lo de la Cuba feliz de nuestro lider Fidel?

Postilla sul Cavaliere Bianco. Sarò breve :-): la chiarificazione sembra ovvia viste le premesse. Si può riassumere così: "da sinistra" non è la stessa cosa che "di sinistra". Poichè nell'Italia di oggi il liberismo implica cambiamento la tesi che Alberto ed io abbiamo sostenuto, secondo cui il Cavaliere Bianco che costruisce il Partito Liberale Vero deve venire da sinistra, è coerente sia con la piccola evidenza empirica appena menzionata che con le argomentazioni più generali relative alle radici culturali della dirigenza politica della destra italiana. Se leggete il pezzo in questione noterete che parliamo sempre e sistematicamente del personale politico e non degli schieramenti o delle politiche che essi attuano. Argomentiamo che, data la cultura della dirigenza politica della destra italiana, un leader liberista non può emergere dalla medesima: essa non vuole il liberismo e non cerca il cambiamento ma la conservazione dell'esistente, o peggio. Mi dispiace sia così? Ovviamente, ma non posso farci niente. Posso solo continuare ad insistere che quella borghesia professionalmente capace che oggi sta cercando le riforme liberali a sinistra (rendendosi da sola ostaggio di Bertinotti e dei sindacati senza ottenere nulla in cambio, a parte qualche poltrona ministeriale) dovrebbe togliersi la secolare e comoda puzza sotto il naso uscendo allo scoperto su posizioni esplicitamente liberali, ossia di destra. Ma questa è storia vecchia e purtroppo non succederà, come anche questo ultimo pamphlet conferma: quindi Berlusconi e soci non hanno di che preoccuparsi.

Cerchiamo un leader da sinistra per una politica ed un partito di destra: una causa persa, appunto.

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Commenti

Ci sono 67 commenti

in questo lungo post che mi sono letto con molto interesse noto la mancanza delle "lenzuolate" di Bersani. Nell'intento, e ripeto nell'intento, sono chiaramente liberiste! o no? Però quello che voglio argomentare non è nè l'intento nè il risultato effettivo delle liberalizzazioni. Del primo si potrebbe dire che Bersani ha una storia che non è propriamente liberale, del secondo si potrebbe dire che alla fine chi realmente ci ha rimesso (o goduto?) dalle liberalizzazioni sono veramente i panettieri e qualche taxista.

Ma voglio far presente un altro punto. Con queste lenzuolate di intento liberale, Bersani ha acquisito un tale consenso nel popolo di Sinistra che se si fosse presentato alle primarie l'esito (la vittoria di Veltroni) non sarebbe stato così certo. Cioè quello che voglio dire è che una larga parte del popolo di Sinistra si mostra più liberale dei suoi politici. E quindi, io penso, che un'analisi sul fatto se il liberismo sia di Sinistra o di Destra debba partire primaditutto dall'elettorato più che dagli eletti.

 

E poi sulla teoria economica citata vorrei aggiungere il contributo di Ronald H. Coase, il cui teorema è forse il vero discrimine tra Destra e Sinistra. Chi crede nel teorema sic et simpliciter è di Destra chi crede che è fallibile (non fallito!!! fate attenzione) è di Sinistra. O meglio, chi di Coase (1960) legge con più diletto le prime 20/30 pagine è di Destra, chi inizia dalle ultime 30 è di Sinistra.

Io penso che il mercato può fallire, in termini di efficienza (e poco mi interessa in termini di equità), ma la cui fallibilità può essere meno costosa (in termini ancora efficientistici) alla fallibilità di istituzioni più gerarchizzate. Solo un'analisi comparativa tra le istituzioni può stabilire in un certo contesto, in un certo momento e date alcune condizioni quale istituzione funziona meglio. Questa regolettà è di Destra o di Sinistra? Io penso di Sinistra

 

Circa l'opera di Giavazzi e Alesina, cito Pareto:

“gli autori non cercano quasi mai quale è la verità, ma cercano argomenti per difendere ciò che già credono la verità, e che è per loro articolo di fede […] La maggior parte degli economisti studiano ed espongono la materia loro avendo in mente di giungere ad una determinata meta […] Infiniti sono i pregiudizi e i concetti a priori dipendenti dalla religione, dalla morale, dall’amor patrio, ecc., che tolgono di ragionare scientificamente delle materie sociali”(Pareto, 1906:117-8)

Michele, ma che importanza ha tutto questo? A me pare chiaro che AA&FG stanno lodevolmente tentando di convincere chi in Italia si reputa "di sinistra" che le riforme liberali non puzzano di zolfo, e non c'e' da sentirsi traditori di classe a sostenerle; e l'impresa e' lodevole proprio perche' a chi in Italia si definisce di destra piacciono per lo piu' i cavalieri neri (e/o unti), non quelli bianchi .

Dico "chi si definisce", perche' i termini "destra" e "sinistra" non hanno molto significato al di la' della soggettiva interpretazione di chi li usa. Ad esempio, tu dici:

Che poi i partiti di sinistra l'abbiano accettato, come quelli di destra hanno

accettato lo stato del benessere, non elimina le radici storiche del liberismo

nordeuropeo, che non sono a sinistra.

Be', mica tanto: Levellers e Whigs inglesi e i Founding Fathers americani avevano nemici molto piu' "a destra" di loro: la Casta dell'epoca, i proprietari terrieri e Giorgio III Hanover.

Quindi, riconosciamo il banale fatto secondo cui - dal 1800 in poi, ossia da

quando l'assolutismo politico ha cominciato ad evaporare dando un senso alla

presenza di visioni politiche fra loro in concorrenza - l'essere di destra o di

sinistra sul piano politico si definisce proprio e primariamente in relazione

all'essere a favore o contro il liberismo economico!

Neanche questo e' vero: le battaglie liberali della Anti-Corn Law League (per sostenere le quali Walter Bagehot fondo', nel 1843, la rivista "The Economist") furono combattute contro una classe latifondista che non e' certo definibile "di sinistra". Le controversie tra James Stuart Mill e Thomas Carlyle non vertevano solo sulla schiavitu', ma anche sui sussidi ai produttori di zucchero nelle colonie: Carlyle, un proto-fascista se mai ce ne fu uno, era schierato sia a favore della prima che contro la fine dei secondi (a partire dal Sugar Duties Act of 1846). Siamo qui in pieno '800, e i nemici di "free trade" e meritocrazia erano solidamente schierati a destra. E successivamente, nel XX secolo, non dirmi che il corporativismo fascista era economicamente liberale!

Ma vi è di più: l'uguaglianza che il liberismo e la concorrenza prometteno di

realizzare e realizzano è di possibilità di competere, non di vincere. Nel

sistema concorrenziale quelli che non sanno competere, che non producono, che

non meritano, rimangono indietro rispetto agli altri e vivono peggio degli

altri. Non vivono, e qui stá il trucco quindi facciamo attenzione, peggio di

quanto vivrebbero in altri -ismi: gli operai di fabbrica stanno molto meglio con

il liberismo che con il socialismo. Ma, relativamente ai loro dirigenti, stanno

peggio con il liberismo che con il socialismo perché quest'ultimo tende ad

eguagliare non la possibilità di concorrere ma i premi, e li eguaglia al

ribasso: tutti prendono pochissimo.

Su questo ho i miei dubbi. Tanto per cominciare, i coefficienti di Gini nei vari paesi sono assai piu' legati al grado di modernizzazione dell'economia che alle politiche di libero mercato perseguite.

In secondo luogo, e' tutto da dimostrare che l'uguaglianza, se raggiunta a spese del tenore di vita dei ceti piu' poveri, sia un obiettivo da perseguire da parte di ha a cuore le sorti di quei ceti: in genere chi e' di sinistra e' egalitario solo perche' crede alla fallacia del "gioco a somma zero". Cancellare questi radicati pregiudizi non e' facile, ma vale la pena provarci, anche a costo di usare ossimori come "market socialism" ;-)

Infine, io considero lo strapotere e le paghe principesche di CEO e affini non come una caratteristica del capitalismo, ma come un insulto ad esso, dato che privilegia gli interessi di alcuni impiegati su quegli degli azionisti. Persino il ridicolo culto della personalita' che spesso li circonda, col corollario di servizi adulatori di Fortune o Forbes e/o libri per middle-managers semianalfabeti e semideficienti che sognano di diventare il prossimo Jack Welch, e' piu' consistente con regimi politici come quello della Corea del Nord che con una societa' liberale.

Per ricapitolare, a me pare che in quest'articolo la tua logica sia viziata da circolarita': prima definisci "sinistra" quel che il termine e' passato a significare nell'Italia contemporanea, e poi da li' deduci che riforme liberali sono inconsistenti con politiche "di sinistra". A parte il fatto che il ragionamento darebbe risultati pressoche' identici sostituendo "sinistra" con "destra", che guadagno viene, alle probabilita' di successo di politiche liberali, dal negarne la compatibilita' con la sinistra? Piu' costruttiva mi pare l'opera di AA&FG, che stanno cercando di separare nella sinistra il grano liberale dal loglio socialista; e semmai ci sarebbe bisogno di qualcuno di buona volonta' che facesse la stessa cosa nell'attuale destra politica (possibile che Antonio Martino si trovi a suo agio nello stesso partito del delirante commercialista postmoderno di Sondrio?). Discutere su quello che e' "di sinistra" o "di destra" serve solo a mostrare quanto queste categorie siano inadeguate.

Enzo: una domanda provocatoria ma seria.

Tu l'articolo mio, e quelli a cui rinvia, l'hai letto prima di fare il commento o l'hai solo "scorso"?

Dico questo perche' - dettagli irrilevanti a parte tipo le date esatte di quando gli epigoni feudali hanno smesso d'avere rilevanza politica - non ti pare che le cose che dici siano cose che anche io dico, e da tempo oltre che in questo articolo? 

Non ho certo deciso io d'impostare il tema sul binario "liberismo e' di destra/sinistra" ... io mi son semplicemente dedicato a discutere tesi avanzate da altri, e non solo da Francesco ed Alberto.

Rimane la domanda del perche' io abbia deciso d'infilarmi in tale dibattito. Se si mettono assieme le cose che ultimamente ho provato a scrivere, a me la risposta viene chiara ma, evidentemente, cosi' non e'. Appena ho un attimo, allora, rispondo al perche' e chiarifico le mie motivazioni. Nel frattempo, pero', credo sia piu' rilevante concentrarsi sulla sostanza di questo dibattito, se interessa. Senno', well senno' no.

Credo questo risponda anche alla parte rilevante del commento di Morabito. Quali cause siano utili o inutili, questo lo lascio ad altri decidere. Chiaramente a me interessano quasi solo quelle perse.

 

 

Sono rimasto un po' interdetto anche io come Enzo di questo fiume di parole per una causa inutile.

Che ne so, cominciamo a chiederci allora se bloggare e' di sinistra, o se MySpace e' di sinistra, o se pizza-e-birra-cinque-euro e' di sinistra? Queste domande hanno senso solo per chi fa le scelte in maniera...idiotologica, e cioe' letteralmente per partito preso. Non penso sia il caso di Boldrin, che pero' farebbe bene ad illuminare sul perche' di tutto questo.

se posso intervenire, mi permetto di dire alcune cose, in riferimento a scrooge e anche a enzo.

Alcune norme varate da Bersani di liberista hanno solo il nome che gli ha dato lui. Esempietto: ricariche dei cellulari. Altro esempietto: la data di scadenza dei prodotti alimentari. Ancora: obbligo di indicare il prezzo complessivo delle tariffe aeree.

In generale, poi, dove liberalizza effettivamente qualcosa, la logica della legge e' invertita: ovvero, si scrive una legge per dire "e' permesso fare questo" (esempio, e cito la legge: "Art. 5
Interventi urgenti nel campo della distribuzione di farmaci
1. Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 114, possono effettuare attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di
automedicazione, di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con
modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a
prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l'esercizio
e secondo le modalità previste dal presente articolo. E' abrogata ogni norma incompatibile.") . Un liberista serio probabilmente avrebbe semplicemente scritto: abrogo tutte le leggi sull'argomento, fate un po' come volete per vendere ste medicine, basta che non facciate male al prossimo senno' pagate i danni.

inoltre: quando si eliminano dei divieti precedentemente stabiliti, mica si eliminano tutti. no, giusto qualcuno. e per poche tipologie di imprese. non si scrive: le attivita' commerciali e professionali di qualsiasi tipo sono libere. No. si eliminano le tariffe fisse di quella professione, si elimina il divieto di associarsi per quell'altra professione, si eliminano le restrizioni di distanza tra un certo tipo di esercizio commerciale ed un altro... se si continua cosi, forse per il giorno dell'apocalisse ce la facciamo...

Insomma: l'impianto generale delle riformette di Bersani e' da dirigista in alcuni casi, da statalista in altri, e da riformatore-gradualista-dei-piccoli-passi in altri ancora. Liberista, direi di no. Ma se volete chiediamo a Maggie.

Insomma, gli asini non posson volare. Non c'e' proprio modo. Possono magari convicervi che se agitano forte forte le orecchie, allora si libreranno in volo. Magari a voi vi sembra pure di vederli, li', che si sollevano da terra. Ma occhio: e' una illusione ottica.

Anche per questo, mi chiedo come Michele continui a pensare che il salvatore della patria arrivera' da sinistra. Da sinistra (inteso in senso culturale, non partitico) puo' solo arrivare un asino che vi racconta che lui si', volera', stavolta ci potete giurare. E si presentera' anche con delle belle ali di cartone, e ve le mostrera' per convincervi. Ma come gia detto: gli asini non possono volare.

L'unica speranza che abbiamo e' che si faccia avanti qualcuno ( o piu' di uno, meglio ancora) che abbia davvero le ali, che come auspichi con Alberto Bisin abbia letto Hayek e Friedman, e che magari dica cose come questa. E che proprio perche' dice cose del genere, come dice Michele nel suo articolo, sia (culturalmente) di destra.

 

L'esempio della vendita dei medicinali da banco nei supermercati non mi sembra un grande esempio per la tua tesi, rabbi. Non mi sembra che la semplice comunicazione al Ministero della salute sia un onere molto gravoso per un supermercato. E poi, preferisci che questa possibilità ci sia o vuoi lasciare il monopolio alle farmacie e manifestare con i farmacisti? Insomma, se è vero che molte delle liberalizzazioni di Bersani sono imperfette (e l'esempio delle ricariche lo mostra in modo evidente), vuoi con questo concludere che quelle fatte sono inutili o addirittura dannose? O Maggie o niente? Se il liberismo è solo quello della Thatcher, allora in Italia né destra né sinistra sono liberiste.

 

 

 

Anch'io vorrei intervenire con una puntualizzazione su un aspetto credo controverso ma poco sottolineato nei commenti visti sinora: la seguente definizione data da michele:

se credi che il primo teorema del benessere sia una buona approssimazione alla realtà, usabile sul piano pratico e nel disegno di politiche economiche, sei di destra; se credi l'opposto sei di sinistra.

La definizione non mi e' piaciuta per due motivi. Primo perche' una buona parte dei nostri fedeli lettori non ha la piu' pallida idea di cosa sia il primo teorema del benessere. Cerco di chiarire con un grafico, che mi serve poi a spiegare il motivo piu' sostanziale per cui questa definizione non mi aggrada. Spero di non annoiare troppo chi queste cose le sa gia'.

first welfare theorem

Il grafico presuppone che al mondo ci siano 2 sole persone (il ragionamento e' facilmente estendibile a 2 miliardi, ma i grafici li so fare solo in 2 dimensioni nonostante il mio diploma di geometra). Gli assi rappresentano il benessere dei nostri due individui e la parte gialla rappresenta tutte le combinazioni di benessere tecnicamente e fisicamente raggiungibili in natura. I due possono morire di fame, ed in questo caso il loro benessere verrebbe rappresentato dall'origine degli assi. Oppure potrebbero stare entrambi benone, come nel punto R.

Il primo teorema del benessere dice che, a certe condizioni sulle quali non vale la pena soffermarsi, mercati concorrenziali conducono a risultati che stanno sulla frontiera dell'area gialla (la curva rossa su cui stanno i punti P ed R). Non ci dice dove si arriva, ma dice che con certezza non sara' possibile migliorare il benessere di qualcuno senza peggiorare quello di qualcun altro (la definizione di "ottimo paretiano", che definisce tutti i punti sulla curva rossa).

Ebbene Michele vorrebbe raccontarci che credere in questo corrisponde ad essere di destra. Michele non e' nuovo a definizioni eterodosse e temo che il suo disaccordo con le tesi di A&G stia tutto qui. Temo che A&G pensino ad una definizione diversa, per esempio la seguente: e' di sinistra chi preferisce il punto R al punto P, di destra chi e' indifferente, purche' siano uguali le condizioni di partenza che hanno condotto gli individui ad arrivare all'esito, qualunque esso sia. La definizione di destra che propongo non e' tanto diversa da quella di Michele (specialmente considerate le puntualizzazioni contenute nel resto dell'articolo). Quella di sinistra si'. Azzardo un'ulteriore precisazione: e' di sinistra preferire istituzioni che generano risultati che massimizzino l'esito di chi sta peggio (il concetto Rawlsiano di giustizia). Cioe' istituzioni che permettono di avvicinarsi piu' al punto R che al punto P.

Non capisco come credere in questo significhi non credere nei teoremi del benessere. Uno puo' credere nel teorema ed ugualmente preferire il punto R al punto P. C'e' un punto di contatto con la definizione di Michele, credo, ma sta in una parte non esplicita della sua definizione: chi e' di sinistra crede anche che debba essere l'intervento del governo a ricondurre l'esito ad una situazione preferibile. E questo puo' valere anche per chi usa la mia definizione e pensa che debba essere il governo a sollecitare il passaggio da P a R (e che possa farlo).

Ma passiamo ad A&G e alle liberalizzazioni. A&G, io credo, pensano ad una definizione simile alla mia. Pensano che l'Italia si trovi nel punto AG (la posizione precisa non e' importante, importa solo quella relativa con gli altri punti). E questo non perche' non credano nei teoremi del benessere, ma perche' in Italia le condizioni sulle quali il teorema si basa (la concorrenzialita' dei mercati, per esempio), non sono verificate. Berlusconi vorrebbe tanto spingere il paese verso B; i rifondaroli e i sindacati vorrebbero spingerci alla destra di AG, ma propongono politiche che ci mandano verso K (e cioe, come abbiamo spiegato piu' volte in questo sito, danneggiano non solo le elites, ma anche i lavoratori, vuoi per ignoranza, vuoi perche' il "cipputi" del mio grafico e' un coacervo di tipi diversi dei quali i protetti dei sindacati sono una sparuta minoranza, e facendo una media nel complesso ci rimettono).

Ebbene, a cosa servono le liberalizzazioni? A muoverci da AG verso la frontiera togliendo le barriere che impediscono al teorema di verificarsi. Si rischia di finire sul punto P, certo, ma c'e' un sacco di spazio alla sua destra che permette esiti preferiti dalla "sinistra", secondo la definizione da me data. Io credo che una seria discussione del libro si possa fare cercando di discutere se liberalizzazioni esistano che spingano il paese verso un punto a Nord-Est di AG, o se questo sia inevitabilmente impossibile. Se fosse cosi' allora si', le liberalizzazioni sono di sinistra.

 

 

 

Lascerei stare Rawls. Delle due l'una:

1) Se lo prendi seriamente, il max_{C}[ min_{i} U(C^i)] di Rawls implica che la sinistra diventa il partito dei punkabestia ...

2) Se non lo prendi seriamente, allora Rawls diventa max_{Club} [Med{i}U(Club^i)] e la sinistra diventa il partito del Club Med ... 

In medium stat virtus: questa sinistra sembra una combinazione convessa di 1) e 2), ora che ci penso!

 

andrea, scusa ma anche tralasciando rawls: il discorso di A&G, se lo interpreto come lo interpreti tu, non regge. Dici che la sostanza e' tra punto R e punto P. Posso darti ragione. Ma non e' che uno di destra dica che e' indifferente tra R e P. Lui dice semplicemente che se l'economia si dirige verso P e tu tenti di spostarla verso R, allora R magicamente diventa non-feasible. Perche' questo? Secondo Teorema del Benessere: ridistribuendo gli endowments IN MODO NONDISTORSIVO,  e poi lasciando agire i mercati, ottengo un qualsiasi punto sulla curva rossa.

Il trick e' IN MODO NON DISTORSIVO: qualsiasi meccanismo a cui puoi pensare e' distorsivo. Ridistribuire gli endowments in modo non distorsivo e' una cosa impossibile in realta', perche' nella realta' esiste una cosa che si chiama tempo, e il tempo cambia tutto nel tuo ragionamento, perche' fa cambiare gli endowments endogenamente. Ipotizzando che abbia costo amministrativo uguale a zero, un metodo redistributivo (i.e., tasse e trasferimenti) e' non distorsivo se colpisce solo basi imponibili fisse per sempre. Ti sfido a trovarne una, in un mondo dinamico. 

Una domanda per chi definisce il liberismo culturalmente di destra: come si concilia il protezionismo adottato spesso e volentieri da partiti di destra quali i repubblicani e i gollisti col liberismo?

E come la mettiamo con l'affermazione semplicistica che non accettano "collettivi di qualsiasi natura"? Dove va tutta la retorica della famiglia della destra? Nella pattumiera? E quella dei collettivi verticali (patria, nazione, esercito, chiesa?) 

Sono curioso.

A sinistra c'hanno un sacco di difetti: hanno seguito marx e keynes (che era un liberale classico, ancorche' intellettualmente altalenante, e in quanto a comprensione della portata logica delle proprie idee non ea un fulmine di guerra) per decenni, quando avevano gia' sul finire dell'ottocento teorici dell'individualismo (Herzen, per esempio, che Marx detestava). Meglio tardi che mai. Il libro di A&G non l'ho letto, ma non ho difficolta' a credere che il suo scopo sia semplicemente divulgativo, come dice Enzo.

Il parassitismo settentrionale (operai, impiegati e proprietari delle grandi aziende private sussidiate, sindacalizzate e protette) vota da sempre a sinistra

I veri parassiti nel settore privato a Nord sono i proprietari delle grandi imprese assistite. Gli operai, anche quelli delle grandi imprese private, lavorano produttivamente per pochi soldi netti, il massimo guadagno parassitario che hanno e' l'iper protezione dal licenziamento per pochi fannulloni, e magari se vogliamo qualche distacco sindacale. Lo dimostra il fatto che gli imprenditori del Nord sono letteralmente affamati di immigrati disposti a lavorare per 1000 Euro al mese (vuol dire che ci guadagnano, mentre sfido chiunque a dire che un operaio nel Nord-Italia con 1000 Euro al mese e' un parassita che consuma piu' di quanto produce), e la disoccupazione al Nord e' minima a dispetto delle tasse e dell'art. 18, ed e' anche generalmente inferiore agli USA e agli altri paesi che al contrario dello Stato italiano sono relativamente liberisti e pro-impresa.

La produttivita' degli operai al Nord, e il fatto quindi che non siano parassiti, e' paradossalmente effetto delle politiche economiche dello Stato italiano, specificamente i contratti nazionali, che riducono i salari degli operai nelle aree produttive per aumentare quelli delle aree meno produttive. 

Sono anche in disaccordo sul fatto che gli operai del Nord-Italia votino a sinistra. Solo una minoranza vota a sinistra (prevalentemente nelle grandi imprese), vedi ad esempio questo studio recente che copre dal dopoguerra al 2006. In molte province il primo partito operaio e' oggi addirittura Forza Italia, e la Lega Nord era e ancora in parte continua ad essere primo partito operaio con percentuali tipiche del 30% in gran parte del Nord. Il PDS e continuazioni varie e' tipicamente il 3o partito tra gli operai del Nord. Forse questo e' collegato al fatto che non sono parassiti, o forse piu' probabilmente alla prevalenza della subcultura bianca a Nord del Po.

 

 

ostante il matematichese imperante, non e' poi cosi' difficile intendere che cosa sinistra e destra vogliano dire in politica,non nel traffico.

La destra e' persuasa, da argomenti in parte teorici ed in parte empirici, che un sistema mercatista e' piu' efficiente in termini assoluti; vale a dire indipendentemente dai risultati, as esempio in termini di crescente ineguaglianza in redditi, opportunita', positioni, status, e cosi' via.

La sinistra e' persuasa, da argomenti molto teorici ed assai poco empirici, che i valori a cui si appella (piu' uguaglianza, piu' cultura al popolo, piu' servizi pubblici, etc.) siano talmente forti da rendere appelli mercatistici irrilevanti.

Dopo di che' le osservazioni qui presentate mostrano che la destra, storicamente e non concettualmente, va da Alfredo Covelli a Alfredo Stroessner, e la sinistra va da PP (Pol Pot) a PPP (Pier Paolo Pasolini.)

Se si vuol discutere di questo si puo', ma gli attacchi assai goffi di Alesina e Giavazzi di cui ho letto solo parte mi sembrano risentire di una sciocchezza di fondo. Essere di "sinistra" e' in questo idioletto equivalente ad essere "buoni" (per il cambiamento, per il progresso, per tutto quel che vi piace come qualificato "buono"), mentre essere di destra e' essere retrivi.

 

Semplicemente, si puo' benissimo discutere di effetti: sono le cosidette liberalizzazioni realizzate (Russia? Latvia?) tali da essere quantificabili come efficienti *e* in grado di salvaguardare eguaglianza, und so weiter?

Se la risposta e' negativa, esse sono di destra. Come tali sono affatto neutre, ergo il liberismo non e' di sinistra come non e' di destra.

 

Non penso che la "sciocchezza di fondo" venga da Alesina e Giavazzi. Essa viene prima di tutto dalla sinistra stessa, dalla propaganda che fa, dai valori a cui si appella.

Alesina e Giavazzi stanno solo cercando di convincere una consistente parte dell'elettorato italiano, che condivide i valori e gli obiettivi propagandati dai politici di sinistra, che gli strumenti proposti dai suddetti politici non sono adatti a raggiungere tali obiettivi.

Considero troppo impegnativo per me e anche poco proficuo argomentare se il liberismo sia di sinistra o di destra, specialmente se poi l'applicazione del ragionamento deve essere l'Italia di oggi, dove sia destra che sinistra sono qualcosa di estremamente confuso, composito e diviso.

Suppongo che il saggio di Alesina e Giavazzi sia destinato al "mercato" italiano e debba essere inteso come una raccomandazione alla sinistra italiana di attuare politiche liberiste, dopo che la destra si e' auto-squalificata in questo ambito nella recente esperienza di governo. Da questo punto di vista il loro lavoro mi sembra meritorio.

Purtroppo pero' mi sembrano minime le speranze che in Italia vengano attuate coscientemente politiche liberiste, perche' semplicemente non esistono, o sono ultra-minoritari gli elettori con idee liberiste, non solo i partiti libersiti, come la storia d'Italia lo conferma ampiamente

Premetto che a mio personale parere vi puo' essere interesse e consenso per una politica liberista solo da parte di elettori che

1) siano compiutamente alfabetizzati

2) siano e siano coscienti di essere economicamente produttivi e competitivi nel confronto internazionale

Probabilmente nemmeno queste due condizioni sono sufficienti, ed e' necessaria una terza condizione:

3) siano vincenti e coscienti di esserlo sul piano economico nel contesto internazionale

Secondo me quando si verificano le condizioni sopra c'e' interesse al liberismo, mentre il liberismo non e' un opzione connaturata ad elettori non compiutamente alfabetizzati e istruiti e/o non coscienti di poter competere bene col resto del mondo.

Nella storia dello Stato italiano nessuna delle tre condizioni e' realizzata. O meglio si puo' concedere che in Italia le persone piu' potenzialmente vicine al liberismo secondo il mio schema sono imprenditori e dipendenti qualificati delle piccole e medie imprese private competitive del centro-nord, che pero', forse anche perche' immersi nella palude catto-fascio-comunista italiana non sono compiutamente alfabetizzati e coscienti.

Non essendoci convinzioni liberiste diffuse negli elettori, a parte forse un 2-4% del voto ad essere generosi, mi sembra improponibile in partenza sperare che vengano attuate in Italia politiche liberiste in base ad un disegno coerente, compiuto e condiviso.

Forse Alesina e Giavazzi sperano che un governo pur ideologicamente distante anni-luce dal liberismo adotti mozziconi di provvedimenti liberisti, imperfetti, incompiuti, parziali e soprattutto senza un disegno complessivo coerente al puro scopo di produrre effetti positivi per gli elettori che poi si traducano in consenso elettorale. Questo mi sembra un obiettivo concreto e plausibile. Tuttavia e' sbagliato limitare l'appello alla sinistra, secondo me sia la destra che la sinistra al potere sono potenzialmente in grado di adottare provvedimenti liberisti se ritengono che questo possa avvantaggiarle elettoralmente, anche se sia destra che sinistra adotteranno politiche del genere solo come ultima risorsa, perche' non coerenti coi loro riferimenti ideologici. Perche' qualcosa si muova e' necessario che:

1) la maggioranza al governo veda il proprio consenso polverizzato, e vi sia la realistica prospettiva che la parte politica avversa vinca le prossime elezioni

2) i provvedimenti liberisti appaiano piu' efficaci e meno costosi di altri

Come ho gia' scritto in un precedente messaggio, l'Italia e' amministrata cosi' male che qualunque maggioranza al governo vedra' il proprio consenso sgretolarsi non appena sara' percepita come responsabile del funzionamento dello Stato. Questo e' accaduto immediatamente per la maggioranza di sinistra ora al governo, che ha vinto le elezioni per un soffio, mentre e' accaduto sfortunatamente solo dopo anni con la maggioranza di destra uscita dalle trionfali elezioni del 2001. Al momento, la sinistra vede il proprio consenso a terra, e le possibilita' che una coalizione di destra vinca le prossime elezioni sono elevate.

Valendo la prima condizione, il saggio di Alesina e Giavazzi potrebbe essere utile a soddisfare la seconda condizione: speriamo. Dopotutto provvedimenti come quelli di Bersani, pur con tutti i loro limiti, sono meglio di nulla. Scommetto che un sondaggio rivelerebbe che hanno perfino spostato qualche voto. E sono personalmente convinto che provvedimenti liberisti possono essere articolati in maniera da produrre risultati che dovrebbero appartenere alla visione politica di una sinistra moderna come maggiore parita' di opportunita', maggiore riconoscimento del merito personale rispetto alle rendite ereditarie di posizione, riduzione di extra-profitti dovuti a rendite monopoliste e cosi' via.


Insomma, F&A sanno che, fra tutti gli -ismi che hanno promesso il paradiso in terra il liberismo è quello che racconta meno balle: non realizza il giardino incantato, ma rende la valle di lacrime in cui trascorriamo la nostra esistenza meno brulla di quelle realizzate da altri -ismi ancor più fallaci.

 Un commento su questa frase di Michele: penso che la quantità di lacrime di un individuo o di un gruppo di individui non sia un valore assoluto, ma relativo, in funzione della maggiore o minore quantità di lacrime di altri individui o di altri gruppi.

In sostanza un aumento della disuguaglianza sociale in un certo sistema economico e politico (misurabile ad esempio con l'indice di Gini) fa aumentare la "percezione di lacrime" anche se le lacrime in sè potrebbero essere quantitativamente inferiori a quelle registrabili in un altro sistema. Una politica "di sinistra" dovrebbe tener conto di questo aspetto (diminuire l'indice di Gini) e potrebbe non essere, necessariamente, liberista. Peraltro nell'Italia di oggi, dove vige un sistema più feudale che capitalistico, penso che il liberismo sia sicuramente di sinistra: tra dieci anni magari non più.

In sostanza un aumento della disuguaglianza sociale in un certo sistema

economico e politico (misurabile ad esempio con l'indice di Gini) fa

aumentare la "percezione di lacrime" anche se le lacrime in sè

potrebbero essere quantitativamente inferiori a quelle registrabili in

un altro sistema. Una politica "di sinistra" dovrebbe tener conto di

questo aspetto (diminuire l'indice di Gini) e potrebbe non essere,

necessariamente, liberista.

Ma e' lo sviluppo economico a ridurre le diseguaglianze, non le politiche di sinistra. Confronta questa mappa con quest'altra

Caro Enzo,

hai sicuramente ragione per quanto riguarda il passato, e concordo con te. Quello che vorrei affermare è che una politica "liberista" (che storicamente ha sicuramente favorito lo sviluppo economico e ridotto le disuguaglianze) potrebbe non garantire la riduzione delle disuguaglianze in futuro. Dico potrebbe, ma un articolo dell'Economist di 2 o 3 settimane fa confermava che l'indice di Gini, in questi ultimi anni, sta aumentando in tutti i Paesi (unica eccezione il Brasile). Forse bisognerebbe studiare meglio gli attuali meccanismi che collegano liberismo - sviluppo - disuguaglianza.

Comunque se l'obiettivo di mangiare il topo (ovvero ridurre la disuguaglianza) si raggiunge con una gatto liberista (come a mio giudizio potrebbe essere, in questi anni, in Italia), ben venga il liberismo, che sarà, in questo caso, di sinistra.

Continuo a non capire perche' sia un bene in se' e per se' ridurre la diseguaglianza economica, o anche in qualsiasi altra attivita' dove possa esistere una misura di "performance",  dallo sport all'amore, dal gioco delle carte all'eleganza, dalla capacita' letteraria/musicale/pittorica a quello che volete voi.

Insisto, in se' e per se'. Delle varie ed intricate teorie morali o altro che da decenni mi diletto a leggere ho estratto una ed una sola conclusione: per placare la nostra invidia. Ne vale la pena? Qualcuno ha un'altra teoria coerente? Davvero, continuo a non capire.  

Non ho molto tempo per una risposta articolata, quindi chiedo scusa in anticipo per la genericità.

Tuttavia, empiricamente, mi sembra che  le società con una spinta alla eliminazione delle disuguaglianze economiche,  siano anche quelle con migliore qualitàdi vita, mi sbaglio ? .

La piu' semplice delle quali dice semplicemente che ridurre le diseguaglianze economiche e' il modo piu' efficiente per ridurre conflitti. Se i conflitti medesimi siano solo effetto di "cause" prodotte dall'invidia (come cita Michele Boldrin, vide supra) e' possibile ma e' una delle ipotesi e nemmeno la piu' chiara, a modesto avviso del sottoscritto.

Ci sono, gia' quintali di carta e di megabytes sui temi della percezione dell'ingiustizia, e in molti casi l'invidia ha nulla a che fare con essa.

 

 

 

Puoi dirci un pochino di piu' su queste teorie? Qual'e' l'argomento teorico, quali le ipotesi e quali le basi empiriche di ipotesi e, soprattutto, conclusioni?

Se intendo bene l'idea sarebbe che societa' diseguali, indipendentemente dal livello medio del reddito, generano conflitti dannosi fra gruppi sociali. Ossia, nell'Irak di Saddam e nella Russia di Breznev, o nella Cuba di Castro, la gente avrebbe dovuto essere in piazza a far barricate da mane a sera, cosi' come nel Brasile si Lula, o no?

 

 Ho letto un paio di libri sul genocidio degli Armeni nel 1917 ("La Masseria delle Allodole", ora anche un film, ed "i 40 giorni del Mussadagh"). Sono romanzi e non saggi di storia, scritti da Armeni e dunque magari non del tutto obiettivi, ma par proprio che l'invidia sia stata di gran lunga la più importante "ragione" del genocidio.

Precisazione. il bel libro i 40 giorni del Mussadagh é di Franz Werfel, che non é un armeno. Chiarito questo, osservo che il valore della sua testimonianza non aumenta, né diminuisce, per questo motivo. Starei attento a giudicare l'attendibilità di qualcuno sulla base della sua origine etnica e del suo grado di coinvolgimento emotivo o personale. La storia recente, e anche meno recente, é fatta di testimoni direttamente coinvolti, ma non per questo meno credibili.

Se posso, mi sembra una posizione un po' "ingenerosa". Il titolo del libro è volutamente provocatorio, come anche le sue argomentazioni. Non credo proprio i due volessero dare l'"esclusiva" delle liberalizzazioni e il copy-right dei teoremi del benessere alla Sinistra. Piuttosto sfatare l'opposta vecchia credenza (particolarmente radicata in Italia): che il liberismo non può essere di sinistra perchè contraddice i suoi storici ideali. Così da giungere alla risposta che può essere sia di sinistra che di destra. Il superamento delle rendite artificiosamente create dalla normativa antiquata è un punto di affermazione della democrazia, è lo spirito e in alcuni casi direttamente il dettato della nostra Costituzione, in cui non possono non riconoscersi sia la Sinistra che la Destra.

Bisognerebbe aver letto interamente il libro prima di parlarne.

 Tuttavia, le pur scarse decisioni liberiste del Governo Prodi sono molto di più di quanto abbia fatto il Governo Berlusconi (nonostante quest'ultimo abbia fatto delle "libertà" il suo cavallo di battaglia).

andando al sodo ad un giovane studioso dell'Economia come me pare che in Italia ci sia una destra conservatrice e una metasinistra liberista.

Resto deluso da Berlusconi e sorpreso dal Governo Prodi (in particolare da Bersani). Allora, o questa sinistra in realtà non è sinistra, o hanno fatto un ottima svolta verso il centro (anche destra).

Aiutatemi! non capisco più! 

Bersani ti ha sorpreso? Per la liberalizzazione del mercato dei parrucchieri, o perchè ha permesso alle coop di vendere i medicinali nei loro supermercati? Perchè ha cancellato per decreto i costi di ricarica dei cellulari che ha portato a un aumento delle tariffe, o perchè nella sua precedente stagione governativa dice di aver "liberalizzato il commercio", come ha spesso l'ardire di ricordare?

Che la destra abbia fatto poco, mi sembra evidente, ma il cosiddetto liberalismo di Bersani è quanto di più lontano ci sia dal liberalismo vero.

Vi segnalo, dato che Michele non lo ha fatto, che c'è un suo articolo che recensisce il libro di A&G (una versione modificata di questo articolo, essenzialmente) sul Corriere di oggi (purtroppo non ho ancora trovato il link su corriere.it). Nel Corriere di oggi, sopra il suo articolo giganteggia un articolo di una persona che Michele stima molto. Vi fornisco un indizio: è di Sondrio.

 

Grazie fausto, credo tu ti riferisca a questi due articoli: 

L'articolo di Michele

Quello del commercialista

Calvin: L'unica differenza sostanziale [con un hedge fund] è che la banca "tradizionale" offre

strumenti per il regolamento dei pagamenti, e in base a questo sottosta

alla vigilanza della BC

 

E ti pare poco? E il fatto che 3monti non capisca questa "piccola" differenza significa che e' proprio un imbecille. In base a che un fondo privato di investimento i cui soci si spartiscono i guadagni tra di loro dovrebbe essere regolamentato nello stesso modo di un istituto che offre "demand deposits" al pubblico, come sostiene lui? E questo 3monti sarebbe l'esperto finanziario piu in gamba della destra liberale italiana? 

 

Mi hai battuto sul tempo ... ho fatto troppa attenzione allo speaker!

Mi permetto d'aggiungere un altro esempio che prova come il nostro commercialista non sappia di cosa parla. Ha mai visto una holding finanziaria vecchio stile, una delle tante per cui il suo studio commerciale lavora? Emettono azioni, obbligazioni a lungo, obbligazioni a breve e prendono a volte anche a prestito dalle banche; queste sono le loro passivita'. All'attivo hanno azioni di societa', immobili, terre, altre obbligazioni di altre societa' ... Che anche l'IFIL sia una banca che occorre regolare?

se non l'ha gia' fatto notare qualcuno, anche la bella Naomi sembra essere d'accordo con Michele (recensito qui). E chi lo compra in Italia legge anche Jo Stiglitz e Giovanni XXIII. Mah.

Non leggo la Klein ne' intendo iniziare. La recensione conferma che dice scemenze ancor piu' incoerenti di quelle del commercialista da Sondrio, la qual cosa e' forse cio' che ci accomuna perche' non capisco in quale altro senso la mia critica dell'argomento di A&G sia collineare con le follie della signorina ...

Ce lo spieghi?

 

Chiedo perdono. So di commentare un articolo di diversi anni fa, ma ho avuto modo di leggerlo solo oggi.

 

Per quanto condivida buona parte delle cose scritte nell'articolo, mi limito a dissentire sul fatto che buona parte di cio` che di liberista abbiamo visto in Italia venisse da destra.

 

Se certamente si puo` considerare il PLI di destra, non credo che lo stesso ragionamento si possa fare per il PRI. Che fosse "centro laico", "sinistra democratica" o "centrosinistra" mi sembra che si evitasse sempre di definirli di destra. Anche perche` gli stessi elementi chiave, da Spadolini a La Malfa senior e Visentini, credo non avrebbero gradito.

Certo, in altri paesi PLI e PRI non verrebbero probabilmente neppure considerati cosi` laissez-faire come qui, ma ci tenevo a fare questa piccola (forse insignificante) precisazione.

 

La tesi di fondo ha un suo perche`. Trovo, ad esser sincero, che sarebbe molto piu` facile far riferimento alle culture politiche piu` che allo schieramento parlamentare.

D'altronde sinistra e destra vengono percepiti in maniera diversa in diversi paesi.

Quando invece parliamo di liberalismo, sappiamo meglio a cosa andiamo incontro.

 

Credo che in molti di noi influisca il fatto che una destra moderata e moderna in Italia non sia mai esistita. Si passava dall'MSI alla DC, dai fascisti ai preti. Forse, tutto sommato, dirsi di sinistra democratica e non marxista ci fa (e faceva) sentire meglio per questo. Poi arrivato Berlusconi definirsi liberali di sinistra faceva capire in poche parole la nostra grande distanza da quel personaggio. Certo, con il senno di poi sarebbe stato meglio chiarire il concetto che si era liberali autentici, e che SB e i suoi erano/sono una cricca di colberisti populisti.

 

PS: interessante notare come nonostante tutto tanti liberisti vengano dal PCI-PDS e dintorni. Non solo, mi sembra di capire, l'autore dell'articolo.

Oltre ai rilievi che fai, che condivido, ed alle osservazioni sui tragitti personali sottolineo questa tua frase

"Trovo, ad esser sincero, che sarebbe molto piu` facile far riferimento alle culture politiche piu` che allo schieramento parlamentare."

che coglie lo spirito dell'articolo.

Infine, sulle osservazioni "personali", che valgono per moltissime persone e non solo per i redattori di nFA. Esse meriterebbero una riflessione storica attenta che io non so fare.

Com'è che il "liberalismo moderno" in Italia è sia cosa recente, post anni '70, sia prodotto quasi interamente di persone che in gioventù svilupparono la loro indipendenza culturale e politica nella "sinistra" degli anni '70? Prima degli anni '70 il "liberalismo italiano" ha avuto espressione limitata a circoli intellettuali molto ristretti e socialmente super-elitari. Si', certo, ci furono Einaudi e Leoni e, prima di loro, alcuni notevoli pensatori ed economisti. Ma il loro impatto sociale fu infinitesimo, un infinitesimo ancor minore di quanto lo sia ora, che e' gia' microscopico. Ma la storia sociologica delle idee non la so fare ... :(

... questo eccellente articolo di MB e la discussione. Siccome il tema mi appassiona, aggiungo i miei due centesimi.

MB ha ragione se si riferisce alla sinistra che intende l’eguaglianza in senso piuttosto letterale, come in effetti la intendono molti a sinistra (certamente la sinistra arrabbiata e molti cristiani idealisti, fra cui includerei papa Francesco, letta la sua ultima enciclica e sentite tante sue dichiarazioni). Ma credo che MB avrebbe in parte torto (in un senso che chiarisco alla fine) se si riferisse a una sinistra più moderata che intende l’eguaglianza come eguaglianza di base (traducibile come basic equality?), cioè:

- oltre che pari diritti civili e politici, quelli già garantiti da qualsiasi Stato civile nel ventesimo secolo – o almeno dal 1971 volendo includere anche la Svizzera col diritto di voto alle donne;

- oltre che pari opportunità per quanto possibile, senza cioè violare libertà di scelta individuale, proprietà privata e diritti di successione ereditaria, se non moderatamente (il primo e forse anche il secondo punto sono condivisi dalla destra, non sono specifici della sinistra, ma li richiamo per completezza);

- anche sostanziale accessibilità da parte di tutti a quel livello minimo di beni e servizi che in una data società e in un dato momento storico consente una cittadinanza decente, e in particolare consente che le opportunità non siano pari solo formalmente ma si avvicinino abbastanza ad una parità sostanziale.

Le qualificazioni della definizione precedente di eguaglianza di base (relative specialmente ai termini in grassetto del terzo punto, che è quello davvero problematico) sono alquanto vaghe, ma tale indefinitezza è inevitabile e non mi sembra un difetto letale: spetta alle forze sociali e politiche definirle via via in modo più preciso e concreto – com’è avvenuto ad esempio per i diritti politici in Svizzera, attraverso un processo secolare.

Se s’intende l’eguaglianza come una tale eguaglianza di base, largamente indipendente dalle diseguaglianze di reddito e ricchezza denunciate da Piketty e tanti altri, credo che in vari paesi civili esista una parte di sinistra più o meno ampia che l’intenda così. Il liberismo è compatibile con una tale più ragionevole sinistra. Economisti come Kenneth Arrow (citato in questo senso da MB stesso) ritenevano di appartenervi, come ritengono di appartenervi, non insensatamente dal punto di vista qui prospettato, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi.

In conclusione, direi che gli argomenti di MB mostrano in modo convincente che il liberismo è congruente con la destra. Ma il liberismo è pure compatibile con una sinistra che si limiti a volere (ciò che ho inteso per) una eguaglianza di base. Questa conclusione, che corregge solo in parte la tesi di MB, non dovrebbe dispiacere ai fautori del libero mercato. (Nei contesti in cui fosse impossibile tracciare un confine fra sinistra ragionevole e irragionevole, nel senso qui delineato, avrebbe totalmente ragione MB.)

Last but not least: questa idea di eguaglianza di base credo sia condivisa anche dalla destra più ragionevole. E’ per questo che la distinzione fra destra e sinistra lascia ormai il tempo che trova, almeno fra le persone ragionevoli e minimamente informate, come pure sostiene MB. Rimane l’opposizione fra una sinistra e una destra più estreme e rigide, impiccate, la prima, a un’idea rozzamente letterale di eguaglianza e, la seconda, a un’idea altrettanto rozzamente letterale di libertà.

appassionato quanto me di questi temi, dice che la "mia" eguaglianza di base è una priorità per la sinistra, mentre per la destra può non esserlo. Giusto.

La questione, per il poco che vale, nella mia prospettiva è allora questa: il liberismo è compatibile con il perseguire l'eguaglianza di base come priorità (rispetto ad altri obiettivi politici pure importanti e da perseguire)? La risposta è empirica e può variare a seconda di circostanze e contesti storici. Il mio punto è che non vi è ragione di ritenere generalmente incompatibili liberismo ed eguaglianza di base. Anzi, nel contesto attuale, specialmente in Italia, ho pochi dubbi che politiche liberiste avrebbero come effetto una maggiore eguaglianza di base, cioè più (occasioni di) prosperità per buona parte delle classi inferiori, a cominciare dagli immigrati - insieme ovviamente a svariati altri effetti positivi. Niente di nuovo ovviamente per chi frequenta nfa.

Buongiorno, anche io sono molto appassionato al tema, ma temo che lei abbia impostato tutto il suo ragionamento su una illusione ottica, ovvero la differenziazione fra "uguaglianza in senso letterale" e "uguaglianza di base" con la prima, che a quanto capisco, si configurerebbe banalmente come un basso/nullo livello di indice di Gini, e la seconda invece come un elevato livello di mobilità intergenerazionale (oltre al discorso sul livello minimo di vita decente). Il problema è che questi due tipi di uguaglianza nella realtà sono una cosa sola, nel senso che indice di gini ed indice di mobilità intergenerazionale sono inversamente correlati, vedi ad esempio:

freakonomics.com/2012/01/19/is-higher-income-inequality-associated-with-lower-intergenerational-mobility/

 

Uguaglianza di risultato e uguaglianza di opportunità sono, it turns out, due facce della stessa medaglia, una medaglia diffusa più che altro in Scandinavia (Finlandia, Danimarca, Norvegia...)