La questione ha una certa importanza. Non sto qui a ricordare perché molti governi sono oggi impegnati in importanti operazioni di "consolidamento fiscale" (cioè azioni per aumentare il saldo primario del bilancio pubblico e, quindi, ridurre lo stock di debito). Ci sono due modi per fare il consolidamento. O si riduce la spesa pubblica, o si aumenta il gettito fiscale. Vorrei far notare subito che per aumentare il gettito fiscale vi sono due possibili metodi, almeno in via di principio. Il primo consiste nell'aumento della pressione fiscale a reddito nazionale più o meno invariato. Il secondo consiste nel riuscire a far aumentare il reddito nazionale a pressione fiscale più o meno invariata. Per tagliare la spesa pubblica, invece, bisogna proprio e solo tagliare la spesa pubblica. In ogni caso, per ragioni che sono sia ovvie che tediose da ripetere, la vulgata economica nazionale (inclusi i tecnici che compongono questo governo) ritiene che per aumentare il gettito fiscale l'unica maniera sia aumentare le tasse. Infatti, il problema della crescita non se lo sono posto per più di un anno ed anche ora se lo stanno ponendo in forma del tutto retorica. Ricordato questo ritorniamo a far finta che vi sia solo una maniera di aumentare il gettito fiscale, ossia l'aumento delle imposte.
È di ovvio interesse capire cosa sia meno dannoso per l'economia, nel senso di meno recessivo: se il consolidamento fiscale è necessario per evitare il collasso delle finanze pubbliche (e se a causa di miopia politica siamo costretti a farlo nel mezzo di una recessione anziché, come sarebbe saggio, durante un boom) dobbiamo scegliere un modo di realizzarlo che non aggravi ulteriormente la crisi produttiva e occupazionale in atto. A molti piace chiedersi se è quindi meglio tagliare la spesa o aumentare le tasse.
I due studi menzionati ottengono su questo punto risultati apparentemente inconciliabili. Riassumo citando i due passaggi salienti (mia libera traduzione):
Alesina, Favero, e Giavazzi (AFG, da qui in poi) scrivono (p. 2):
Gli aggiustamenti fiscali basati sui tagli alla spesa sono molto meno costosi in termini di riduzione della produzione che quelli basati sulle tasse. In particolare, gli aggiustamenti basati sulla spesa sono associati a recessioni leggere e brevi [...]. Invece, gli aggiustamenti basati sulle tasse sono seguiti da recessioni prolungate e profonde.
Batini, Callegari, e Melina (BCM, da qui in poi) scrivono (p. 8):
Se il consolidamento deve essere fatto durante una fase recessiva (per esempio, per recuperare la fiducia dei mercati), dovrebbe dare priorità all'aumento delle imposte nette.
L'Italia si trova in una fase recessiva ed è costretta a un importante aggiustamento fiscale. Secondo AFG questo dovrebbe consistere prevalentemente di tagli alla spesa pubblica. Secondo BCM, invece, di aumenti delle imposte nette. Questa apparente divergenza è fonte di notevole confusione, e lo scopo di questo post è aiutare il lettore non specialista a eliminarla, o per lo meno ridurla.
Ci sono importanti differenze tra i due studi che possono spiegare perché i risultati sono, apparentemente, diversi. Riassumo quelle che a me paiono le principali nella tabella qui sotto. Nel resto del post commenterò brevemente ciascuna differenza, al livello il più possibile comprensibile a una persona senza un background economico e statistico. L'appendice contiene alcuni approfondimenti. Una volta chiarite le differenze ognuno potrà giudicare da sé quale risultato sia più rilevante e più credibile in specifiche circostanze storiche.
AFG | BCM | |
Campione |
17 paesi OCSE, 1980--2005 |
4 paesi OCSE + Euro, periodi vari 1970,1985--2007,2010 |
Evento |
Piano di consolidamento per riduzione deficit | Singolo shock fiscale (positivo o negativo) |
Tecnica |
Narrativa per isolare shock + regressione lineare |
Threshold Vector Auto-Regression |
Definizione spesa |
Consumi + investimenti + trasferimenti pubblici | Consumi + investimenti pubblici |
Definizione tasse | Imposte e tasse |
Imposte e tasse al netto dei trasferimenti pubblici |
Intervallo confidenza | Si | No |
Il campione. La prima differenza riguarda il campione utilizzato. AFG studiano 17 paesi OCSE (Australia, Austria, Belgio, Canada, Germania, Danimarca, Spagna, Francia, Regno Unito, Irlanda, Italia, Giappone, Olanda, Portgallo, Stati Uniti), nel periodo 1980-2005. BCM studiano 4 paesi (Francia, Italia, Giappone, Stati Uniti) più i paesi dell'area Euro aggregati in una singola entità, in vari periodi (dai 40 anni tra il 1970 e il 2010 per la Francia, ai 24 anni tra il 1985 e il 2009 per l'aggregato area Euro). Non c'è niente di sbagliato nell'utilizzare un campione piuttosto che un altro, ma naturalmente da campioni diversi si ottengono tipicamente risultati diversi.
Eventi considerati e tecnica utilizzata. La seconda e la terza differenza (che stanno insieme ma che ho separato per rendere la tabella più leggibile) riguarda il tipo di eventi fiscali ("shocks", tecnicamente) presi in considerazione, e il modo in cui questi shocks vengono identificati. Si tratta probabilmente della principale differenza alla base dei risultati divergenti. AFG studiano gli effetti di interi piani di consolidamento fiscale in ciascun paese, cioè piani esplicitamente disegnati per ridurre il deficit pubblico e mettere il debito pubblico su un sentiero sostenibile. Gli shocks fiscali considerati sono quindi solo quelli di tipo "negativo", consistono cioè di eventi che riducono il disavanzo pubblico. Inoltre, questi shocks vengono identificati utilizzando un metodo narrativo. Questo significa studiare la storia fiscale di ciascun paese e classificare particolari eventi come (parte di) piani di consolidamento fiscale. Si selezionano cioè a priori i casi da studiare. BCM, invece, considerano shocks fiscali di entrambi i segni, sia negativi (che sono quelli rilevanti durante una fase di riduzione del deficit) sia positivi (che sono rilevanti durante una fase di aumento del deficit) e utilizzano un metodo basato su una tecnica molto frequentemente usata in macroeconometria che si chiama VAR (Vector Auto-Regression). Con questa tecnica i casi da studiare (gli "shocks" fiscali) si selezionano ex post in base ai dati e ad una serie di ipotesi statistiche. La variante utilizzata da BCM consente effetti diversi nelle diverse fasi del ciclo, mentre AFG stimano un effetto medio facendo però ipotesi molto più deboli.
Spesa e tasse. La quarta e quinta differenza riguardano la definizione di spesa pubblica e tasse. Anche questa è secondo me una differenza potenzialmente importante, ed è di immediata comprensione. AFG definiscono "tasse" come le entrate fiscali, e definiscono "spesa" come l'intera spesa pubblica, inclusiva dei trasferimenti a famiglie e imprese. BCM, invece definiscono "tasse" come imposte nette, cioè entrate fiscali al netto dei trasferimenti a famiglie e imprese, e "spesa" come spesa pubblica in senso stretto. Questo può portare a interpretare in modo molto diverso gli effetti di un consolidamento basato sulla riduzione dei trasferimenti. Facciamo un esempio, il piano del governo italiano di tagliare per circa 10 miliardi i sussidi alle imprese. Si tratterebbe di riduzione della spesa oppure di aumento delle imposte? È vero che tecnicamente le imposte nette (essendo la differenza tra imposte e trasferimenti e sussidi di questo tipo) aumenterebbero, ma di fatto si tratterebbe di minori uscite per il settore pubblico, con le imposte (lorde) che resterebbero invariate. Lo stesso varrebbe per una qualsiasi riduzione della spesa pensionistica come, di nuovo, nel recente caso italiano. Un episodio di consolidamento fiscale basato sulla riduzione dei trasferimenti viene quindi classificato come "riduzione di spesa" da AFG ma come "aumento di imposte (nette)" da BCM. Se la riduzione dei trasferimenti non fosse recessiva e se (per assurdo) tutti gli shock fiscali considerati da AFG e BCM consistessero di riduzione dei trasferimenti allora avremmo già risolto il mistero dei risultati apparentemente divergenti. Se andiamo a guardare la fonte dell'analisi narrativa di AFG, vediamo che non pochi episodi di consolidamento nel loro campione hanno una preponderante componente di riduzione dei trasferimenti. La mia opinione è che sia sostanzialmente corretto considerare la riduzione dei trasferimenti come riduzione della spesa. Rimando all'appendice per un'ulteriore discussione.
Precisione della stima. Infine, la sesta differenza nella tabella, riguarda un punto tecnico (sono grato a Carlo Favero per avermelo fatto notare). Le simulazioni di AFG permettono di costruire "intervalli di confidenza", cioè una misura della precisione delle stime. La metodologia scelta da BCM non lo consente. Sappiamo quindi che la conclusione di AFG è "precisa", in un senso statistico. Nulla sappiamo sulla precisione della conclusione di BCM: potrebbero avere attorno degli intervalli di confidenza enormi e questo potrebbe implicare che la grandezza relativa degli effetti che ricercano, come stimato dalla media campionaria, è impossibile da determinare statisticamente perché gli intervalli di confidenza degli effetti sul Pil di riduzione della spesa e aumenti delle imposte nette si sovrappongono.
In conclusione, il mio giudizio è che il tipo di eventi fiscali considerati da AFG siano del tutto analoghi a quelli in atto in Italia e in Europa da 1--2 anni a questa parte. BCM, in questo senso, misurano gli effetti di eventi fiscali la cui composizione è molto diversa da quelli in corso. Al di là del giudizio metodologico e tecnico -- pur molto importante -- su narrazione (identificazione degli shock a priori sulla base di un giudizio "storico" sui dati) come alternativa a VAR (identificazione degli shock a posteriori sulla base di ipotesi statistiche applicate ai dati), le diverse definizioni di spesa e tasse e la disponibilità in un caso ma non nell'altro di una misura della precisione della stima sono cose importanti da considerare prima di concludere che gli economisti non sanno mettersi d'accordo o che aumentare la pressione fiscale sarebbe oggi meglio che ridurre la spesa.
Appendice (sempre per non specialisti, ma un po' più secchioni)
Questa appendice contiene approfondimenti e chiarimenti sui sei punti sopra. Seguo quindi lo stesso ordine e mantengo le stesse "etichette" per connettere le due parti del post.
Il campione. Sul primo punto, bisogna tenere a mente che l'area Euro ha una politica monetaria comune ma non una politica fiscale comune. È quindi difficile immaginare uno shock fiscale per l'area Euro. Ciò che questo implica è che l'aggregazione statistica che costruisce le variabili artificiali per l'area Euro mischia shock positivi e negativi dei vari paesi generando un "netto" che non corrisponde a nessuna politica di per se, né a nessun paese ma che, semplicemente, riflette le differenti grandezze relative dei diversi paesi. Un oggetto economicamente alquanto improbabile. E' vero che questa e' "solo" una unita' di osservazione su cinque in BCM, ma sarebbe probabilmente stato meglio non usarla.
Eventi considerati e tecnica utilizzata. Sul secondo e terzo punto, la metodologia narrativa consente a AFG di distinguere tra shocks non anticipati e anticipati (pensate a una manovra che dice: oggi aumentiamo l'IVA dal 20% al 21% -- shock non anticipato, poi nel 2014 passiamo al 22% -- shock anticipato) e tra diversi stili di politica fiscale (stabilizzazioni permanenti, cioè paesi che annunciano un piano di consolidamento e lo seguono, e stabilizzazioni transitorie, cioè paesi che annunciano un piano ma poi lo ritoccano una o più volte o lo abbandonano del tutto). Per la cronaca: nel campione di AFG l'Italia è il paese dove il consolidamento è maggiormente transitorio. Il metodo narrativo utilizzato da AFG ha una lunga tradizione nella macroeconomia quantitativa. Lo avevano per esempio utilizzato Milton Friedman e Anna Schwartz in A Monetary History of the United States: 1867-1960. È tornato di recente in primo piano dopo il paper di Romer e Romer. Una volta così classificati i casi di consolidamento fiscale come basati su riduzione di spesa e aumento della pressione fiscale (e una volta stimata la relazione statistica tra la parte non anticipata e quella anticipata), AFG stimano un semplice sistema lineare che dipende direttamente dallo shock fiscale identificato a priori e che permette risposte diverse delle variabili di interesse (il Pil, in primis) a consolidamenti basati su spesa e tasse, rispettivamente. La tecnica VAR utilizzata da BCM si basa, come suggerisce il nome, sul regredire un vettore di variabili in un certo punto nel tempo sullo stesso vettore a punti nel tempo precedenti. Gli shocks vengono poi identificati indirettamente attraverso i residui di queste regressioni. AFG, invece, li identificano direttamente nella storia fiscale dei paesi studiati (l'approccio narrativo, appunto) e non hanno bisogno di stimare preliminarmente un VAR. Il metodo che utilizzano BCM è la variante TVAR, dove la "T" stra per threshold, che significa soglia. In breve, si permette alla relazione tra le variabili incluse nel vettore (che nel loro caso sono il Pil, la spesa pubblica, le imposte nette e il tasso di interesse a breve termine) di essere diversa nelle due fasi del ciclo economico (espansione e recessione). Quando si passa dall'una all'altra si oltrepassa la soglia e la relazioni tra le variabili cambia. Tecnicamente, questo introduce una non-linearità in BCM che non è presente in AFG. AFG, quindi, non permettono ai "moltiplicatori fiscali" di essere diversi in fasi diverse del ciclo. Stimano cioè dei moltiplicatori medi. Se facessimo la stessa cosa nello studio di BCM troveremmo che la differenza tra moltiplicatori delle imposte nette e della spesa si ridurrebbe. Andrebbe cioè nella direzione di AFG -- anche se non cambierebbe la conclusione che il consolidamento via riduzione della spesa è più recessivo. Questo è coerente con l'evidenza prodotta da AFG che i diversi effetti recessivi di consolidamenti basati su spesa o tasse non dipendono dalla fase del ciclo. Il lettore interessato ad approfondire la differenza generata dall'applicazione alternativa di metodo narrativo e VAR può leggersi questo paper di Morten Ravn e Karel Mertens.
Spesa e tasse. La definizione di spesa e tasse di BCM è quella corretta dal punto di vista degli schemi di contabilità nazionale. Secondo BCM sarebbe anche corretta da un punto di vista economico, perché un trasferimento è una "tassa negativa", cioè ha l'effetto contrario di una tassa essendo restituzione al settore privato di parte di quello che il settore pubblico sottrae mediante la pressione fiscale. In questo senso i traferimenti avrebbero lo stesso effetto economico delle tasse. Tuttavia, la definizione di AFG appare attraente per altri versi. I traferimenti avrebbero lo stesso impatto economico delle tasse se tasso Mr. X e poi trasferisco a Mr. X. In realtà i trasferimenti sono profondamente redistributivi. Continuiamo con l'esempio dei sussidi alle imprese. Se guardiamo a chi finiscono questi sussidi, è evidente che si tassa la parte più produttiva e competitiva di imprese per traferire alla parte di imprese più inefficienti e più capaci di accaparrarsi risorse mediante connessioni politiche. In questo caso la sostanza economica è che un trasferimento è una decisione di spendere a favore di qualcuno le risorse sottratte a qualcun altro. Analogamente, i trasferimenti alle famiglie sono di natura redistributiva e quindi (sebbene nella logica aggregata della contabilità nazionale siano come tasse negative) dal punto di vista della sostanza economica non hanno esattamente l'effetto opposto della tassazione.
Precisione della stima. Gli intervalli di confidenza di AFG consentono, nel caso specifico, di rigettare l'ipotesi che un consolidamento basato sulla riduzione della spesa sia più recessivo di uno basato sulla riduzione delle imposte (lorde). BCM, invece, scelgono una via computazionale che non permette di valutare la precisione delle stime nella parte cruciale in cui concludono che nella fase recessiva del ciclo la riduzione della spesa è più recessiva dell'aumento delle imposte (nette). In questo senso i risultati di AFG e BCM non sono in realtà neppure confrontabili, in un senso strettamente statistico.
Per concludere, una sola nota sul significato teorico delle due conclusioni. BCM notano che un "moltiplicatore fiscale" delle imposte nette più piccolo di quello della spesa (da cui discende il minore effetto recessivo di una restrizione fiscale basata sull'aumento delle prime) è coerente con un modello keynesiano standard. In questo modello (come sanno tutti gli studenti dopo il primo corso di macroeconomia, i quali si stanno sicuramente leggendo l'appendice!) aumentare le tasse è meno recessivo che ridurre la spesa perché quest'ultima operazione riduce in proporzione 1-1 la domanda corrente, mentre la prima riduce in parte i consumi (cioè un pezzo della domanda corrente) e in parte il risparmio. Questo modello, tuttavia, non è coerente con l'evidenza complementare prodotta da AFG, cioè che il canale attraverso il quale il consolidamento fiscale influenza, alle frequenze del ciclo economico, la produzione non è il consumo ma l'investimento privato. AFG documentano una correlazione positiva (negativa, rispettivamente) tra riduzione della spesa (aumento delle imposte, rispettivamente) da un lato, e fiducia delle imprese e investimento dall'altro che nell'analisi di AFG non ha pretese di relazione causale ma che suggerisce un'ipotesi non rigettata dai dati.
Giulio, c'è una cosa che non mi è chiara (e mi scuso per la pigrizia di non andarmela a cercare nei paper).
I salari per i dipendenti pubblici e le pensioni sono parte della definizione di ''imposte nette'' (ossia, imposte meno trasfrimenti) nello studio dei tre del Fondo Monetario? A occhio direi di sì. Ridurre una pensione di 100 euro perché si taglia la spesa per pensioni o ridurre una pensione di 100 euro perché si aumentano le tasse dovrebbe avere lo stesso identico effetto.
Se è così, ti chiedo se è corretto dire che una delle implicazioni del paper BCM è che, se devi per forza fare austerità in un periodo recessivo è: a) indifferente farlo tagliando i salari pubblici o le pensioni rispetto ad aumentare le tasse b) meglio farlo tagliando salari pubblici e pensioni piuttosto che tagliando gli investimenti pubblici. Queste, peraltro, mi paiono conseguenze abbastanza standard del modello keynesiano ''classico'' da primo anno di economia.
Ovviamente qua ''indifferente'' o ''meglio'' vanno intesi solo guardando agli effetti aggregati (gli unici, da quel che capisco, di cui si parla nei due paper) e ignorando, come spesso si fa in macro, gli aspetti redistributivi.
Nella contabilita' nazionale la compensazione dei dipendenti pubblici e' parte della spesa pubblica (la parte piu' importante di questa, infatti). E cosi', naturalmente, e' anche in BCM.
Le pensioni, invece, sono trasferimenti e quindi parte della imposte nette (col segno "meno").
Quindi riformulerei la tua proposizione come segue: "una delle implicazioni del paper BCM è che, se devi per forza fare austerità in un periodo recessivo è meglio farlo tagliando le pensioni rispetto a tagliare i salari pubblici o gli investimenti pubblici o aumentare le tasse"
non e' vero che sono "conseguenze abbastanza standard del modello keynesiano ''classico'' da primo anno di economia."
Nel modello keynesiano, infatti, tutta G (che include la parte pubblica di I) ha lo stesso maledetto "moltiplicatore", specialmente nel breve periodo.
Quindi che sia meglio, come anche io credo sia, tagliare stipendi pubblici e pensioni piuttosto che investimenti per ridurre la spesa pubblica segue da un altro modello, quello che hai in mente tu. Ossia quello che i "keynesiani de noantri" chiamerebbero di "supply side". Stai pensando a cosa producono di utile pensionati e dipendenti pubblici versus la capacita' produttiva che crei con l'investimento e ti dici che, se dal lato della domanda sempre domanda e', dal lato dell'offerta i secondi sono molto piu' utili dei primi che non lo sono quasi per nulla.
O no?
Un altro aspetto da considerare, quantomeno a livello teorico, perchè difficilmente si può riuscire a distinguerlo con precisione nei dati disponibili, è il livello di partenza della spesa pubblica e della tassazione rispetto al PIL.
Infatti, tanto più elevata è la spesa pubblica rispetto al PIL tanto più probabile è che almeno una parte della stessa sia scarsamente efficiente e/o necessaria e possa essere tagliata producendo effetti positivi sul livello del reddito complessivo. Probabilmente le resistenze ai tagli non saranno invece meno forti anche a livelli elevati di spesa.
Allo stesso modo quando la pressione fiscale è molto elevata gli incentivi negativi nei confronti dell'attività economica saranno più alti rispetto a quando la pressione era inferiore. Mi sembra che ci troviamo proprio in questa situazione.
Nel 1970, uno degli anni indicati nella tabella, spesa pubblica e pressione fiscale erano assai inferiori rispetto ad oggi, in cui hanno raggiunto i valori massimi (almeno in Italia).
E' probabile che per poter ottenere delle conclusioni applicabili alla situazione attuale si debbano considerare solo i casi di spesa pubblica e pressione fiscale ben superiori al 40% del PIL, altrimenti non vale.